290 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito

Particelle di smog trovate nel sangue, nel cervello e in altri organi dei feti: medici preoccupati

Il nerofumo, derivato dalla combustione dei prodotti petroliferi e altre sostanze, è stato trovato in tessuti e organi dei feti: “Rischio danni permanenti”
A cura di Andrea Centini
290 CONDIVISIONI
Immagine

Particelle provenienti dall'inquinamento atmosferico sono state trovate in tutti gli organi esaminati di bambini non ancora nati. Fegato, polmoni, cervello e sangue del cordone ombelicale sono risultati tutti contaminati dal nerofumo. Ciò conferma la capacità del particolato sottile legato allo smog di attraversare la placenta e penetrare nel sistema circolatorio del feto in via di sviluppo. Gli scienziati hanno scoperto che maggiore era l'esposizione della madre agli inquinanti, superiore era la concentrazione delle particelle rilevate nel feto. Si tratta di una scoperta estremamente significativa, tenendo presente la contaminazione degli organi e dei tessuti di un bambino in via di sviluppo possono comportare anche danni permanenti.

A scoprire le particelle dell'inquinamento atmosferico nel sangue dei feti è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati dell'Istituto di Scienze Mediche dell'Università di Aberdeen (Scozia) e del Centro per le Scienze Ambientali dell'Università Hasselt (Belgio), che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento dei Sistemi Microbici e Molecolari dell'Università di KU di Lovanio. I ricercatori, coordinati dai professori Paul A. Fowler e Tim S. Nawrot, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato campioni materno-perinatali e fetali legati a due studi distinti: ENVIRONAGE (Environmental Influences on Aging in Early Life) condotto presso l'ospedale del Limburgo orientale di Genk, in Belgio, e SAFeR (Scottish Advanced Fetal Research) presso gli ospedali delle aree di Aberdeen e Grampian, nel Regno Unito. Entrambi gli studi erano relativi a coppie madre-feto di gravidanze non portate a termine ma in regolare progressione, come indicato nell'abstract dello studio. In tutto sono state coinvolte 60 coppie dello studio belga e 36 di quello britannico. Le madri erano non fumatrici e i feti avevano un'età gestazionale compresa tra le 7 e le 20 settimane (primo e secondo trimestre).

Credit: Lancet
Credit: Lancet

Per identificare le particelle di smog gli scienziati hanno utilizzato una tecnica con luce bianca pulsata a femtosecondi, in grado di rilevare il “nero di carbonio” o nerofumo, un pigmento che deriva dalla combustione di prodotti petroliferi e altre sostanze. Rappresenta una delle principale “firme” dell'inquinamento atmosferico antropogenico e può essere rilevato anche in cima ai ghiacciai sulle vette più elevate, dove viene trasportato dai venti. Questo composto viene normalmente inalato da chi vive in ambienti inquinati e, come dimostrato dallo studio, è in grado di attraversare la placenta delle donne incinte ed entrare nel circolo sanguigno del feto, contaminando tessuti e organi in via di sviluppo. Come indicato, le particelle sono state trovate nel cervello, nel fegato, nel polmone e nel sangue cordonale, ma anche nella placenta e nel sangue materno. Le concentrazioni più alte sono state rilevate nei campioni ottenuti da donne che vivevano negli ambienti più inquinati.

“Abbiamo dimostrato per la prima volta che le nanoparticelle del nero di carbonio non solo entrano nella placenta durante il primo e il secondo trimestre, ma poi trovano anche la loro strada verso gli organi del feto in via di sviluppo”, ha dichiarato al Guardian il professor Paul Fowler. “Ciò che è ancora più preoccupante è che queste particelle entrano anche nel cervello umano in via di sviluppo. Ciò significa che è possibile che queste nanoparticelle interagiscano direttamente con i sistemi di controllo all'interno di organi e cellule fetali umani”, ha aggiunto lo scienziato. “Vedere le particelle entrare nel cervello dei feti aumenta i rischi, perché questo ha potenzialmente conseguenze per tutta la vita per il bambino”, gli ha fatto eco il professor Jonathan Grigg della Queen Mary University di Londra, che non ha partecipato direttamente allo studio (ma fu il primo a scoprire nel 2018 particelle atmosferiche nella placenta). “È preoccupante, ma non sappiamo ancora cosa succede quando le particelle si depositano in vari siti e rilasciano lentamente le loro sostanze chimiche”, ha aggiunto l'esperto, sottolineando la necessità di ulteriori indagini approfondite.

Nel 2019 lo studio “A systematic review of associations between maternal exposures during pregnancy other than smoking and antenatal fetal measurements” aveva dimostrato che l'esposizione allo smog rallenta lo sviluppo dei feti, mentre una ricerca coordinata da scienziati dell'Università Texas A & M aveva rilevato l'incremento della natimortalità in associazione al solfato di ammonio, una sostanza presente nello smog. Un altro studio dell'Università di Albany ha evidenziato il rischio di malformazioni legato all'esposizione all'inquinamento durante la gravidanza, mentre una ricerca dell’Università della California ha determinato che nel 2019 lo smog è stato coinvolto nella morte di mezzo milione di bambini, in 6 milioni di nascite premature e 3 milioni di bimbi nati sottopeso. Non c'è dunque da stupirsi che i ricercatori abbiano trovato particelle di nerofumo anche negli organi dei feti in via di sviluppo. La ricerca “Maternal exposure to ambient black carbon particles and their presence in maternal and fetal circulation and organs: an analysis of two independent population-based observational studies” è stata pubblicata sull'autorevole rivista scientifica The Lancet Planetary Health.

290 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views