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Mia cruda sorte: la storia di Don Luigi Merola, prete sotto scorta

Un videoracconto che sembra un film. Ma è vita vera: è la storia di don Luigi Merola, un prete che ha fatto dell’anticamorra una scelta fondamentale nel suo percorso umano e spirituale. Il prezzo che sta pagando è alto, ma lui non si rassegna e continua a combattere.
A cura di Gaia Bozza
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Luigi non ama le ingiustizie. Anzi, le odia. Le ha sempre odiate, fin da bambino. Spesso faceva a botte con gli altri: Luigi Merola non era ancora "don Luigi", ma aveva fame di giustizia. Un desiderio acerbo che faceva di lui un ragazzino un po' ribelle.

Tanto che i genitori, poco più che adolescente, lo mandano a fare qualche esperienza di lavoro nel tentativo di temperare quel carattere così irruente. Poi arriva la vocazione: Luigi entra in seminario e diventa sacerdote nel 1997. Completamente cambiato: don Luigi Merola ha sostituito "il pugno alla parola di Dio", dice nel videoracconto "Mia cruda sorte",  firmato da Ugo Capolupo e Francesco Ebbasta (The Jackal). Il parroco passeggia e ricorda: ad emergere è il lato personale e poetico di un uomo di fede in tutta la sua umanità, fragilità comprese.

Figlio di operai, è nato e cresciuto a Napoli. E la sua città non l'ha mai lasciata, nemmeno per un attimo. Nel 2000 diventa parroco di Forcella, uno dei quartieri belli e difficili della città. Droga, sparatorie, armi. E tanti, tanti bambini, nati spesso da mamme-bambine. Affamati di giustizia sociale, a digiuno di possibilità. E' a loro che don Merola si dedica costantemente. Napoli non l'ha mai abbandonata, don Merola. Nemmeno quando Forcella viene ferita a morte, nel 2004. Una ragazzina di 14 anni, Annalisa Durante, il 27 marzo di quell'anno si macchia di una colpa indelebile: passare nel luogo sbagliato al momento sbagliato, durante una sparatoria tra il clan Giuliano e il clan Mazzarella. Muore così, Annalisa, e il parroco non sta a guardare, non riesce a stare in silenzio: durante l'omelia del funerale attacca duramente la camorra. E lo fa altre cento volte con coraggio, tenendo alta l'attenzione sul popolo di Forcella, ma anche smantellando materialmente le telecamere che il clan Giuliano aveva installato per "sorvegliare" il quartiere.

Non si sa quale sia stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, il punto definitivo di rottura. Ma nel 2004, qualche mese dopo l'assassinio di Annalisa, viene intercettata la frase di un camorrista: "Lo ammazzerò sull'altare". "‘O sistema" non gradisce il parroco, inizia una lunga serie di intimidazioni. Dal 2004 don Luigi vive sotto scorta. Dice che si tratta dei suoi "angeli terreni". Oggi non è più parroco di Forcella, ma non per questo ha smesso di dedicarsi alla sua città. Un esempio su tutti: dal 2007 il suo impegno per l'infanzia diventa "‘A voce d'e creature", una fondazione che offre accoglienza e servizi ai ragazzini. Perché l'anticamorra inizia dove finisce la solitudine.

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