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L’astrofisico Masi spiega perché le foto del telescopio James Webb sono “primizie dirompenti”

L’astrofisico Gianluca Masi commenta per Fanpage.it le prime, straordinarie immagini del Telescopio Spaziale James Webb e le prospettive di ricerca.
A cura di Andrea Centini
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Credit: NASA
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In questi giorni la NASA ha divulgato le prime, straordinarie immagini del Telescopio Spaziale James Webb, il più avanzato strumento inviato nello spazio per indagare i misteri dell'Universo. Il campo profondo alle spalle dell'ammasso SMACS 0723; il dettaglio dei “vivai stellari” nel cuore della Nebulosa di Eta Carinae; la danza delle galassie del quintetto di Stephan e l'esplosività della Nebulosa Anello del Sud hanno fatto rapidamente il giro del mondo, entrando con pieno merito nella storia della ricerca astrofisica. Oltre a essere eccezionalmente belle, infatti, queste immagini sono pregne di significato scientifico, mettendo in mostra le capacità del rivoluzionario strumento e la lungimiranza di chi l'ha costruito. Su questi primi magnifici risultati e sulle prospettive del James Webb abbiamo chiesto un commento all'astrofisico Gianluca Masi, responsabile scientifico del Virtual Telescope Project e curatore del rinnovato Planetario di Roma. Ecco cosa ci ha raccontato.

Credit: NASA
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Dottor Masi, in uno dei suoi ultimi post su Facebook dedicati alle immagini diffuse dalla NASA ha definito il James Webb “il più bel regalo di Natale mai sognato da un astrofisico”. Ci spieghi perché

Premesso che questo strumento è realmente rivoluzionario, ironia della sorte è stato lanciato proprio a Natale. Questo riferimento scherzoso l'ho fatto altre volte in questi mesi, anche confortato dal fatto che i primi saggi delle prove tecniche di allineamento e di messa a fuoco già lasciavano intendere le capacità del telescopio, francamente spettacolari. Questo un pochino permetteva di sciogliere i timori. Del resto quando avvii un progetto complesso come questo e soprattutto vieni da un'esperienza quale fu quella dell'Hubble Space Telescope, che una volta nello spazio rivelò di avere seri problemi di vista, è chiaro che si è sempre cauti. Ma quei primi assaggi erano veramente spettacolari. Oggi, alla luce di queste primizie dirompenti dal punto di vista scientifico e dal punto di vista estetico, senza dubbio lo posso dire con maggiore cognizione di causa: è un bellissimo regalo di Natale!

Di questo quintetto di immagini, qual è quella che l'ha colpita di più e perché

È difficile, è come se avessi innanzi cinque giganti dell'arte e dovessi fare una scelta. Ciascuna di queste immagini è stata ovviamente selezionata sapientemente in rappresentanza delle capacità del James Webb. Si osservano sia nel tripudio di colori e dettagli letteralmente artistici – come una tela – della Nebulosa di Eta Carinae che in un'immagine più asettica, come può essere lo spettro di un esopianeta. Ciascuna di quelle immagini è una dimostrazione delle grandi caratteristiche di questo strumento in un determinato ambito. Ma se io dovessi appunto sceglierne una, mi ha colpito particolarmente l'immagine del quintetto di Stephan. Si tratta di un gruppo di galassie che mi entusiasmò sin da quando ero piccolo, da quando sfogliavo i libri di astronomia nei primi anni '80. È uno dei gruppi di galassie interagenti più importanti nel campo dell'astrofisica perché è relativamente vicino; è molto studiato e quindi permette di valutare i meccanismi di interazione tra galassie, che poi sono in realtà molto frequenti. Senz'altro è la mia preferita. Ma francamente si fa fatica a mettere sul podio una di queste immagini, sarebbe più che opportuno un ex aequo.

Credit: NASA
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Rispetto all'immagine del quintetto di Stephan catturata dal celebre Telescopio Spaziale Hubble, cosa offre in più in quella del Webb? Perché è significativa delle caratteristiche del nuovo strumento?

