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Green Hill, nuova inchiesta dopo le condanne: indagato veterinario dell’Asl

A pochi giorni dalla sentenza di condanna di tre dirigenti del canile di Montichiari, il pm ha iscritto nel registro degli indagati un veterinario che deve rispondere di falso ideologico, maltrattamenti e animalicidio.
A cura di Susanna Picone
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Il caso dei cani beagle di Green Hill salvati dal destino dei laboratori scientifici nel Bresciano è destinato a tenere ancora banco. Dopo la sentenza di condanna di dieci giorni fa di tre dirigenti del canile lager di Montichiari dove si allevavano cani di razza beagle destinati alla sperimentazione e chiuso nell’estate del 2012, la Procura di Brescia ha infatti aperto una nuova inchiesta su Green Hill. Il pubblico ministero Ambrogio Cassiani ha iscritto nel registro degli indagati un veterinario dell’Asl di Lonato (Brescia) che dovrà rispondere di falso ideologico, maltrattamenti e animalicidio. La Procura ha intenzione di capire perché per anni dai controlli nei capannoni dell’allevamento di beagle di Montichiari non fosse emerso nulla di irregolare. Agli atti della nuova inchiesta, da quanto si apprende, ci sono delle mail con i suggerimenti per non incappare in sanzioni forniti dal veterinario ora indagato ai vertici di Green Hill.

Il processo Green Hill

Si è concluso con tre condanne per maltrattamento e uccisione di animali e con una assoluzione il processo di primo grado Green Hill. La prima sezione penale del tribunale di Brescia ha condannato a un anno e sei mesi Renzo Graziosi e Ghislane Rondot, rispettivamente veterinario e co-gestore di Green Hill 2001, e a un anno il direttore dell'allevamento, Roberto Bravi. Assolto invece Bernard Gotti, co-gestore di Green Hill. Per i condannati è stata decretata inoltre la sospensione dell'attività per due anni. La sentenza era molto attesa dalle associazioni animalisti che hanno esultato per la decisione dei giudici. Gli avvocati difensori di Green Hill invece, hanno fatto sapere che sicuramente ricorreranno in appello: per i legali gli imputati andavano assolti perché “il fatto non sussiste e non vi è stata condotta dolosa”.

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