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Opinioni

Cosa succede se i repubblicani vincono le elezioni di midterm 2022 (e cosa c’entra Donald Trump)

Si svolgeranno l’8 novembre le elezioni di midterm 2022 negli Stati Uniti. Secondo i sondaggi, i repubblicani sono in vantaggio almeno alla Camera dei Rappresentanti: ecco cosa succederebbe se venissero confermate queste previsioni, dalla guerra in Ucraina al settore della giustizia fino alla possibile ricandidatura di Donald Trump alle presidenziali 2024.
A cura di Daniele Angrisani
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Manca poco alle elezioni di Midterm 2022. Il prossimo martedì 8 novembre gli americani saranno chiamati alle urne per il rinnovo delle due Camere del Congresso: il Senato degli Stati Uniti e la Camera dei Rappresentanti. Secondo gli ultimi sondaggi, almeno quest'ultima potrebbe vedere il trionfo del partito repubblicano a discapito dei democratici. Ma cosa succederebbe nel caso in cui le previsioni della vigilia fossero confermate?

I repubblicani alla Camera non stanno perdendo tempo e si stanno già preparando a mettere a punto una serie di indagini che intendono aprire sull’Amministrazione Biden, in particolare sugli affari del figlio del Presidente Biden, Hunter Biden.

L’obiettivo è quello di comprendere se la leadership di Biden sia stata in qualche modo condizionata dagli affari di suo figlio o dei membri della sua famiglia, mettendo sotto l’occhio del mirino potenziali "conflitti di interessi" tra le decisioni di Biden come Presidente e gli affari di famiglia.

A tal scopo lo staff repubblicano della Camera ha già copie del disco rigido di Hunter Biden e lo stanno esaminando da mesi per trovare prove a supporto di queste ipotesi investigative.

"Se Joe Biden è compromesso dagli affari della sua famiglia, allora è una minaccia per la nostra sicurezza nazionale", afferma ad esempio James Comer, il deputato repubblicano che nel caso probabile di vittoria repubblicana diventerà il potente presidente della Commissione Vigilanza della Camera dei Rappresentanti.

Hunter Biden e le attività di affari della famiglia Biden sono da tempo al centro dell'attenzione dei repubblicani di Capitol Hill, dei media di destra e dell'ex Presidente Trump, la cui richiesta al presidente ucraino Volodymyr Zelensky di indagare sui suoi affari in Ucraina ha portato al primo fallito processo di impeachment contro di lui.

I repubblicani sono ora interessati a diverse questioni riguardanti gli affari della famiglia Biden, tra cui i rapporti di Hunter Biden con un conglomerato energetico cinese e se questo rapporto abbia creato conflitti di interesse con le decisioni del Presidente Biden.

Un'inchiesta del Washington Post sugli affari di Hunter Biden con CEFC China Energy non ha trovato alcuna prova del fatto che il Presidente in carica abbia personalmente beneficiato delle transazioni o fosse a conoscenza dei dettagli, anche se i repubblicani della Camera ritengono che ci siano informazioni che indicano il contrario.

Un altro cavallo di battaglia repubblicano è la giustizia: i membri repubblicani della Commissione Giustizia della Camera hanno pubblicato un documento di 1.000 pagine che descrive in dettaglio le accuse di politicizzazione dell'FBI e del Dipartimento di Giustizia durante l’Amministrazione Biden.

Il rapporto servirà come base per la seconda delle indagini che i Repubblicani intendono aprire alla Camera, se dovessero riprenderne il controllo alle elezioni di metà mandato della prossima settimana.

Il deputato Jim Jordan, che probabilmente diventerà il prossimo presidente della Commissione Giustizia della Camera, ed ha già chiarito che userà tale posizione per rendere i prossimi due anni di presidenza di Biden il più difficili possibile per i Democratici, è l’autore di questo rapporto che si basa in larga misura sui dati riferiti dagli informatori all’interno dell'FBI.