Apprezzo questa domanda perché proprio ieri, prima di immergermi nel clima della Superluna, ho ripescato l'immagine del quintetto di Stephan di Hubble di diversi anni anni fa. Il confronto fra le due è veramente indicativo dei pregi e delle differenze tra i due strumenti. Voglio però fare una premessa. Hubble ha svolto un lavoro straordinario, non è neanche necessario sottolineare i risultati rivoluzionari che ha permesso di ottenere nel campo della scienza astronomica, nella cosmologia. Oltre alla bellezza delle sue immagini, che hanno letteralmente plasmato l'immaginario collettivo in relazione allo spazio. Artisti di tutto il mondo sono stati ispirati da quelle visioni e le hanno fatte proprie. Lo dico perché dall'arrivo del James Webb sembra che Hubble sia da mandare in pensione; ma continuerà a operare finché glielo permetteranno i suoi strumenti. Hubble lavora imperterrito da oltre 30 anni, pur con qualche acciacco aggirato dalla bravura degli ingegneri dell'istituto del telescopio spaziale di Baltimora. È stato 32 anni in orbita. A memoria non mi vengono in mente strumenti così tecnologici che lavorano con una tale continuità, al di là del problema di vista iniziale poi corretto in modo perfetto. Posso augurare al James Webb di avere la stessa sorte di Hubble. Detto questo, dov'è che James Webb supera – una parola che non amo molto, ma che rende bene l'idea del confronto – Hubble? Innanzitutto nel diametro delle ottiche. Lo specchio di James Webb, pur sezionato negli ormai famosi 18 tasselli che evocano la struttura dell'occhio di una mosca – un'idea italiana del professor Guido Horn d'Arturo dell'Osservatorio di Bologna – ha un diametro complessivo di 6,5 metri. L'occhio di Hubble conta su uno specchio inferiore ai 2,5 metri. Facendo il rapporto fra le aree, supponendo che lo specchio del Webb sia sferico, ciò ci dice quanta più luce riesce a raccogliere il nuovo strumento. Questo è già un primo dato straordinario. Poi la scelta di farlo operare nell'infrarosso, di sintonizzare tutti i suoi strumenti, la sua vista su una lunghezza d'onda cui l'occhio ad esempio non è sensibile. Noi lo vediamo benissimo manifestarsi nei colori dell'arcobaleno, abbiamo una sensibilità alla radiazione elettromagnetica che nel gergo collettivo si dice dal violetto al rosso. L'infrarosso è oltre il rosso. Si entra in un campo di energie e lunghezze d'onda a cui l'occhio non reagisce ma che il corpo percepisce come calore. L'infrarosso noi lo percepiamo come calore. So che sembra una provocazione nominarlo in questi tempi così afosi, ma un termosifone acceso che sappiamo essere caldo l'occhio non lo vede al buio. L'infrarosso lo vedrebbe luminoso perché emette calore. L'infrarosso ha il grande potere di penetrare le polveri. Esse sono presenti nel contesto locale, all'interno delle nebulose e della galassia, ma anche in contesti extragalattici: l'infrarosso permette appunto di attraversare queste polveri, che spesso finiscono col nascondere un obiettivo scientifico dietro di esse. Penso alle stelle in formazione all'interno delle nebulose, dove la presenza di polveri non permette a uno strumento ottico di guardare attraverso quel banco di particelle polverose. E quindi si resta a bocca asciutta rispetto a ciò che accade dietro. L'infrarosso ha la capacità di guardarci attraverso e stanare l'oggetto dei miei desideri astronomici. Questo ha una serie di importanti ricadute nello studio della formazione stellare (anche nelle primissime fasi), della formazione dei sistemi planetari e nella capacità di andare a indagare anche le proprietà fisiche e chimiche dei sistemi planetari. Questo quando si resta “nei paraggi della Terra”, all'interno della nostra galassia. Quando invece si scomodano le distanze cosmologiche, l'infrarosso offre un altro vantaggio. Come sappiamo l'espansione dell'Universo genera il cosiddetto redshift cosmologico, lo spostamento delle lunghezze d'onda verso il rosso; il James Webb le rende sensibili ai nostri occhi e agli strumenti che emulano il nostro occhio, come quelli a bordo di Hubble. Questo significa che osservando nell'infrarosso l'Universo lontano si va a sondare una regione che dal punto di vista elettromagnetico è tumultuosa. Osservare nell'infrarosso ha il grande vantaggio che alle grandi distanze mi sintonizza sullo spostamento verso il rosso, quindi riesco a vedere dove prima non potevo. In più penetro le polveri anche a breve distanza, scovando tutto ciò che si verifica all'interno. Formazione di pianeti, formazione di stelle e via discorrendo. Questi due elementi, maggiore diametro e sensibilità all'infrarosso, sono essenziali per comprendere la grande differenza tra questi strumenti. Paragonando le immagini del quintetto di Stephan ce ne rendiamo conto, perché le galassie del quintetto riprese da Hubble (bellissime, meravigliose) sono disturbate dalle polveri che oscurano i nuclei delle galassie, come un'ombra. Nelle riprese di James Webb questo non si vede, proprio perché l'infrarosso penetra quelle regioni e svela ciò che c'è lì dentro.

