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Conflitto Israelo-Palestinese

Perché Israele ha ritirato le truppe da Khan Yunis e quanto ha inciso la pressione degli USA

Lorenzo Trombetta: “Sono due i fattori che hanno determinato il ritiro di Israele da Khan Younis: le pressioni politiche da parte degli Stati Uniti, che da tempo chiedevano un alleggerimento della pressione sul fronte sud di Gaza. E una forte pressione interna, perché una delle condizioni poste da Hamas per la ripresa dei negoziati sulla liberazione degli ostaggi era una riduzione degli attacchi israeliani nell’area meridionale della Striscia”.
Intervista a Lorenzo Trombetta
Analista di Limes, corrispondente Ansa e ricercatore con sede a Beirut.
A cura di Davide Falcioni
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Il governo israeliano ha ordinato ieri il ritiro di tutte le truppe da Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza. La decisione del gabinetto di guerra di Benjamin Netanyahu è stata motivata all'opinione pubblica interna con l'avvenuta distruzione di tutte le residue cellule di Hamas che insistevano in città e con la necessità di preparare gli uomini alle prossime operazioni militari, a partire da un attacco a Rafah che ogni giorno viene presentato come imminente.

Intanto migliaia di palestinesi, sfollati da Khan Yunis lo scorso autunno, hanno fatto ritorno in città e si sono trovati davanti a uno scenario apocalittico. Gli edifici rimasti intatti sono estremamente rari tanto che, secondo Al Jazeera, almeno il 90 per cento del nucleo urbano sarebbe "distrutto e irriconoscibile". Ma cosa c'è davvero dietro la decisione del governo Netanyahu di alleggerire la pressione nel sud di Gaza? Quanto hanno inciso le ultime dichiarazioni di Joe Biden e le pressioni interne ed esterne? E soprattutto, in che modo il ritiro da Khan Yunis si inserisce nel complesso negoziato con Hamas per giungere a un cessate il fuoco? Fanpage.it l'ha chiesto a Lorenzo Trombetta, analista di Limes, corrispondente Ansa e ricercatore con sede a Beirut.

Lorenzo Trombetta
Lorenzo Trombetta

Ieri l'esercito ha ritirato la 98ma Divisione – ultima tra quelle di terra combattenti che operava nel sud della Striscia, nell'area di Khan Yunis: cosa c'è dietro questa decisione da parte di Tel Aviv?

Sono prevalentemente due i fattori che hanno determinato questa decisione da parte di Benjamin Netanyahu: innanzitutto le pressioni politiche da parte degli Stati Uniti, che da tempo chiedevano un alleggerimento della pressione sul fronte sud di Gaza. Sappiamo inoltre che Tel Aviv sta subendo una forte pressione interna, perché una delle condizioni poste da Hamas per la ripresa dei negoziati sulla liberazione degli ostaggi era una riduzione degli attacchi israeliani nell'area meridionale della Striscia. Ritengo che la decisione di Netanyahu di ritirarsi da Khan Younis sia dovuta principalmente a questi due elementi, oltre che a considerazioni tattiche e operative sul terreno, ovvero la necessità di Israele di concentrare lo sforzo militare verso il confine con il Libano alleggerendo un po' la presenza, e anche l'attenzione, sulla Striscia di Gaza meridionale. Queste sono le ragioni che hanno spinto il governo israeliano a ritirare le truppe da Khan Younis, con una netta prevalenza però dei motivi politici su quelli militari e strategici.

Dopo l’uccisione dei sette operatori umanitari di World Central Kitchen vi è stata una telefonata tra Biden e Netanyahu che è stata descritta come molto dura. Dopo quella chiamata Israele ha ammesso le sue responsabilità nel raid e ieri ha deciso di andarsene da Khan Younis. È un caso?

Credo che i cambiamenti nella condotta di Israele siano stati molto più graduali. Le pressioni americane sono state sempre più evidenti a partire da gennaio ma va ricordato che sono state accompagnate da un sostegno militare e logistico costante: solo pochi giorni fa infatti gli USA hanno approvato la vendita di una nuova tranche di armi, munizioni e bombe, a dimostrazione che le pressioni non vanno mai confuse con i dati di realtà. Va considerato, inoltre, che gli Stati Uniti tra pochi mesi andranno al voto e che Biden, pur sostenendo strategicamente Israele, deve tener conto dell'opinione pubblica interna mandando al suo elettorato dei segnali di moderazione. Di certo, comunque, i rapporti tra Biden e Netanyahu sono di continua negoziazione. Le novità delle ultime ore non arrivano all'improvviso e non sono figlie dell'ultima telefonata con la Casa Bianca; seguono invece lo scandalo internazionale dell'uccisione degli operatori umanitari di WCK, le accuse di genocidio alla Corte Internazionale di Giustizia e l'astensione degli USA nel voto al Consiglio di Sicurezza ONU che chiedeva un cessate il fuoco a Gaza. Insomma, nulla di quello che è avvenuto negli ultimi giorni è avvenuto per caso.

Profughi palestinesi fanno ritorno in una Khan Younis distrutta
Profughi palestinesi fanno ritorno in una Khan Younis distrutta

Il Ministro della Difesa israeliano ha annunciato che il ritiro da Khan Younis serve a preparare l'attacco militare su Rafah. Quando potrebbe avvenire questo attacco?

Dobbiamo distinguere attentamente tra la retorica e la pratica: la prima vuole che dopo il ritiro da Khan Younis il governo israeliano debba comunque dichiarare che l'opera di smantellamento di Hamas proseguirà. Ricordo, tanto per restare in Medio Oriente, che il governo siriano da 50 anni ogni giorno annuncia che libererà le alture del Golan. La pratica però è molto diversa: sicuramente Israele ha un piano operativo già pronto, ma dal punto di vista politico lanciare un massiccio attacco su Rafah è tutt'altro che semplice: ricordiamo che Tel Aviv subisce pressioni interne, da parte degli Stati Uniti e in generale della Comunità internazionale. Queste pressioni indicano chiaramente a Netanyahu che non si può attaccare Rafah: i costi umanitari per la popolazione palestinese sarebbero immensi e probabilmente insostenibili.

Cosa possiamo aspettarci dal nuovo round di negoziati in corso in queste ore al Cairo?

Come abbiamo imparato in questi sei mesi fare delle previsioni sull'esito dei negoziati è molto pericoloso perché le trattative si svolgono sul filo del rasoio. Stando a quanto emerge dai resoconti che arrivano dal Cairo si può parlare di cautissimo ottimismo, secondo altri osservatori invece occorre essere più pessimisti. A questo punto credo che non ci rimanga che guardare ai dati di fatto: Israele ha alleggerito la pressione nel sud di Gaza e questo è un segnale indubbiamente importante, che rende questo negoziato leggermente più prospero rispetto ai precedenti. Tuttavia sono molte altre le variabili da considerare.

Quali?

Hamas punta al raggiungimento di un "accordo quadro", che costituirebbe una vittoria per il partito palestinese armato. Israele invece punta a fare alcune concessioni, tollerando porzioni minime di sovranità e potere di Hamas su Gaza. Tel Aviv, dunque, ha bisogno di cavalcare ancora la retorica del 7 ottobre e per questo non può firmare quell'accordo quadro che Hamas chiede. Questa è la grande distanza che separa le due parti, e solo i prossimi giorni ci diranno se si arriverà a un'intesa almeno per un cessate il fuoco, il rilascio degli ostaggi e l'ingresso a Gaza di cospicui aiuti umanitari.

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