Il rapporto evidenzia cinque accuse chiave da parte degli informatori che, secondo i repubblicani, dimostrano una "cultura sistemica di non responsabilità" e "corruzione dilagante, manipolazione e abuso" nel Dipartimento di Giustizia guidato da Merrick Garland. Esse includono:

  • "Gonfiare artificialmente le statistiche sull'estremismo violento interno";
  • "Abusare delle autorità antiterrorismo per indagare sui genitori che hanno parlato alle riunioni dei consigli scolastico";
  • Abusare delle "autorità di intelligence estera per spiare i cittadini americani, comprese persone associate alla campagna del presidente Trump nel 2016";
  • "Licenziare dall’FBI i dipendenti che dissentono dalla agenda di sinistra";
  • Dare priorità ai casi politici rispetto a quelli penali e sottrarre risorse ai "veri compiti di applicazione della legge".

Tutto questo potrebbe avvenire mentre i repubblicani al Congresso e la Casa Bianca saranno comunque costretti a collaborare in qualche modo per trovare accordi su una serie di questioni di primo piano come la riduzione del deficit federale, tenere sotto controllo le spese, finanziare le attività del governo ed evitare un pericoloso default sul debito federale.

Inoltre, come fa notare il senatore democratico centrista Joe Manchin, il prossimo Congresso dovrà probabilmente trovare anche un faticoso compromesso per proteggere la solvibilità di Medicare e Medicaid, due programmi popolari di assistenza sanitaria pubblica per i più anziani ed i più poveri che altrimenti affronteranno seri problemi di finanziamento.

Se Manchin intende continuare a spingere per un accordo bipartisan per sostenere le finanze della previdenza sociale e di Medicare, potrebbe trovare un partner negoziale nel leader della minoranza repubblicana del Senato Mitch McConnell, che ha proposto ampie riforme in questo senso anche in precedenza.

Dopo che i repubblicani avevano conquistato la maggioranza al Senato nelle elezioni di metà mandato del 2014, McConnell aveva già enunciato quello che ha definito il "tasso di crescita insostenibile" di Social Security e Medicare ed avvertito: "Dobbiamo adeguare questi programmi o non ci saranno più nella prossima generazione".

Ma per proseguire su questa strada occorre una volontà collaborativa che è difficile immaginare se i repubblicani decideranno davvero di andare allo scontro aperto contro la Casa Bianca.

E tutto lascia intendere che accadrà: nell'ala più a destra dei repubblicani si parla apertamente già della possibilità di mettere sotto impeachment Biden come "vendetta" nei confronti degli impeachment aperti dai democratici contro Trump negli anni passati.

Come nel caso di quelli contro Trump, non ci sarebbe alcuna chance concreta di arrivare alla condanna. Ciò non toglie che per molti repubblicani, l’impeachment per Biden rappresenta la giusta ritorsione per la "persecuzione" subita da Trump dai democratici quando lui era alla Casa Bianca.

Il supporto americano all’Ucraina

Dopo che la scorsa settimana ha suggerito che i suoi deputati potrebbero bloccare i fondi per l'Ucraina, il probabile futuro Speaker repubblicano della Camera Kevin McCarthy ha fatto di tutto per rassicurare dietro le quinte sul fatto che non stesse realmente pianificando di abbandonare gli aiuti all'Ucraina e stesse invece solo chiedendo una maggiore supervisione di tutti i fondi federali stanziati a Kiev.

Tutto questo offre un'anteprima del tipo di battaglie che si svolgeranno tra l'establishment e l'ala pro-Trump (e più scettica verso Kiev), con un difficile gioco di equilibri – e causa di potenziali grattacapi – per i leader repubblicani della probabile futura maggioranza della Camera dei Rappresentanti.

Fonti repubblicane hanno dichiarato alla CNN di ritenere che solo una piccola fazione di deputati repubblicani – le elezioni di medio termine determineranno quanti – si opponga realmente al finanziamento degli sforzi sul campo di battaglia dell'Ucraina.

Ciò che è più probabile che subisca tagli con una futura maggioranza repubblicana è piuttosto l'assistenza economica e gli altri aiuti non militari destinati all'Ucraina, come i fondi destinati alle Nazioni Unite per aiutare l'Ucraina a ricostruire il suo Paese e i fondi destinati all'USAID per sostenere il bilancio dell'Ucraina.

Inoltre, è probabile che la nuova maggioranza repubblicana alla Camera possa aumentare la supervisione degli aiuti militari destinati all'Ucraina, ad esempio tenendo traccia dell'uso finale delle armi fornite, anche se ciò non sarà per niente semplice: la Casa Bianca ha già ammesso di non avere una perfetta visibilità su come e dove vengono utilizzate le armi fornite dagli Stati Uniti una volta che hanno attraversato il confine con l'Ucraina.

