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Alessia Pifferi ricostruisce gli ultimi giorni di vita di Diana: cosa hanno fatto mamma e figlia

Alessia Pifferi, la 37enne accusata di omicidio volontario per avere lasciato morire di stenti la figlia di 18 mesi, ricostruisce in tribunale la settimana da giovedì 14 a mercoledì 20 luglio 2022: in quei giorni la piccola Diana è rimasta chiusa in casa senza cibo.
A cura di Francesca Del Boca
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"Pensavo che il latte che le avevo lasciato bastasse". È la testimonianza in aula di Alessia Pifferi, la 37enne accusata di omicidio volontario pluriaggravato per aver lasciato morire di stenti la figlia di 18 mesi Diana, abbandonandola a casa da sola per una settimana. "Di solito stavo via un giorno, quando tornavo era tranquilla".

Adesso l'imputata, rispondendo alle domande del pm Francesco de Tommasi, ricostruisce quei momenti cruciali. Ossia i giorni che vanno dal 14 luglio 2022, quando Alessia si è chiusa la porta di casa alle spalle, alla mattinata del 20 luglio, momento in cui è stato ritrovato il corpo senza vita della bambina.

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Giovedì 14 luglio 2022

La mattina del 14 luglio, intorno alle 6.30, Alessia Pifferi si sveglia per dare il latte alla bambina. La lava, la cambia, prepara il passeggino. “Siamo andate a fare una passeggiata per prendere la focaccia che a lei piaceva”, racconta in tribunale. Verso le 11.30 le due rientrano nella casa di Ponte Lambro, periferia Est di Milano. La madre prepara da mangiare, poi adagia la figlia di 18 mesi nel lettino. Quello in cui verrà ritrovata, cadavere, una settimana dopo.

Accanto al lettino di Diana, Alessia lascia un biberon. L'appartamento è in disordine, le tapparelle sono abbassate, fa molto caldo. In giro per il salotto sono sparsi numerosi pannolini usati, gettati anche sul davanzale della finestra. La madre esce nel primo pomeriggio, lasciando la piccola da sola dentro casa.

"Era già successo, ma di solito la mattina seguente tornavo subito. La lasciavo da sola perché pensavo che il latte bastasse. E nel lettino da campeggio, la bambina non era in grado di scendere", sono le sue parole durante l'interrogatorio di ieri. "Le lasciavo due biberon di latte, due bottigliette di acqua. Quando rientravo era tranquilla che giocava nel lettino. La cambiavo, la lavavo, le davo la pappa, ma era tranquilla". Così la donna si chiude la porta di casa dietro le spalle: in due valige porta con sé una trentina di abiti da sera. “Quando sono uscita di casa Diana dormiva. La toccavo e si muoveva”.

Venerdì 15, sabato 16 e domenica 17 luglio 2022

Alessia Pifferi è diretta verso Leffe, il paesino della Bergamasca dove abita il compagno Mario D'Ambrosio: l'uomo ha 58 anni, e fa l'elettricista in zona. Con la 37enne, che ha conosciuto su un sito di incontri, ha da anni un rapporto intermittente. Proprio nel bagno di D'Ambrosio a Leffe sarebbe addirittura nata la piccola Diana, in circostanze decisamente particolari. "Non sapevo neanche fosse incinta", dirà l'uomo.

La donna si reca da D'Ambrosio, come accaduto molte volte in passato. Ma stavolta non fa ritorno a casa la mattina seguente. Passano i giorni, fino a diventare un intero fine settimana. “La mia intenzione era di rientrare l’indomani, infatti lasciai la porta aperta della camera. Volevo tornare da mia figlia, ero in pensiero per lei perché era in casa da sola", dichiara Pifferi al pm. "Ma D'Ambrosio alzava la voce, mi rispondeva che non era il mio taxi".

Di traporti privati però, secondo quanto dichiarato dal capo della Squadra mobile milanese Marco Calì, la 37enne si serve eccome. E soprattutto in quei giorni. "Tra il 14 e il 20 luglio la Pifferi si spostò diverse volte dalla casa del compagno a Leffe, e tutte le volte utilizzando trasporti privati da 300 euro a tratta", dichiara il dirigente in tribunale, durante la deposizione. "Un tenore di vita molto superiore alle sue reali possibilità. Tant'è che dall'esame del telefonino e delle chat presenti è emerso che, per potersi permettere questo stile di vita, la donna incontrava spesso uomini a pagamento".

Alessia Pifferi, arrestata per l'omicidio della figlia Diana
Alessia Pifferi, arrestata per l'omicidio della figlia Diana

Lunedì 18 luglio 2022

La 37enne di Ponte Lambro è lontana da quasi quattro giorni, e trascorre il tempo in compagnia del fidanzato. Lo segue anche per lavoro, come accade lunedì 18 luglio: Alessia Pifferi, in quell'occasione, fa ritorno a Milano. Ma senza passare a trovare Diana.

“Ero andata con D’Ambrosio, che doveva venire a Milano per un lavoro. Poi con lui ci fu una discussione molto accesa. Ho pensato a mia figlia, ma avevo paura di dirgli di riportarmi a casa perché avevamo discusso in mezzo alla strada. Non dissi niente, mi riportò a casa sua", si giustifica la donna in aula. In ogni caso, pur trovandosi in città, non passa a vedere come sta la figlia, rinchiusa da quattro giorni in salotto. "Per questo non sono tornata da Diana. Io mi preoccupavo di mia figlia ma avevo paura delle reazioni del signor D’Ambrosio, perché era aggressivo". "Quando veniva da me non la portava mai, diceva di voler respirare un po'", dirà invece lui. "Quella volta mi aveva detto che Diana era al mare con la sorella".

Diana poteva ancora essere salvata? Secondo quanto emerso dall'autopsia, probabilmente sì. La piccola sarebbe morta per disidratazione tra le 24 e le 48 ore prima del ritrovamento.

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Mercoledì 19 luglio 2022

Alessia Pifferi in mattinata, fa ritorno nell'appartamento di via Parea: sono passati ormai sei giorni. Quando apre la porta di casa, la scena è agghiacciante. "Ho trovato mia figlia nel lettino, sono andata subito da lei, l’ho accarezzata e ho visto che non si muoveva. E ho capito che c’era qualcosa che non andava, non giocava come le altre volte". In realtà, diranno i soccorritori, la bambina ha piedi e mani anneriti. È visibilmente deceduta da tempo.

"Ho tentato di rianimarla, le ho fatto il massaggio cardiaco. L’ho presa in braccio, le ho dato qualche pacchetta sulla schiena, l’ho portata in bagno e ho provato a bagnarle i piedini, le manine, il viso e la testa. Poi l’ho rimessa nel lettino, le ho spruzzato acqua in bocca ma non si riprendeva", sempre Alessia Pifferi in tribunale. "Sono corsa a chiamare una vicina di casa. Mi sono messa a piangere, ero nel panico, ho chiamato il 118. Ho chiesto al signor D’Ambrosio di venire ma lui non è venuto".

"Alessia Pifferi era sul divano, in evidente stato di agitazione", il racconto della poliziotta intervenuta. "Ma non chiedeva nulla della bambina. Solo quali sarebbero state le conseguenze legali per lei".

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