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Covid 19

Quanto durano i sintomi di Omicron 5: l’incubazione del Covid e dopo quanto si guarisce

Quali sono i sintomi delle nuove varianti Omicron? Quanto dura l’infezione? E quanto è efficace la quarta dose di vaccino? Ecco cosa sapere sulle nuove versioni virali e le forme di Covid che possono causare.
A cura di Valeria Aiello
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La risalita dei contagi, spinta dalla circolazione delle nuove varianti Omicron altamente trasmissibili, sta facendo segnare numeri record di infezioni, anche in Italia. In particolare, la sua nuova sottovariante BA.5, conosciuta anche come Omicron 5, insieme alla variante strettamente correlata BA.4 (Omicron 4), alimenta l’aumento globale di casi di circa il 30%, secondo gli ultimi dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Questo perché, le nuove mutazioni presenti nel genoma, segnatamente a livello della proteina virale Spike, che rendono questi virus molto contagiosi, anche se sembrano causare malattie più lievi con sintomi di più breve durata.

In Europa, queste due sottovarianti Omicron inciderebbero in media di circa il 25%, anche se nel nostro Paese, stando al più recente report prodotto dall’Istituto superiore di Sanità (ISS), rappresentano una quota complessivamente superiore, pari all’11,4% per quanto riguarda le infezioni da BA.4 e al 23,1% per quelle da BA.5, suggerendo che diventeranno dominanti sulle precedenti varianti di Sars-Cov-2. Oltre all’incremento dei contagi, l’ondata estiva si riflette anche nel numero di ospedalizzazioni, ricoveri e decessi che, seppur in proporzione non paragonabili alle cifre pre-vaccino, sono comunque preoccupanti.

Tuttavia, in uno scenario immunologico decisamente vario, con persone vaccinate, altre non vaccinate ma precedentemente infettate, e altre ancora che hanno una combinazione di vaccinazione e infezione, sono in tanti a chiedersi quali siano i sintomi, la durata media dell’incubazione e della malattia e la reale efficacia dei vaccini nei confronti dei nuovi lignaggi. Nel merito, abbiamo raccolto i risultati degli ultimi studi scientifici e i pareri degli esperti circa l’impatto delle nuove varianti su trasmissione, caratteristiche della malattia e protezione conferita dalla vaccinazione, inclusa quella offerta dalla quarta dose.

Quali sono i sintomi più comuni di Omicron 5

Sebbene le nuove e più contagiose varianti del coronavirus si stiano diffondendo rapidamente, le infezioni causate dalle nuove Omicron 4 e Omicron 5 hanno sintomi che sono generalmente simili a quelli di un raffreddore, inclusi mal di gola, mal di testa e naso che cola. Sintomi come febbre, brividi e tosse sono comunque segnalati, ma non così frequentemente come nelle infezioni causate dalla precedenti varianti del virus. Secondo gli ultimi dati dello Zoe Covid Symptom Study, basato sui sintomi auto-riportati tramite un’app per smartphone sviluppata nel Regno Unito, i sintomi più comuni (oltre il 60% delle segnalazioni) in questa fase di circolazione virale comprendono appunto naso che cola, seguito da mal di gola, mal di testa, tosse persistente e affaticamento. Meno frequenti gli starnuti e la voce rauca, oltre ai dolori articolari e muscolari, la febbre e i brividi, come riassunto di seguito:

  • Naso che cola (66%)
  • Mal di gola (65%)
  • Mal di testa (64%)
  • Tosse persistente (63%)
  • Affaticamento (62%)
  • Starnuti (53%)
  • Voce rauca (44%)
  • Dolori articolari e muscolari (35%)
  • Febbre (31%)
  • Brividi (30%)

Nel complesso, non c’è alcuna evidenza che le infezioni causate da BA.4 e BA.5 siano associate a un’aumentata gravità delle manifestazioni cliniche rispetto a quelle determinate dalle precedenti varianti di Omicron, con sintomi che sembrano interessare principalmente il tratto respiratorio superiore, come spiegato dagli esperti Thomas Campbell e Steven Johnson dell’Università del Colorado, negli Usa, che rilevano una minore probabilità di sviluppare infezioni a carico dei polmoni, e dunque di sviluppare polmoniti interstiziali.