La leadership repubblicana potrebbe infine contrattare il sostegno allo sforzo bellico ucraino anche come leva per costringere in cambio democratici ad appoggiare le priorità repubblicane, come i finanziamenti per la costruzione del muro al confine e la battaglia contro l'immigrazione attraverso il confine con il Messico.

La possibilità di una minore assistenza militare da parte degli Stati Uniti ha suscitato ovviamente nervosismo in Ucraina e in altre parti d'Europa.

"È la guerra del mondo libero e del mondo basato sulle regole contro l'aggressore e questo è esattamente il modo in cui dobbiamo affrontarla", ha dichiarato questa settimana il Ministro della Difesa estone Hanno Pevkur ai giornalisti dopo aver incontrato il Segretario alla Difesa statunitense Lloyd Austin. "Solo quando qualcuno, non importa se repubblicano o democratico, ci dirà che non ci interessa il mondo basato sulle regole, allora potremo dire che smetteremo di aiutare l'Ucraina", ha detto Pevkur.

Tuttavia, molti analisti restano scettici sul fatto che gli Stati Uniti possano davvero tagliare i fondi a Kiev in caso di vittoria repubblicana e fanno notare che, 8 mesi dopo l'invasione russa, il sostegno bipartisan all'Ucraina resta generalmente alto ed è improbabile che ciò cambi presto, soprattutto se le forze ucraine continueranno ad avanzare sul campo di battaglia.

Anche l'opinione pubblica continua generalmente a supportare gli aiuti a favore dell’Ucraina. Un nuovo sondaggio Reuters/Ipsos di questo mese ha mostrato che il 73% degli americani ritiene che gli Stati Uniti debbano continuare a sostenere Kiev, sebbene i democratici restino generalmente più favorevoli (81%) in questo senso dei repubblicani (66%).

Il futuro di Donald Trump proietta una ombra su queste elezioni

Un primo concreto motivo del fatto che queste elezioni sono più importanti che mai è legato ad una persona che non è direttamente presente sulla scheda elettorale, ma la cui ombra si proietta sempre di più sul futuro immediato degli Stati Uniti: l’ex Presidente Donald J. Trump.

Subito dopo le elezioni di medio termine, si attendono infatti due decisioni che potranno cambiare la storia americana: da una parte la decisione di Trump di lanciare la sua candidatura per la presidenza nel 2024 dopo aver perso quelle del 2020.

Dall’altra quella del Procuratore Generale Merrick Garland di annunciare la possibile incriminazione di Trump per la vicenda dei documenti riservati ritrovati a Mar-a-Lago o per gli eventi del 6 gennaio.

Qualsiasi dei due eventi si verifichi per primo potrebbe essere determinante per portare avanti una narrazione di successo, costringendo l'altra parte ad una posizione difensiva. Diventa quindi sempre più una battaglia contro il tempo.

Stando a quanto riporta Axios, Trump sta pensando di annunciare la sua candidatura alla presidenza nel 2024 già il 14 novembre, ovvero a pochi giorni dalla fine delle elezioni di medio termine. L’annuncio ufficiale sarebbe seguito da una serie di eventi politici che dureranno più giorni.

Con i sondaggi che indicano un ottimo risultato per i repubblicani, Trump intende sfruttare l'attesa euforia repubblicana post-elezioni di medio termine per dare slancio al proprio tentativo di riconquistare la Casa Bianca.

Le discussioni sono ancora fluide e la decisione potrebbe cambiare a seconda dei risultati di martedì, soprattutto se il Senato resterà ancora in bilico e la sfida in Georgia tra Herschel Walker e Raphael Warnock sarà decisa al ballottaggio a dicembre.

Nelle ultime settimane, Trump ha comunque lasciato sempre di più intendere che si candiderà, godendosi gli applausi della folla dei sostenitori ai suoi comizi, ogni volta che accennava a questo.

Nel suo ultimo comizio di giovedì a Sioux City, in una delle zone più conservatrici dell’Iowa (uno Stato chiave nel calendario delle primarie repubblicane del 2024), Trump ha detto: "Per rendere il nostro Paese vincente, sicuro e glorioso, molto, molto, molto probabilmente dovrò scendere in campo di nuovo… Preparatevi, questo è tutto ciò che vi dico: molto presto. Preparatevi".

