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Pogrom, rastrellamenti, campi di detenzione: strategie pre-elettorali in Grecia

Rastrellamenti anti-immigrati nel centro di Atene. Il governo Papademos e la destra greca rispolverano una pesante retorica xenofobia allo scopo di ritrovare consensi e spostare l’attenzione sulle cause della crisi. Ora il nemico è l’immigrato e – per tanto – occorre rastrellare e rinchiudere, non importa chi, non importa dove, non importa perché.
A cura di Anna Coluccino
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L'inqualificabile classe politica che, dalla caduta della Junta fino ad oggi ha (mal)governato la Grecia, affossandola, è alla disperata ricerca di un capro espiatorio capace di assolverla dalle sue innumerevoli colpe. Colpe che, ora come ora, sembrano più che mai evidenti, innegabili, e che impediscono la serena ripresa del potere da parte dei partiti che, da sempre, si alternano al governo della nazione ellenica. Sia la Nuova Democrazia – il maggior partito di centrodestra – che il PASOK – il maggior partito di centrosinistra – soffrono di un calo di consensi e di frequenti scissioni realizzate da alcuni membri che intendono prendere le distanze dall'appoggio incondizionato al governo tecnico di Papademos. Naturalmente, il calo interessa maggiormente il PASOK e la Nuova Democrazia tenta di approfittare della situazione per rafforzare il proprio radicamento nel territorio ellenico. La strategia è semplice, chiara, atroce: demonizzare gli immigrati, spingere il popolo a credere che tra le principali cause della crisi ci sia la massiccia presenza di stranieri sul suolo greco. I leader della ND e molti dei ministri del governo Papademos parlano apertamente del desiderio di "ripulire la Grecia", affermazioni che – da un lato – attecchiscono in molti strati della popolazioni e – dall'altro – indignano profondamente quanti non sono pronti a credere che le cause della crisi possano in alcun modo essere legate all'ondata di immigrazione di cui la Grecia è stata oggetto nell'ultimo decennio.

La questione dell'immigrazione in Grecia è molto complessa e ha a che fare con trattati e normative europee che hanno finito per rendere la nazione ellenica più esposta di chiunque altro all'ingresso degli immigrati. Ogni giorno, entrano in Grecia 300 nuovi immigrati, in gran parte rifugiati provenienti da paesi in guerra, paesi in cui rischiano la vita a causa di particolari opinioni politiche o appartenenze religiose. Altre volte si tratta di persone mosse dalla fame, dalla disperazione, dal desiderio di una vita dignitosa. La stragrande maggioranza dei migranti non ha alcun desiderio di restare sul territorio ellenico, ma – anche in considerazione dell'inasprimento dei controlli su altre frontiere – si vede costretta a passare il confine greco e, in base al Regolamento Dublino II, una volta messo piede in Grecia gli immigrati sono obbligati a chiedere asilo politico qui. Pur volendo, non possono recarsi altrove (almeno non legalmente), devono fare richiesta di asilo nel paese in cui si trovano e attendere che la richiesta venga esaudita. La Grecia, però, non è in grado di esaudire neppure un ventesimo delle richieste che le vengono sottoposte, e non perché manchino i presupposti legali per accogliere le richieste ma, semplicemente, perché la crisi ha messo in ginocchio il sistema e la politica non ha alcun interesse a mostrarsi compiacente con i rifugiati. Eppure, il diritto di asilo è un diritto sacro, sancito in ogni costituzione democratica degna di questo nome ed è parte integrante della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo. Ma questi ormai, non sono che inutili dettagli, regole del tutto sconfessate dalla realtà dei fatti, mere formulazioni retoriche la cui violazione non produce conseguenza alcuna.

Il potere ha tutto l'interesse a far montare il conflitto sociale, non perde occasione per indicare nell'immigrato un "cancro" da cui occorre liberarsi per guarire dalla crisi e si mostra tristemente indifferente nei confronti delle formazioni neofasciste che, quasi ogni notte, vanno in giro a caccia di immigrati da mazzolare o magari solo spaventare . Molti partiti politici, dalla Nuova Democrazia al Laos (per non parlare di Alba Aurea, formazione dichiaratamente neonazista, resasi protagonista di veri e propri pogrom), non perdono occasione per alimentare la xenofobia. Di concerto con il governo di Papademus e il "Ministero della Difesa del cittadino", la destra greca sta attivando una serie di misure anti-immigrazione che si concretizzano nel rastrellamento di tutti gli stranieri privi di documenti e nella conseguente deportazione dei prigionieri in campi militari dove i prigionieri "sono liberi di muoversi, purché restino all'interno del campo". Questa la curiosa affermazione di una studentessa dell'Università di Atene, una dichiarazione che suona terribilmente contraddittoria ed evidentemente condizionata dalla propaganda di governo: gli immigrati non vengono imprigionati, tutt'altro, sono liberi di muoversi all'interno di una prigione.