I sintomi meno comuni di Omicron 5

Una minore probabilità si registra anche per altri sintomi che hanno caratterizzato le prime ondate della pandemia, come dolore al petto, perdita dell’olfatto, dolore lombare e dolore oculare, riportati da circa una persona su cinque nello Zoe Covid Symptom Study:

  • Vertigini (29%)
  • Nebbia cerebrale (24%)
  • Dolore agli occhi (22%)
  • Mal di schiena (22%)
  • Alterazioni dell’olfatto (21%)
  • Linfonodi ingrossati (19%)
  • Inappetenza (17%)
  • Dolore al petto (15%)

Un altro sintomo, su cui si è recentemente focalizzata l’attenzione degli esperti, rimane controverso. A parlarne, in un intervento alla radio irlandese Newstalk, è l’immunologo Luke O’Neil del Trinity College di Dublino che ha osservato un “sintomo in più” legato a Omicron 5, la sudorazione notturna, anche se altri esperti ritengono che possa essere associato ad diverse condizioni di salute concomitanti. Secondo il professor O’Neil la malattia è diversa perché il virus è cambiato e perché si è raggiuto un certo livello di immunità nella popolazione, il che potrebbe dare origine a infezioni con una sintomatologia “leggermente diversa” e con la caratteristica “abbastanza strana” della sudorazione notturna.

Quanto dura l'incubazione e quando fare il tampone

Ad ogni modo, per le persone che manifestano uno qualsiasi dei sintomi di cui sopra, è possibile fare il tampone per accertare l’eventuale positività e dunque escludere che si tratti di altre condizioni. Tuttavia, un nuovo fenomeno riscontrato con le nuove versioni del virus è la possibilità che il test risulti negativo nonostante la presenza di alcuni sintomi più comuni dell’infezione. Questo si riscontra specialmente con i tamponi “fai da te” e i test rapidi che si eseguono in farmacia, con i quali non è raro imbattersi in falsi negativi. Un consiglio, per coloro che hanno sintomi di Covid-19 ma sono risultati negativi al test, è arrivato dal virologo Fabrizio Pregliasco dell’Università degli Studi di Milano che al periodico online Sanità informazione, ha suggerito di ripetere il test dopo almeno 24 ore, a prescindere dal miglioramento o peggioramento dei sintomi.

Sul perché dello scarto temporale su sintomi e positività, al momento, abbiamo solo ipotesi, tra cui la possibilità che il sistema immunitario, addestrato dai vaccini o da precedenti infezioni, sia più reattivo nel riconoscere il virus, contrastando la sua replicazione, il che determina la presenza di una bassa carica virale che può sfuggire al test.

In linea generale, alla comparsa dei sintomi di Covid, è opportuno effettuare un tampone subito e ripeterlo (se negativo) dopo 2-3 giorni dalla loro comparsa, dal momento che questo è il periodo di tempo necessario per raggiungere il picco di carica virale nelle persone con sintomi. Nel caso invece si sospetti di essere stati contagiati, perché ad esempio si è stati a stretto contatto con un positivo, ma non sia insorto alcun sintomo, gli esperti suggeriscono di attendere qualche giorno in più (fino a 5-6 giorni), perché in questi casi la possibilità di falsi negativi può protrarsi per un lasso di tempo superiore. “Nel frattempo, è razionale porsi in quarantena – raccomanda il ricercatore Luca Pasina, capo laboratorio di Farmacologia clinica dell’Istituto Mario Negri di Milano – . Bisogna considerare che con la variante Omicron [i tamponi] potrebbero dare risultati meno accurati, pertanto le misure di protezione rimangono fondamentali”.

Quanto dura l'infezione da Omicron 5

A seconda dello stato immunologico e di fattori come l’età e le condizioni di salute sottostanti, la durata della malattia e i tempi di negativizzazione sono ampiamente variabili. È dunque chiaro che, neppure nel caso dei vaccinati, è possibile generalizzare, in quanto a giocare un ruolo diretto è la nostra suscettibilità all’infezione, aumentata dalla variante Omicron 5 che può facilmente eludere il riconoscimento da parte degli anticorpi. Anche una precedente infezione non garantisce protezione, come evidenziato dall’aumento percentuale dei casi di reinfezione segnalati in concomitanza con la diffusione di questa variante. In generale, Omicron e le sue sottovarianti sembrano causare malattie più lievi rispetto alle varianti precedenti come Delta.

Quanti giorni si resta positivi a Omicron 5

Circa i tempi della malattia, la ricerca mostra che durata dei sintomi (calcolata come la differenza tra la data di insorgenza dei sintomi e la data del recupero, ovvero il primo giorno in cui i pazienti dicono di sentirsi bene, cui non seguono nuovi sintomi per almeno una settimana) è di circa 6-7 giorni con Omicron, pari a quasi due giorni in meno rispetto agli 8-9 giorni di malattia acuta di Delta, con differenze non particolarmente marcate tra chi ha ricevuto solo due dosi di vaccino (durata media Omicron 8,3 giorni) e più evidenti nei vaccinati con tre dosi (durata media Omicron 3 giorni). Analogamente, anche la durata della positività e i tempi di negativizzazione sono più brevi rispetto alle infezioni causate dalla variante Delta, con il doppio delle probabilità di guarigione entro una settimana dall’insorgenza dei sintomi rispetto ai pazienti infettati durante la prevalenza di Delta.