La verità è che dichiarando la sua candidatura prima possibile Trump potrebbe cercare di ottenere i seguenti risultati:

  • Chiamare a raccolta la sua base elettorale e preparare la macchina elettorale della destra alla rivincita contro “Sleepy Joe” Biden;
  • Intimidire i potenziali avversari delle primarie repubblicane e farli mettere da parte prima che dichiarino ufficialmente la propria candidatura. Qualsiasi annuncio arrivasse dopo quello da parte di Trump verrà considerata una mossa ostile nei suoi confronti; in particolare è avvisato il governatore della Florida Ron DeSantis, considerato il potenziale rivale più pericoloso dell’ex Presidente alle primarie;
  • Probabilmente anche cercare di scongiurare in questo modo anche un'incriminazione da parte del Dipartimento di Giustizia; dal punto di vista di Trump si tratterebbe di un enorme errore politico, dal momento che è il favorito assoluto per la conquista della candidatura repubblicana alla presidenza e che una sua incriminazione potrebbe scatenare una risposta violenta da parte dei suoi sostenitori.

Mentre Donald Trump si avvicina sempre di più alla decisione di lanciare un'altra corsa alla presidenza, i funzionari del Dipartimento di Giustizia stanno discutendo della necessità di nominare un Procuratore Speciale per supervisionare le due vaste indagini federali relative all'ex Presidente, rende nota la CNN.

Il Dipartimento di Giustizia sta anche assumendo procuratori esperti, in modo da essere pronto per qualsiasi decisione dopo le elezioni di metà mandato, compresa la potenziale mossa senza precedenti di incriminare un ex Presidente.

Nelle settimane che hanno preceduto le elezioni, il Dipartimento di Giustizia ha osservato il tradizionale periodo di quiete, evitando di fare mosse che potessero avere conseguenze politiche. Ma dietro le quinte, gli investigatori sono andati avanti nelle indagini che riguardano sia gli sforzi per ribaltare le elezioni 2020 che la gestione dei documenti riservati.

La decisione di incriminare o meno Trump o i suoi collaboratori spetterà in ultima istanza al Procuratore Generale Merrick Garland, che il presidente Joe Biden ha scelto per questo incarico perché il suo mandato di giudice gli ha garantito una certa distanza dalla politica, dopo che i repubblicani del Senato avevano bloccato la sua nomina alla Corte Suprema nel 2016.

Molti ex procuratori ritengono che esistano già le prove per poter incriminare Trump, almeno per la vicenda della conservazione dei documenti riservati. Ma Garland dovrà affrontare da solo le conseguenze di una decisione politicamente pericolosa e sicuramente storica.

In generale, probabilmente non ci vorrà molto dopo le elezioni di metà mandato perché l'attenzione si sposti sulla cruciale corsa alle presidenziali del 2024. Questo potrebbe incentivare Garland a prendere al più presto decisioni di primaria importanza.

L’incriminazione di un ex Presidente sarebbe già clamorosa di per sé, ma quella di un candidato attivo per la Casa Bianca con la prospettiva più che concreta di ottenere la candidatura di uno dei due partiti principali, scatenerebbe una tempesta politica senza precedenti, aumentando la pressione repubblicana sul Dipartimento di Giustizia, soprattutto nel caso di vittoria alle elezioni di medio termine.

La situazione potrebbe essere complicata anche dalla indagine in corso in Georgia, dove la procuratrice statale Fani Willis sta indagando separatamente sugli sforzi di Trump per ribaltare i risultati delle elezioni del 2020. Willis ha dichiarato di puntare a un gran giurì speciale che concluda le indagini entro la fine dell'anno. Fonti precedenti hanno detto alla CNN che le incriminazioni potrebbero arrivare già a dicembre.

I principali alleati di Trump, tra cui il senatore repubblicano della South Carolina Lindsey Graham e l'ex capo dello staff della Casa Bianca Mark Meadows sono tra i testimoni che hanno cercato di respingere senza successo i mandati di comparizione nell'ambito di questa indagine in Georgia.

Riguardo l’indagine sui documenti riservati sequestrati a Mar-a-Lago, il gruppo legale di Trump è riuscito a mettere in atto un complicato processo diretto dal tribunale per rallentare i lavori degli inquirenti. Ma il Dipartimento di Giustizia e la comunità dei servizi segreti hanno già avuto accesso per settimane a circa 100 documenti classificati che Trump aveva conservato in Florida.