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C'è dunque tutto un mondo da scoprire anche dietro le immagini già catturate da Hubble e altri strumenti

Quando è stato immaginato il James Webb, è stato immaginato non per sovrapporsi al percorso straordinario di Hubble. È stato costruito affinché accedesse in modo diverso e ottimale all'Universo, ereditando tutto il percorso di Hubble ma spingendosi molto oltre grazie a queste scelte che definirei strategiche.

La prima immagine del James Webb diffusa dalla NASA e dalla Casa Bianca mostra un campo profondo, in cui si vedono galassie la cui luce ha impiegato oltre 13 miliardi di anni per raggiungerci. Riusciremo ad andare più in profondità e guardare ancor più indietro nel tempo col James Webb? O è stato già mostrato il “limite” cui può ambire il telescopio?

Secondo me c'è ancora margine per rosicchiare qualcosa. Non è facile perché più si sprofonda alle distanze cosmologiche, più ovviamente ci si sposta verso il rosso. Poi c'è il limite estremo – ma lì siamo veramente molto oltre – della radiazione di fondo cosmica, che è talmente spostata verso il rosso che occorre lavorare nelle microonde per recepirla. Teniamo conto di una cosa per valutare questo primo campo profondo del James Webb. Per ottenere quella visione così profonda, il telescopio ha raccolto luce da quella piccola porzione di cielo per 12 ore, quindi ha pazientemente collezionato ogni fotone proveniente da quella regione per questo intervallo di tempo. Ecco, teniamo presente che anche il Telescopio Hubble ha dato prova di poter studiare l'Universo a grande profondità, ma i suoi campi profondi più estremi li ha ottenuti osservando per quasi due settimane. Questo per dire che c'è una differenza straordinaria, sostanzialmente da mezza giornata a oltre 12 giorni se ricordo bene, 400 orbite di Hubble. Già solo questo paragone ci fa capire quale sia la potenzialità del James Webb. Mi chiedo quale campo profondo potrebbe rivelare il telescopio rimanendo a osservare e collezionare radiazione non per 12 ore, ma per dieci volte tanto. Quindi sono convinto che possiamo andare più in profondità e sicuramente ci saranno tentativi in quella direzione. Una delle ragioni per cui è stato realizzato il James Webb è proprio spingersi il più lontano possibile. Al di là di questa spettacolare immagine dimostrativa (diciamo così, non è un modo di ridurla) ci saranno certamente tentativi più estremi e specialistici che verranno nel corso degli anni. Aspettiamoci riprese con un maggior tempo di integrazione che verosimilmente ci permetteranno di andare ancora un po' più lontano.

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Sappiamo per quali obiettivi è stato costruito il James Webb, ma come per Hubble le cose più belle potrebbero essere quelle inaspettate. Secondo lei quali sorprese potrebbe regalarci?