Ci si può riammalare? Dopo quanto tempo?

Come detto, i dati relativi al rischio di reinfezione mostrano che la diffusione di Omicron e le sue sottovarianti sta determinando un aumento significativo della probabilità di essere nuovamente contagiati dal virus. Il monitoraggio dell’ISS, nello specifico, evidenzia un incremento: in chi che ha ricevuto una prima diagnosi di Covid da oltre 210 giorni rispetto a chi ha avuto la prima diagnosi nei 90-210 giorni precedenti; in coloro, non vaccinati o vaccinati con almeno una dose da oltre 120 giorni rispetto ai vaccinati con almeno una dose da meno di 120 giorni; nelle donne rispetto agli uomini – secondo l’ISS, il maggior rischio delle donne potrebbe essere dovuto alla maggiore presenza di donne in ambito scolastico (>80%) e al fatto che le donne svolgono più spesso la funzione di caregiver in ambito familiare.

L’aumento del rischio di reinfezione è stato osservato anche nelle fasce di età più giovani (dai 12 ai 49 anni) rispetto alle persone con prima diagnosi in età compresa tra i 50-59 anni, attribuibile a comportamenti ed esposizioni a maggior rischio nel confronto con le fasce di età superiori ai 60 anni. L’ISS evidenzia anche un aumento del rischio di reinfezione nei medici e negli operatori sanitari rispetto al resto della popolazione.

La quarta dose di vaccino protegge dalla variante Omicron 5?

La protezione vaccinale è essenziale, a partire dai fragili. Dai dati dell’ultimo monitoraggio dell’ISS emerge infatti che nel periodo di prevalenza delle varianti Omicron, il tasso di mortalità nei pazienti Covid è 6 volte superiore tra i non immunizzati, se confrontato con quello di quanti hanno ricevuto sue dosi, e di 7 volte superiore rispetto al rischio che corre chi ha ricevuto il booster. Anche il rischio di ricovero in terapia intensiva è 3,5 volte superiore nei non vaccinati.

Riguardo invece all’efficacia della quarta dose, la cui somministrazione è stata ora estesa anche alla popolazione over 60 e non fragile, un primo studio condotto in Israele – dove il secondo booster dell’attuale vaccino di Pfizer viene somministrato alle persone di età pari e superiore ai 60 anni dall’inizio del gennaio 2022 – ha dimostrato che la quarta dose riduce il rischio di contrarre la variante Omicron del virus, anche rispetto ai vaccinati con 3 dosi da più di quattro mesi, aumentando la protezione contro la malattia grave sempre nel confronto con i vaccinati con tre dosi da più di quattro mesi.

Anche un altro studio israeliano ha confermato che nella popolazione over 60 la somministrazione della quarta dose è associata a un’elevata protezione, in particolare nei confronti di ricoveri e decessi correlati al Covid durante l’aumento della circolazione della variante Omicron. Nello specifico, su 40mila persone, di cui oltre 20mila vaccinate con quattro dosi, la somministrazione del secondo booster ha ridotto del 34% la possibilità di contrarre l’infezione, con il 64-67% che ha evitato il ricovero in ospedale e una riduzione del 72% dei decessi.

Quali sintomi possono permanere anche dopo la guarigione

Anche se ad oggi non è ancora stato completamente chiarito in che misura Omicron e le sue sottovarianti incidano sul rischio di Long Covid, alcuni esperti ritengono che, come le versioni virali precedenti, i nuovi virus possano portare allo sviluppo di sintomi persistenti, anche con casi lievi. Un recente studio, condotto dai ricercatori del Regno Unito, ha comunque indicato che le infezioni da Omicron hanno una minore probabilità di causare sintomi di Long Covid rispetto alla variante Delta, ma poiché le ultime versioni virali sono molto più contagiose delle precedenti, l’elevato numero di persone che può contrarre l’infezione si tradurrà in un aumento dei casi con sintomi di lunga durata, come nebbia celebrale, mal di testa e affaticamento.

In termini numerici, stando ai dati della ricerca, tra i casi di Omicron, circa il 4,5% delle persone sviluppa Long Covid rispetto al 10,8% dei casi di Delta, con una riduzione della probabilità compresa da 0,24 a 0,5 volte a seconda dell’età e del tempo trascorso dalla vaccinazione. I sintomi più comuni includono stanchezza, respiro corto, perdita di concentrazione e dolore alle articolazioni, che possono avere un impatto negativo sulle attività quotidiane.

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