Secondo una fonte che ha familiarità con l'approccio del Dipartimento di Giustizia, l'esito dell'esame di questi documenti da parte dell'intelligence potrebbe determinare l'eventuale presentazione di accuse penali. In ogni caso, comunque, le decisioni in arrivo da parte di Trump e del Dipartimento di Giustizia potrebbero portare ad una serie di tensioni mai viste prima dall’epoca precedente la Guerra Civile.

I negazionisti elettorali alla ribalta

Il secondo fattore di rischio è legato direttamente alle elezioni di medio termine ed allo stesso tempo nuovamente all’ex Presidente Donald J. Trump.

Secondo un'analisi del Washington Post, la maggior parte dei candidati repubblicani al voto questo novembre per la Camera, il Senato e le principali cariche statali – 291 in tutto – ha negato o messo in discussione l'esito delle ultime elezioni presidenziali che hanno visto Biden battere Trump.

Si tratta del 51% dei 569 candidati analizzati dal Washington Post, che sono in corsa in ogni regione del Paese e in quasi tutti gli Stati. Anche se alcuni sono in corsa in aree fortemente democratiche e si prevede che perderanno, la maggior parte dei negazionisti elettorali nominati alle primarie repubblicane probabilmente vincerà.

Dei quasi 300 sulla scheda elettorale, 171 sono in corsa per seggi di sicuro appannaggio dei repubblicani. Altri 48 si presenteranno sulla scheda elettorale in sfide molto combattute. Le implicazioni potrebbero essere durature.

Se i repubblicani dovessero prendere il controllo della Camera, i negazionisti elettorali avrebbero un enorme potere sulla scelta del prossimo Speaker, che a sua volta potrebbe presiedere la Camera in una futura elezione presidenziale contestata.

I vincitori di tutte le corse statali esaminate dal Post – quelle per Governatore, Vicegovernatore, Segretario di Stato, Procuratore Generale, candidati al Senato e Camera – avranno dunque un certo potere di supervisione delle elezioni americane.

Molti di questi candidati fanno eco alle false affermazioni dell'ex Presidente Trump sui presunti brogli alle elezioni presidenziali di due anni fa: affermazioni che sono state accuratamente indagate e respinte da una miriade di funzionari e tribunali.

Secondo gli esperti, l'insistenza su tali affermazioni, nonostante la mancanza di prove, riflette la volontà dei candidati negazionisti di essere pronti a minare le istituzioni democratiche e la volontà degli elettori se questo dovesse andare a vantaggio della propria parte.

La questione ha dominato in particolare nei principali Stati chiave. In Michigan i negazionisti elettorali sono i principali candidati repubblicani a livello statale: Tudor Dixon come governatore, Matthew DePerno come procuratore generale e Kristina Karamo come segretario di Stato.

Eric Schmitt, il Procuratore Generale del Missouri in lizza per il Senato degli Stati Uniti in autunno, è stato uno dei 18 Procuratori Generali repubblicani che assieme a 126 deputati della Camera hanno firmato l’esposto per rovesciare il voto popolare in Pennsylvania sulla base di presunti brogli elettorali mai comprovati.

Sostituirà quasi certamente Roy Blunt, senatore uscente del Partito Repubblicano che invece ha votato per la certificazione delle elezioni del 2020. In una dichiarazione di voto dell'epoca, Blunt ha citato gli "oltre 90 giudici” – molti dei quali di nomina repubblicana, “compresi diversi nominati dal Presidente Trump" – che hanno respinto i tentativi di Trump e dei suoi alleati di dimostrare che il voto del 2020 è stato viziato da brogli.

La percentuale di negazionisti elettorali sul voto di novembre è particolarmente alta in 3 degli Stati in cui Trump ha contestato maggiormente la sua sconfitta nel 2020: Arizona, Georgia e Michigan. L’ex Presidente Barack Obama ha tenuto negli scorsi giorni un comizio proprio in Arizona, definendo la posta in gioco alle elezioni di metà mandato niente meno che “la possibile fine della democrazia” in Arizona.

La vittoria del Partito Repubblicano, ha proclamato l'ex Presidente davanti a una folla di oltre 1.000 persone in una palestra di una scuola superiore nel sud di Phoenix, significherebbe che "i negazionisti delle elezioni saranno il vostro prossimo Governatore, il vostro senatore, il vostro Segretario di Stato, il vostro Procuratore Generale".