In tutta franchezza io penso ci siano molti desideri. Abbiamo nelle nostre mani uno strumento così capace che uno si sente anche autorizzato a spolverare dei sogni proibiti. Io penso che questo strumento possa sfoggiare risultati inattesi. La scienza e la conoscenza ci hanno sempre invitati a non essere presuntuosi, nel senso che tutto quello che noi immaginiamo di bello attorno a questo strumento non è che una porzione del bello che ci porterà. Molte di queste scoperte inattese deriveranno da iniziative e da studi ispirati dai risultati ottenuti durante la ricerca. Io oggi vado a osservare un Universo estremo come quello della prima immagine per poi rendermi conto che, in base a quell'immagine, posso tentare una variante, un approccio leggermente diverso da quello che vedo. Molte cose noi non le possiamo nemmeno immaginare, perché deriveranno da indizi e spunti che ci trasferiranno i primi risultati. È come qualcuno che viaggia e a un certo punto del viaggio – straordinario fino a quel momento – decide di aggiungere una meta che non poteva immaginare alla partenza, ma che invece si può immaginare a metà strada in virtù dell'esperienza vissuta. Un risultato che mi piacerebbe moltissimo vedere concretizzato è la capacità di caratterizzare anche i pianeti di piccola taglia, quelli rocciosi che affascinano di più. Almeno nella concretezza di un suolo solido ci ricordano la nostra Terra. Magari grazie alle raffinatissime capacità spettroscopiche di Webb potremmo iniziare a precisarne la ricetta chimica delle atmosfere e conoscere meglio le condizioni di temperatura. Per mia inclinazione e curiosità personale mi aspetto molto da questo settore, quello dei pianeti extrasolari. Con molta franchezza ritengo che i risultati più grandi James Webb li fornirà in ambiti che noi oggi non possiamo neanche immaginare, semplicemente perché non abbiamo mai avuto tra le mani uno strumento come questo. E quindi anche la nostra creatività, la nostra inventiva, saranno sollecitate da fattori che dobbiamo ancora raccogliere. È un po' come giocare al rilancio, non so se ho reso l'idea.

Oltre alle immagini “classiche”, la NASA ha diffuso lo spettro dell'atmosfera dell'esopianeta WASP-96b: cosa l'ha colpita di più?

Mi ha colpito non solo il fatto del vedere esplicita la presenza della molecola per noi più preziosa, l'acqua, in quel caso allo stato di vapore, ma la risoluzione di questo spettro, di un esopianeta distante 1.120 anni luce. Il dettaglio con cui viene scandita la presenza dell'acqua – in un contesto “dantesco”, con temperatura di 720° C – lo trovo sbalorditivo. Chi ha progettato e calibrato quegli strumenti ha fatto un lavoro essenziale. Magari potrebbe sfuggire la filiera che porta ad avere uno strumento come questo. Nel momento in cui si taglia il traguardo e si vince il Gran Premio tutti applaudono il pilota, onore al merito naturalmente, ma lì in quella macchina c'è il nome di un team complesso. Porta a casa un mezzo che esprime il lavoro di molti. Anche per il solo il fatto di minimizzare i rischi di un progetto così complesso. Non dimentichiamo che James Webb opera a 1,2 milioni di chilometri dalla Terra; qualora dovesse avere un problema non è immaginabile una missione di servizio come avvenne più volte con Hubble, a partire dai famosi "occhiali correttivi". Qui non è assolutamente possibile. Posso immaginare la tensione di chi ha lavorato per lustri su questo progetto.

Lo spettro del pianeta Credit: NASA
Lo spettro del pianeta Credit: NASA

Puntando il James Webb verso obiettivi nel Sistema solare, cosa potrebbe regalarci di straordinario?

Esprimo un altro piccolo desiderio, umanamente. A me piacerebbe che ritornasse nei paraggi del Sole un oggetto esterno al nostro angolo di Universo. Come fu qualche anno fa con Omuamua. Realmente, non so cosa darei affinché riaccada una cosa del genere avendo a disposizione il James Webb per un lasso di tempo sufficientemente lungo. Magari avvistare l'oggetto mentre è ancora in avvicinamento, seguirlo intorno al Sole e abbastanza a lungo mentre si allontana, grazie alle caratteristiche e alla potenza di questo telescopio. Piuttosto che trovarselo sotto il naso un po' all'improvviso per poi vederlo svanire, senza avere un'ampia finestra osservativa. Ecco, nel nostro sistema planetario mi piacerebbe molto che il James Webb avesse questa opportunità, di aiutarci a cogliere i dettagli circa la fisica e la chimica di un visitatore “straniero”, un asteroide o una cometa. Così da poterci regalare dettagli sui sistemi planetari intorno ad altri soli. Lo dico con sincerità, questa è la cosa che mi piacerebbe in assoluto di più. Sognare non costa nulla e speriamo che nella vita operativa del James Webb – attesa nell'ordine del decennio ma che con buona probabilità potrebbe essere prolungata di molto – si possa indagare su un ospite temporaneo. Il nome del telescopio potrebbe legarsi a un'indagine esclusiva di questo tipo, oltre che a tante altre ricerche. Io me lo auguro e lo auguro alla comunità scientifica.

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