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Per la prima volta sappiamo quanti Hikikomori ci sono in Italia

Il gruppo Abele insieme al Cnr ha pubblicato il primo studio quantitativo sul numero di Hikikomori che vivono in Italia. Il sondaggio è stato fatto su un campione di 12.000 studenti tra i 15 e i 19 anni.
Intervista a Leopoldo Grosso
Psicologo e presidente onorario del Gruppo Abele
A cura di Valerio Berra
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Hikikomori. In giapponese, “Stare in disparte”. Negli ultimi anni abbiamo cominciato a conoscere sempre di più questa parola. Su Fanpage.it, già cinque anni fa avevamo raccontato le storie di alcuni tra i primi ragazzi in Italia che hanno accettato di parlare di questo fenomeno. Le dinamiche sono note. Parliamo di ragazzi e ragazze che a un certo punto perdono interesse a stare nel flusso del mondo. Le motivazioni sono diverse, il risultato lo stesso: si isolano nelle loro stanze e non escono più. Reclusioni volontarie che prima durano qualche giorno, poi si passa ai mesi e alla fine si arriva agli anni.

Nelle scorse settimane il Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa ha diffuso i risultati del primo studio quantitativo sul questa tematica. Il progetto è stato promosso dal Gruppo Abele, una onlus fondata da don Luigi Ciotti nel 1965. (Esattamente 30 anni dopo, don Ciotti avrebbe fondato Libera contro le Mafie). La ricerca sugli Hikikomori è stata seguita da Leopoldo Grosso, psicologo e presidente onorario del Gruppo Abele. È lui che ha spiegato a Fanpage.it quali sono stati i risultati più importanti di questo studio.

Perché fare una ricerca a livello nazionale sugli Hikikomori?

Nella sensazione di molti operatori che lavorano con noi sembrava che questo fenomeno fosse in aumento. C’era un’impressione spannometrica e volevamo capire i numeri raggiunti dal fenomeno degli Hikikomori. Prima esisteva una stima di riferimento data dall’associazione Hikikomori Italia che era attorno alle 100.000 persone.

E quanti sono gli Hikikomori?

Analizzando i dati e le risposte alle domande circa 1,7% dei ragazzi si possono definire Hikikomori, mentre un 2,6% è a rischio di diventarlo. Proiettando i dati a livello nazionale quindi parliamo di 44.000 ragazzi che si possono definire Hikikomori e 67.000 che rischiano di diventarlo. Questo numero tiene conto solo degli studenti tra i 15 e i 19 anni.

Come è stata fatta la ricerca?

Ci siamo appoggiati al Consiglio nazionale delle ricerche (CNR). Loro hanno una campionatura che viene utilizzata per raccogliere dati sulle scuole italiane. È un questionario sulle dipendenze che si chiama Espad (European School Survey Project on Alcohol and Other Drugs). Sono domande anonime che vengono sottoposte a circa 12.000 studenti. In questo questionario abbiamo inserito anche delle domande sull’isolamento volontario.

Sono stati i ragazzi stessi a valutare il fenomeno.

Sì, questo strumento ha ancora dei limiti. La valutazione rimane soggettiva. Al momento però è l’unico dato che abbiamo, anche perché non possiamo affidarci alle Asl: non esiste una procedura per questi casi che è uguale in tutto il territorio.

Perché questi ragazzi decidono di isolarsi?

Sono sempre di più i ragazzi che non riescono a sostenere il rapporto con i loro compagni di classe. Questa è una tendenza i crescita: il ritiro dalla scuola parte dalle difficoltà nel rapporto tra pari. Non si sentono all’altezza degli standard, e questo viene vissuto come un fallimento.

Le immagini che vengono restituite degli Hikikomori sono quelle di giovani avvolti dalla luce di uno schermo. Quanto pesa internet in questo fenomeno?

La dipendenza da internet non è la causa del ritiro sociale. Anzi. Internet, i social e tutti contenuti che si possono trovare in rete sono una risorsa che permette a questi ragazzi di non soffrire di solitudine. Puoi interagire con gli altri, anche se sei protetto da uno schermo.

Quindi i videogame non hanno niente a che fare con il ritiro sociale?

Fino a un certo punto. I maschi spesso si dedicano a videogame con circuiti internazionali. Giocano con altre persone in giro per il mondo e questo può causare una rottura del circadiano che definisce l’alternanza tra sonno e veglia.

Da chi vengono segnalati questi casi?

A questa età dalla famiglia o dalla scuola. Non sono ritiri che cominciano da un giorno all’altro. Prima si fa qualche assenza, magari si riesce a presentare un certificato e poi le assenze diventa sempre più lunghe. Alla fine diventa un nuovo modo di vivere.

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