Obama è sembrato prendere sul personale quello che ha definito il rifiuto unilaterale da parte repubblicana delle regole del processo democratico. "Quando Donald Trump ha vinto, sono rimasto sveglio fino alle 3 del mattino per poter fare una telefonata di congratulazioni a qualcuno che si opponeva a tutto ciò che rappresentavo, ma credevo nel trasferimento pacifico del potere", ha detto Obama.

"Ho assistito alla sua inaugurazione. L'abbiamo accolto alla Casa Bianca. Perché l'America dovrebbe essere questo. L'abbiamo dimenticato? Si applicava solo a una parte?". L'ex presidente ha chiesto incredulo: "Che cosa è successo?".

Tra i candidati repubblicani ai nove seggi della Camera dell'Arizona, tutti tranne uno sono negazionisti, secondo l'analisi del Washington Post.

Kari Lake, in corsa per la carica di governatore e favorita dai sondaggi, ha definito "teorico della cospirazione" chiunque creda che il presidente Biden abbia vinto con 81 milioni di voti, anche se successivamente ha fatto una parziale marcia indietro affermando che rispetterà il risultato del voto. Blake Masters, candidato al Senato, ha annunciato inequivocabilmente in uno spot: "Penso che Trump abbia vinto nel 2020".

Mark Finchem, che si è identificato come membro del gruppo di miliziani Oath Keepers ed è il candidato repubblicano alla carica di Segretario di Stato, ha cercato di richiedere un conteggio manuale di tutte le schede e di dare alla legislatura guidata dai repubblicani l'autorità di ribaltare i risultati delle elezioni.

Abraham Hamadeh, candidato alla carica di Procuratore Generale, ha promesso il "giorno della resa dei conti" per "coloro che hanno lavorato per derubare il presidente Trump nelle elezioni truccate del 2020", abbinando il suo avvertimento a un'immagine di un uomo con le manette.

La "battaglia per la democrazia" di Joe Biden

È facile quindi capire per quale motivo, secondo un recente sondaggio Washington Post-ABC News, un'ampia maggioranza bipartisan di americani teme che negli Stati Uniti ci sia un sempre più maggiore rischio di violenza a sfondo politico.

Quasi 9 americani su 10 (88%) temono che le divisioni politiche si siano intensificate al punto da aumentare il rischio di violenza di matrice politica negli Stati Uniti, tra cui oltre 6 su 10 che si dicono "molto preoccupati".

Secondo il sondaggio, tra i due partiti, gli americani accusano maggiormente il Partito Repubblicano per il rischio di violenza, ma la differenza non è ampia: il 31%, contro il 25% che accusa invece maggiormente il Partito Democratico. Un altro 32% incolpa entrambi i partiti in egual misura. La maggior parte dei democratici e dei repubblicani incolpa però il partito avversario.

Il sondaggio è stato condotto nella settimana in cui Paul Pelosi, il marito della Speaker democratica della Camera Nancy Pelosi, è stato aggredito a casa loro da un aggressore con un martello e successivamente ricoverato in ospedale.

Il presunto aggressore, David DePape, 42 anni, ha gridato "Dov'è Nancy? Dov'è Nancy?" dopo aver fatto irruzione nella casa dei Pelosi. Si tratta della stessa frase affermata da molti di coloro che il 6 gennaio 2021 avevano fatto irruzione al Campidoglio per cercare senza successo di bloccare la ratifica della vittoria di Biden.

I post online di DePape contengono "testi profondamente razzisti e antisemiti, oltre a post pro-Trump e anti-democratici", ha riportato inoltre il Washington Post.

Ma non solo i democratici nel mirino della violenza: le figlie di un candidato repubblicano, di 3 e 5 anni, sono quasi uccise dopo che un uomo armato ha aperto il fuoco nella casa in North Carolina – dove il rivale democratico ha girato uno spot elettorale – e il proiettile è arrivato vicino a dove dormivano.

La sparatoria è avvenuta il 18 ottobre a Hickory, in una casa appartenente ai genitori del repubblicano Pat Harrigan, che lotta per un seggio libero nel 14° distretto del Congresso. Le figlie del candidato stavano dormendo nella camera da letto direttamente sopra la stanza in cui è avvenuta la sparatoria, con il proiettile proveniente da un'area densamente boscosa dietro la casa.

