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Il medico che lavorò a Novara ammette: “Sono una spia”. La moglie: “Confessione estorta”

Ahmadreza Djalali, il medico e ricercatore iraniano 46enne che lavorò anche in Italia, era stato arrestato a Teheran ad aprile 2016 e poi condannato a morte. Ora è comparso sulla tv di stato iraniana per “ammettere le proprie colpe”.
A cura di Susanna Picone
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Ahmadreza Djalali, il medico e ricercatore quarantaseienne arrestato in Iran nel 2016 con l’accusa di spionaggio e condannato a morte, avrebbe ammesso “le proprie colpe” in televisione, ovvero di aver spiato il programma nucleare di Teheran per conto di una nazione europea. La scorsa settimana la Corte suprema iraniana ha confermato la condanna a morte per spionaggio. In tv il medico non avrebbe nominato direttamente quale nazione ma il presentatore ha citato il Mossad mentre scorrevano le immagini dei documenti svedesi dell’uomo e del Colosseo. Il medico e ricercatore ha lavorato in passato anche in Italia, all'università di Novara. Lui stesso avrebbe spiegato che in cambio della sua attività di spia avrebbe ottenuto la cittadinanza di un Paese europeo. Avrebbe detto di aver iniziato a lavorare con alcuni scienziati americani e europei dopo la laurea e poi di essere stato contattato da un operativo chiamato “Thomas” e di aver iniziato a collaborare con un servizio di sicurezza europeo. Secondo quanto da lui spiegato, gli avrebbero chiesto informazioni sulle attività iraniane e le persone che lavoravano ai progetti nucleari. Avrebbe anche detto di aver incontrato “almeno 50 volte” gli 007 stranieri e che è stato pagato 2000 euro a incontro. Djalali avrebbe quindi passato informazioni anche su alcuni scienziati nucleari iraniani uccisi tra 2010 e 2012.

La moglie non crede alla confessione – Chi però non crede a questa confessione è sua moglie Vida Mehrannia, secondo cui “è tutto falso”. “Ahmadreza me l'ha confermato: è una confessione estorta”, avrebbe spiegato a Repubblica Vida,  “l'hanno costretto a farla dopo torture, minacce di morte a lui e alla famiglia e dopo tre mesi di isolamento in una cella di tre metri. Il video andato in onda in Iran è stato girato circa un anno fa credo”. Secondo la moglie, al medico iraniano avrebbero scritto “il copione”, e “quando cambiava una frase ricominciano le minacce e le torture”. “Ahmadreza – ha aggiunto ancora la consorte – mi ha detto che si è piegato perché avevano promesso di liberarlo in cambio di una confessione. Ma ovviamente lo hanno fregato”. Per salvare Djalali dalla condanna a morte era nata una vera e propria mobilitazione internazionale. I figli del medico si erano rivolti anche a papa Francesco chiedendo di non lasciarlo morire.

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