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Riutilizzare l’olio fritto può provocare disturbi neurologici, secondo un nuovo studio

Un team di ricerca internazionale ha determinato che il riutilizzo dell’olio fritto può sfociare nella neurodegenerazione, a causa delle sostanze nocive rilasciate che compromettono gli equilibri tra fegato, intestino e cervello.
A cura di Andrea Centini
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Un nuovo studio ha determinato che il riutilizzo dell'olio fritto può comportare disturbi neurologici, a causa delle diverse sostanze nocive rilasciate nel processo. La neurodegenerazione e altre conseguenze sono state osservate in modelli murini (ratti) alimentati con olio riutilizzato, pertanto i risultati dovranno essere confermati attraverso indagini più approfondite e cliniche (sull'uomo), tuttavia rappresentano l'ennesimo indizio sui rischi correlati a questo prodotto. L'uso dell'olio fritto riscaldato, del resto, è da sempre osteggiato da medici e nutrizionisti, ma molte ricette prevedono l'immersione delle pietanze nell'olio bollente ed è pratica diffusa e malsana continuare a sfruttarlo a più riprese. Ciò, come indicato, può comportare gravi rischi per la salute.

Tra le ragioni principali vi è il fatto che il riscaldamento ripetuto dell'olio è in grado di distruggere i preziosi antiossidanti naturali e altre sostanze benefiche contenuti negli alimenti, inoltre la procedura aggiunge acidi grassi trans, perossidi e altri composti considerati nocivi. Tra i peggiori vi è l'acroleina, derivata dall'ossidazione dei trigliceridi ad alte temperature. Si tratta di un'aldeide dannosa per il fegato (epatotossica) e ad azione immunosoppressiva, con proprietà cancerogene. Non a caso l'Associazione Italiana Ricerca sul Cancro (AIRC) la classifica come "nociva" in relazione all'esposizione professionale. L'acroleina, oltre al cancro, è anche associata all'aterosclerosi e ad altre condizioni cardiovascolari. Solo la manifestazione di questa sostanza dovrebbe scoraggiare dal riutilizzare dell'olio fritto; il nuovo studio aggiunge una ulteriore ragione per evitarlo (non va nemmeno dimenticato il significativo incremento delle calorie che determina la cottura nell'olio).

A determinare che l'uso dell'olio riscaldato può scatenare disturbi neurologici è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati dell'Università dell'Illinois di Chicago (Stati Uniti), che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Vinayaka Mission's Medical College and Hospital e dell'Università Centrale del Tamilnadu (India). I ricercatori, coordinati dai professori Sugasini Dhavamani e Kathiresan Shanmugam, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver condotto specifici esperimenti con i ratti. In parole semplici, per un mese intero hanno alimentato gruppi di roditori con cinque diete differenti, che prevedevano cibo normale o con aggiunta di olio di sesamo e girasole (riscaldato o non riscaldato).

Al termine del ciclo alimentare i ricercatori hanno condotto analisi sui ratti coinvolti, scoprendo che quelli alimentati con gli oli riscaldati avevano livelli elevati di enzimi epatici, segno di significativa infiammazione e stress ossidativo. Sono stati osservati anche incremento del colesterolo; livelli elevati di infiammazione associata a patologie cardiovascolari; danni sostanziali nella struttura cellulare del colon; e cambiamenti nelle tossine rilasciate dai batteri intestinali. Queste condizioni hanno determinato un'alterazione del metabolismo dei lipidi nel fegato e compromesso il trasporto dell'acido grasso omega-3 DHA nel cervello, che a sua volta è sfociato nella neurodegenerazione. Gli scienziati l'hanno riscontrata sia nel cervello dei ratti che consumavano l'olio riscaldato che in quello dei loro figli, come spiegato in un comunicato stampa.

“La frittura ad alte temperature è stata collegata a diversi disturbi metabolici, ma non sono state condotte indagini a lungo termine sull'influenza del consumo di olio fritto e sui suoi effetti dannosi sulla salute”, ha affermato il professor Shanmugam. “Per quanto ne sappiamo, siamo i primi a segnalare che l’integrazione a lungo termine di olio fritto aumenta la neurodegenerazione nella prole di prima generazione”, ha chiosato l'esperto di biotecnologie.

In sostanza, il riutilizzo dell'olio fritto altera gli equilibri tra fegato, intestino e cervello catalizzando il rischio di condizioni associate a infarto e ictus, oltre a promuovere i disturbi neurologici. Come indicato, i risultati dovranno essere confermati con trial clinici ad hoc, tuttavia risulta evidente quanto questa pratica sia assolutamente da evitare. I dettagli della ricerca “Long term supplementation of deep-fried oil consumption impairs oxidative stress, colon histology and increases neurodegeneration” sono stati presentati durante il meeting annuale dell'American Society for Biochemistry and Molecular Biology tenutosi a San Antonio.

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