Harrigan, produttore di armi da fuoco ed ex berretto verde, si è poi fatto avanti per affermare che non si sarebbe fatto intimidire dalla sparatoria e che "le minacce di morte non sono sufficienti a far ritirare questo berretto verde dalla sua missione".

In questo contesto di violenza sempre più diffusa, il Presidente Joe Biden in settimana ha tenuto un durissimo discorso sul futuro della democrazia americana in cui ha collegato tali episodi all'ex Presidente Donald J. Trump e al suo rifiuto di accettare la sconfitta nelle elezioni presidenziali del 2020.

Biden ha avvertito che "forze oscure con sete di potere" intendono minacciare la democrazia anche nelle elezioni di metà mandato di martedì prossimo e senza fare direttamente il nome di Trump, è stato comunque chiaro sul fatto che le elezioni della prossima settimana saranno un referendum sulla "Grande Menzogna" di Trump sulle elezioni di due anni fa.

"La democrazia americana è sotto attacco perché l'ex Presidente degli Stati Uniti sconfitto si è rifiutato di accettare i risultati delle elezioni del 2020", ha detto Biden nel suo discorso. "E Trump ha fatto della Grande Menzogna un articolo di fede del partito repubblicano", ha aggiunto Biden.

"La grande ironia delle elezioni del 2020 è che si tratta delle elezioni più attaccate della nostra storia. Eppure, non c'è elezione nella nostra storia di cui possiamo essere più certi dei risultati. Ogni sfida legale che si sarebbe potuta presentare è stata portata avanti. Ogni riconteggio che poteva essere intrapreso è stato intrapreso. Ogni riconteggio ha confermato i risultati".

"Questa intimidazione, questa violenza contro i democratici, i repubblicani e i funzionari non di parte che stanno solo facendo il loro lavoro, sono la conseguenza di bugie dette per il potere e il profitto. Sono menzogne che si basano sulla cospirazione e la malvagità, bugie ripetute in continuazione per generare un ciclo di rabbia, odio, vetriolo e persino violenza", ha detto Biden.

Il presidente in carica ha dipinto quindi le elezioni di medio termine come una battaglia tra democrazia e autocrazia. "Democrazia significa governo del popolo, non il governo dei ricchi e dei potenti, ma il governo del popolo. L'autocrazia è l'opposto della democrazia. Significa il dominio di una sola persona, di un solo interesse, di una sola ideologia, di un solo partito", ha detto.

"Quest'anno spero che il futuro della nostra democrazia diventi una parte importante della vostra decisione di votare e di come votate", ha detto il Presidente. "Quello che stiamo facendo ora determinerà se la democrazia durerà ancora a lungo", ha avvertito.

È indicativo il fatto che Biden ha tenuto questo discorso dal Columbus Club di Union Station a Washington D.C., a pochi isolati dall'edificio del Campidoglio, il luogo dell'insurrezione fallita del 6 gennaio.

Non molto lontano da lì è visibile in distanza l'obelisco del Washington Mall vicino al Lincoln Memorial, dedicato al grande Presidente Abraham Lincoln che ha guidato gli Stati Uniti durante la Guerra Civile. Un recente sondaggio condotto dalla Yale University ha riscontrato che più della metà dei cittadini adulti americani ritiene che nei prossimi anni ci sarà una nuova guerra civile negli Stati Uniti.

Durante il suo memorabile discorso a Gettysburg, il 19 novembre del 1863, Lincoln ha affermato:

“Entrambi i partiti deprecavano la guerra; ma uno di loro avrebbe fatto la guerra piuttosto che lasciare che la nazione sopravvivesse; e l'altro avrebbe accettato la guerra piuttosto che lasciarla perire. E la guerra alla fine è arrivata…. Speriamo con affetto – preghiamo con fervore – che il potente flagello della guerra possa passare rapidamente”.

Mentre nubi sempre più cupe si addensano sul futuro degli Stati Uniti, possiamo solo sperare che gli elettori americani ed i leader politici di entrambi i partiti sappiano essere all’altezza di un momento chiave della giovane storia di questo Paese ed essere in grado di impedire il ritorno di questo orribile flagello.

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Daniele Angrisani, 43 anni. Appassionato da sempre di politica internazionale, soprattutto Stati Uniti e Russia. 
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