Se vi sembra che la cosa abbia poco senso, è perché non ce l'ha. Il governo ha già dichiarato l'intenzione di aprire 30 "campi militari", il primo vedrà la luce nelle prossime ore. Qui ad Atene, tutti coloro che si dichiarano contrari al provvedimento chiamano questi luoghi "campi di concentramento": "L'assenza dell'intenzione di sterminio non assolve l'operato del governo. Un governo razzista che intende scaricare sui più deboli il peso delle proprie colpe. Un governo che sta facendo degli immigrati esseri umani di seconda categoria, il cui diritto alla dignità e alla vita non vale tanto quanto quello dei cittadini greci". Con queste parole Jorgos, attivista per i diritti umani, spiega le ragioni per cui i movimenti si riferiscono a quanto accade con termini che si ricollegano al genocidio nazista. Il punto è che – in fondo – entrambi gli episodi di discriminazione – per quanto sideralmente distanti nella forma – condividono la medesima sostanza: esistono esseri umani superiori, esseri umani che hanno più diritti degli altri, esseri umani più degni di rispetto e compassione e in nome della cui "protezione" è possibile ricorrere all'umiliazione di altri esseri umani che, tutto sommato, non sono proprio "come noi".

Nella giornata di ieri, nel centro della città, di fronte alla facoltà di economia di Atene, abbiamo assistito alla triste conferma di tutto quanto si era vociferato in queste settimane. Per tre giorni due ali di poliziotti hanno circondato un'area la cui caratteristica è quella di essere intensamente popolata di venditori ambulanti. I primi due giorni i poliziotti – in rigorosa tenuta antisommossa: scudo, mitra, maschera antigas, lacrimogeni e compagnia cantando – si sono limitati ad avanzare ed arretrare, senza far nulla. Inscenando la medesima tattica-di-sfiancamento  che avevamo visto all'opera durante le manifestazione del 24 e del 25 marzo. Il terzo giorno, però, sono entrati in azione. Hanno rastrellato buona parte degli immigrati che, stoicamente, avevano deciso di ripresentarsi in strada nonostante fossero a conoscenza dei rischi, li hanno caricati sulle camionette e portati chissà dove. "Non hanno i documenti" dicevano, "Vendono prodotti illegali" ripetevano. Eppure nulla in tutta quella situazione suggeriva che l'operazione avesse natura e scopi legalitari. Se molti immigrati non possiedono i documenti che attestano il loro status di rifugiati è perché il sistema è il tilt, e non assicura il diritto di asilo anche nel caso in cui ci fossero le condizioni per ottenerlo; se molti immigrati vendono prodotti illegali per le strade è perché non trovano nessun'altra occupazione e i trattati europei (o i controlli alle frontiere delle altre nazioni) impediscono loro di andarlo a cercare altrove. Ma questo non sembra importare né ai tanti governi europei né a buona parte della società civile. Perché – in fondo – le brave persone se ne restano a casa propria, non vanno a rubare lavoro altrove, non se ne vanno in giro per i paesi che hanno già i loro problemi da sbrigare, non si muovono clandestinamente, a rischio della vita, da una parte all'altra del mondo, nemmeno se sono disperate, nemmeno se sono a un passo dal morire di fame, nemmeno se hanno una famiglia da mantenere, nemmeno se sono perseguitate. Le brave persone restano a casa loro, se ne stanno buoni e tranquilli a schiattare in silenzio, senza scocciare l'occidente che ha già le sue belle rogne. Questo fanno le brave persone. Perciò, se mai i nostri paesi non fossero più in grado di offrirci un futuro dignitoso, se rischieremo la fame restando nel paese in cui siamo nati, faremmo bene a restarci comunque. Altrimenti anche noi diventeremo cattive persone, esseri umani di serie B ai quali verrà, al massimo, magnanimamente consentito di girovagare liberamente all'interno delle prigioni.

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