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Chi urla, scalcia e tira pugni nel sonno ha un rischio elevato di sviluppare il Parkinson

Circa il 60 percento dei pazienti con un sonno molto agitato, caratterizzato da urla, calci e pugni, sviluppa il morbo di Parkinson entro una dozzina di anni.
A cura di Andrea Centini
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Chi urla e si agita durante il sonno, tirando pugni, calci e facendo altri movimenti repentini con braccia e gambe, ha un rischio sensibilmente superiore di sviluppare il morbo di Parkinson nel giro di alcuni anni. L'associazione tra il Disturbo comportamentale durante il sonno REM o RBD (acronimo di Rapid eye movement Behavioural Disorder) e la patologia neurodegenerativa è talmente forte che il sonno molto agitato viene considerato “uno dei marker predittivi più importanti della malattia”. Non a caso “circa il 60% dei pazienti che urlano, scalciano e tirano pugni sviluppa la malattia entro 10-12 anni”, specifica in un comunicato stampa la Società Italiana di Neurologia (SIN), pubblicato in occasione della Giornata Mondiale della Malattia di Parkinson che si celebra ogni anno l'11 di aprile. La data corrisponde a quella della nascita del medico, geologo e paleontologo londinese James Parkinson (11 aprile 1755 – 21 dicembre 1824), che pochi anni prima della sua morte descrisse alcuni casi della cosiddetta “paralisi agitante”. Decenni dopo, questa condizione caratterizzata da movimenti lenti e tremori – a causa della morte delle cellule che producono dopamina – fu chiamata proprio malattia di Parkinson in suo onore.

La patologia colpisce oltre 5 milioni di persone nel mondo, 400mila delle quali si trovano in Italia. È una percentuale significativa rispetto al numero complessivo, dovuta all'invecchiamento della popolazione italiana; il Parkinson è infatti una malattia che interessa prevalentemente la terza età (ma non esclusivamente) e in media esordisce attorno ai 60 anni. Come indicato dalla SIN, tuttavia, entro i prossimi 15 anni è previsto un incremento delle persone coinvolte, con 6mila nuovi casi annui, “di cui la metà colpiti in età lavorativa”.

Quando si manifestano i sintomi caratteristici, come i tremori e i movimenti lenti, la malattia è già in una fase particolarmente avanzata; a quel punto, spiega la SIN, già il 60 percento delle cellule dopaminergiche (quelle che producono e rilasciano dopamina) è andato perduto. Per questo è fondamentale intercettarla molto prima per offrire i migliori trattamenti preventivi ai pazienti. Tra i segnali premonitori indicati dalla SIN associati un elevato rischio di Parkinson vi sono deficit olfattivo, dolori alle articolazioni, depressione e il già citato sonno molto disturbato.

Lo studio internazionale “Dopaminergic imaging and clinical predictors for phenoconversion of REM sleep behaviour disorder” guidato da scienziati italiani del Dipartimento di Neuroscienze dell'Università di Genova e dell'IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, ad esempio, ha rilevato che i pazienti con più di 70 anni affetti da Disturbo comportamentale durante il sonno REM, costipazione e ridotta funzione dopaminergica hanno un elevato rischio di sviluppare il Parkinson, spesso entro un paio di anni. Gli scienziati guidati dal professor Dario Arnaldi sottolineano che se i pazienti fossero trattati preventivamente con farmaci neuroprotettivi durante questa fase prodromica si potrebbero avere risultati terapeutici migliori. “Iniziare il trattamento in una fase precoce di malattia o meglio ancora nella fase pre-sintomatica è importante sia per controllare i sintomi che per rallentare l'evoluzione della malattia stessa. In queste fasi, infatti, i farmaci dopaminergici o farmaci neuroprotettivi (in studio) potrebbero davvero modificarne il decorso”, ha affermato il professor Alfredo Berardelli presidente della Sin.

Recentemente sono stati fatti passi in avanti significativi nel trattamento dei sintomi tipici del morbo di Parkinson, grazie a macchine all'avanguardia come la MrgFUS già disponibile anche in Italia.

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