
Non ce ne vogliano il Time e i costruttori dell’intelligenza artificiale, ma la nostra persona dell’anno si chiama Rahaf Abu Jazar, aveva otto mesi ed è morta a Gaza, nel campo profughi di Kahn Younes due notti fa. A ucciderla non sono state le bombe di Israele, ma il freddo e la pioggia torrenziale che battono incessantemente sulle tende di Gaza. Tende che, da due anni, sono la casa di centinaia di migliaia di palestinesi.
La nostra persona dell’anno è Rahaf Abu Jaza perché è il simbolo, uno dei tanti, di uno dei peggiori genocidi della Storia recente di questo pianeta, perpetrato da un nostro alleato, con le nostre armi, il nostro beneplacito, la nostra acquiescenza.
Un genocidio che abbiamo prima ignorato, poi negato, su cui poi abbiamo spaccato il capello in quattro – “è un massacro, un abominio disumano, una carneficina, ma non un genocidio”, dicevano quelli che fino a ieri difendevano il diritto di Israele a difendersi – e che infine abbiamo deciso che era finito per un accordo firmato a Sharm el Sheik da Stati Uniti, Egitto, Turchia e Qatar.
Un giochino che ha funzionato benissimo quello del presidente americano Donald Trump, prova tecnica di tutte le sue “verità alternative”: se dico che la guerra è finita, è finita. Se dico che i palestinesi hanno smesso di morire, hanno smesso di morire. Se dico che potete voltarvi dall’altra parte e riporre le bandiere e lo spettacolo è finito, dovete crederci e stare zitti. E in effetti, buona parte dell’opinione pubblica ci ha creduto ed è stata zitta.
È stato un attimo. Tutti gli occhi che erano su Gaza, si sono rivolti altrove. Quelli che se ne sono sempre fregati di tutte le guerre del mondo, ora dicono che dobbiamo occuparci anche del Sudan e del Congo, per par condicio. Quelli che difendono il diritto della casa editrice Passaggio al Bosco di portare i suoi libri dedicati a nazisti e fascisti alle fiere si sono rimessi a distribuire patenti di antisemitismo a chiunque provi a dire qualcosa contro Israele. Addirittura Graziano Delrio e altri parlamentari del Partito Democratico si sono sentiti in dovere di presentare un disegno di legge che bolla come opinione antisemita e perseguibile per legge quella di chi equipara il governo di Israele e quello della Germania di Hitler. E, già che si sono, tutti si prodigano nel distruggere la figura pubblica di Francesca Albanese, che avrà pure avuto uscite molto fuori luogo, ma è comunque una tizia sotto sanzioni degli Stati Uniti d’America per aver detto che a Gaza è in atto un genocidio e che diverse aziende americane (e non) l’hanno finanziato, facendo nomi e cognomi.
Nel frattempo, mentre noi ci prodighiamo nella normalizzazione di quanto ci aveva inorridito solo fino a poche settimane fa, Rahaf Abu Jazar, otto mesi, è morta di freddo sotto la pioggia. Invisibile, come le decine di migliaia di morti a Gaza, di cui quasi ventimila bambini senza nome ne volto. Ed è per questo che dobbiamo impararne a memoria il nome, almeno il suo, Rahaf Abu Jazar, perché è il nome della nostra cattiva coscienza, nell’anno della nostra cattiva coscienza.