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Il pene maschile è la misura di tutte le cose: soprattutto nell’arte

La nudità è argomento scabroso, ma non nell’arte. E i genitali maschili rappresentano il “metro” attraverso cui misurare la nostra cultura.
A cura di Federica D'Alfonso
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David di Michelangelo (particolare)
David di Michelangelo (particolare)

La nudità è sempre stata, per quanto la nostra contemporaneità pudica suggerisca il contrario, la cartina di tornasole della concezione estetica e morale di una società. In particolare i genitali maschili, in una cultura fortemente predominata proprio dall'elemento maschile (almeno per gran parte della sua storia), sembrano essere il “metro” per misurare la nostra cultura. E non solo metaforicamente parlando.

La nudità "eroica" degli antichi greci

Hermes e Dioniso, Museo Archeologico, Olimpia
Hermes e Dioniso, Museo Archeologico, Olimpia

Secondo i parametri storicizzati dell'estetica delle cosiddette “belle arti”, il nudo non viene semplicemente copiato dalla natura: esso viene trasmutato esteticamente dall'artista, trasceso, concettualmente elevato e distinto dall'utilità e dagli scopi puramente illustrativi o decorativi che una raffigurazione pittorica a primo sguardo può suggerire. Nella storia dell'arte il nudo non viene quindi, come accade invece nella quotidianità, immediatamente associato all'erotismo, benché questa componente sia presente. Da esso derivano significati mitologici, religiosi, legati alle più intime sfere dell'umanità, e ideali, che attraverso l'estetica connotando lo statuto stesso della cultura.

Galata Morente, Musei Capitolini, Roma
Galata Morente, Musei Capitolini, Roma

L'esempio più splendido, quello della Grecia antica. Splendidi sono i marmi di Prassitele che raffigurano, nudi, Hermes e Dioniso nell'abbraccio fraterno, come splendido e struggente è il guerriero raffigurato nella "Galata morente", colto nell'attimo estremo della fine. Sempre, ovviamente, nudi. Fu insomma una prerogativa dell'arte classica e poi della rinascimentale quella di rappresentare gli uomini nudi come guerrieri o dei, e le donne come divinità o ninfe. Una dimensione eterea dell'anatomia, celebrativa della bellezza naturale del corpo umano.

Anche in seguito, dopo un breve periodo di “censura” nel Medioevo, la nudità torna presente in moltissimi capolavori dell'arte occidentale, dal Rinascimento all'Ottocento.

Opera di Hans Grien
Opera di Hans Grien

Come non citare la pittura cinquecentesca di Hans Baldug Grien, ricca di richiami non solo fallici ma anche ai rituali orgiastici, o la maiolica meno nota ma non per questo da tralasciare di Francesco Urbini, che a differenza dell'Arcimboldi, sceglie di raffigurare il suo personaggio con tanti organi genitali maschili. E gli esempi sarebbero ancora molti.

Francesco Urbini
Francesco Urbini

Lo studio e la rappresentazione artistica del corpo umano nudo è stata insomma una costante in tutta la storia dell'arte, dalla preistoria, con la maestosa e magnifica Venere di Willendorf, fino ai giorni nostri. In uno studio pubblicato nel 1956, dal titolo emblematico di "The Nude: a Study in Ideal", Lord Kenneth Clark distingueva fra la semplice nudità di un corpo e il nudo come rappresentazione artistica. Secondo l'autore, essere del tutto privi di vestiti implica inevitabilmente una situazione d'imbarazzo e di vergogna, mentre un nudo in quanto opera d'arte non ha mai in sé tali connotazioni. Una separazione netta, decisa: ma che sussiste ancora al giorno d'oggi?

Ma il pene resta la misura di tutte le cose

Priapo, Pompei
Priapo, Pompei

A chiunque sarà capitato, ammirando il bellissimo David di Michelangelo, capolavoro indiscusso dell'età rinascimentale di pensare che fosse, almeno a colpo d'occhio…sproporzionato. In realtà il David non è tacciabile di essere “poco dotato” (se mai questa perversa idea abbia sfiorato chi si sia trovato di fronte alla statua): tutte le parti della scultura, pene compreso, sottostanno a precise regole di proporzione classiche. Per gli antichi greci il fine ultimo della rappresentazione di un corpo nudo era la messa in pratica dell'ideale di perfezione estetica: ebbene per i greci un pene grande, o anche solo “normale”, non era affatto elegante. Era anzi qualcosa di assolutamente negativo, orribile. Solo gli schiavi o i “non greci” venivano raffigurati con peni enormi in segno di grande disprezzo.

Per questo un'altro dei personaggi più noti dell'antichità, Priapo, leggendario “eroe” della mitologia greca e romana, divenne famoso per la lunghezza esagerata del pene: per quanto molti uomini possano pensare che questa sia una dote quasi divina, il povero Priapo, con la sua misura extra large, scontava un castigo dei più terribili. La sua colpa? Essere nato dal rapporto adultero di Zeus con Afrodite. Era, moglie legittima e tradita del padre degli dei, per punire l'affronto si vendicò sul piccolo Priapo, dandogli un aspetto grottesco, con enormi organi genitali, particolarmente pronunciati nelle dimensioni del pene e del glande.

I miti greci insegnano molte cose sull'animo umano: in questo caso fanno riflettere su quanto tempi siano cambiati, su quanto la percezione della nudità e della sessualità sia cambiata, divenendo centrale ma allo stesso tempo, incomprensibile….e sproporzionata.

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