La Francia approva la legge che definisce stupro ogni atto sessuale senza consenso

C'è una frase che, da oggi, entra nella storia del diritto francese: "Ogni atto sessuale senza consenso è violenza". Con queste parole, la Francia ha infatti riscritto la definizione di stupro, introducendo un principio tanto semplice quanto rivoluzionario: la libertà sessuale non si misura più nei segni della forza, ma nella presenza, o nell'assenza, di un "sì". Non è solo una riforma legislativa, ma una svolta di civiltà.
Dopo decenni di dibattiti, resistenze e testimonianze ignorate, il Parlamento francese ha infatti approvato in via definitiva la legge che ridefinisce il reato di violenza sessuale: basta la mancanza di consenso. Un cambiamento che chiude un'epoca e ne apre un'altra, fondata sulla cultura del rispetto, dell'ascolto e della responsabilità.
Il caso che ha cambiato tutto: Gisèle Pelicot e la giustizia negata
A innescare questa rivoluzione non è stato un principio astratto, ma una storia terribile e concreta. Quella di Gisèle Pelicot, una donna francese che per anni è stata drogata, abusata e filmata dal marito, mentre altri uomini, invitati da lui, la violentavano nel sonno; un incubo domestico durato oltre un decennio, che però, per la legge dell'epoca, non bastava a configurare uno stupro. Mancava, si diceva allora, "la prova della coercizione fisica". Un verdetto che non ha ferito solo una donna, ma l'intera coscienza pubblica francese e quella internazionale; che ha messo a nudo le crepe di un sistema giuridico ancora prigioniero di una visione antica, dove la violenza era un fatto di forza, non di libertà negata.
Da quel momento, la vicenda Pelicot è diventata simbolo, detonatore, battaglia. E oggi il suo nome si lega a una riforma pensata per restituire alla parola "consenso" il suo significato più pieno: scelta, presenza e dignità.
Il consenso come fondamento: libero, esplicito, revocabile
La nuova legge francese introduce insomma una definizione limpida e senza ambiguità: il consenso è "una manifestazione libera, specifica, informata e revocabile della volontà di partecipare a un atto sessuale". Parole calibrate con precisione giuridica e con un peso morale davvero profondo: "libera", perché nessuna pressione, minaccia o squilibrio di potere può renderla valida. "Esplicita", perché il silenzio, l'immobilità, la paura non possono essere interpretati come assenso. "Revocabile", perché nessun sì, una volta pronunciato, diventa definitivo. La libertà sessuale, in questa prospettiva, non è un accordo ma un ascolto: un dialogo che si rinnova a ogni gesto, a ogni parola, nel riconoscimento dell'altro come uguale e libero. E il principio che ne scaturisce è chiaro, e cioè che l'unico consenso che conta è quello attivo e continuo. E come ha detto in Parlamento la deputata ecologista Marie-Charlotte Garin, tra le promotrici della riforma, "quando non dici di sì, è no. L'unico sì che vale è un sì libero".
Una legge che parla di cultura prima ancora che di diritto
Per il ministro della Giustizia Éric Dupond-Moretti, è "un progresso culturale prima ancora che giuridico". E in effetti lo è: questa norma non si limita a modificare un articolo del Code pénal, ma cambia il modo in cui la società francese pensa il corpo, il consenso e la libertà. Fino a oggi, lo stupro esisteva solo se accompagnato da violenza, minaccia o coercizione. Da domani, il fulcro diventa la volontà: la possibilità di scegliere e di ritirare quella scelta in qualunque momento. È un passaggio, insomma, che sposta il peso del diritto — e della coscienza collettiva — dalla forza alla libertà, dalla costrizione al rispetto.
"No significa no": la nuova grammatica del rispetto
Il cuore della riforma si può riassumere in una frase davvero semplice, ma oggi quasi rivoluzionaria: "No significa no". Ma il testo va oltre. Non basta più negare: serve affermare. Serve, cioè, un "sì" libero, consapevole, presente. È un cambiamento che tocca il linguaggio prima ancora delle leggi, perché riconosce una verità che la giustizia per troppo tempo ha ignorato: molte vittime non riescono a dire "no". Non perché acconsentano, ma perché la paura paralizza, la vergogna soffoca, la sopravvivenza impone il silenzio. Con la nuova legge, quel silenzio non potrà più essere scambiato per consenso. E questo, più di ogni altra cosa, segna l'inizio di una nuova idea di libertà.
L'Italia e l'Europa: due visioni, due velocità
E mentre la Francia imprime questa svolta epocale, l'Europa si divide invece ancora tra chi ha già compiuto il salto culturale e chi resta ancorato a una visione tradizionale della violenza sessuale: paesi come Spagna, Svezia, Danimarca, Belgio, Germania e Grecia hanno già introdotto leggi basate sul consenso. La loro logica è quella del "solo sì è sì": un modello che cioè sposta il baricentro dalla violenza fisica alla libertà di autodeterminazione. L'Italia, invece, resta ferma al 1996. L'articolo 609-bis del Codice penale continua infatti a definire lo stupro come un atto sessuale imposto "con violenza o minaccia"; il consenso insomma non è nominato, non è richiesto, non è il fulcro della fattispecie penale; questo significa che un rapporto sessuale avvenuto senza consenso, ma senza coercizione, non è automaticamente considerato stupro. È una lacuna che la giurisprudenza prova da anni a colmare, ma che lascia spazio a interpretazioni e, talvolta, a ingiustizie.
Alcuni tentativi di riforma ci sono stati: nel 2023, la presidente della Commissione femminicidio Valeria Valente ha proposto una revisione ispirata al modello europeo, e l'on. Laura Boldrini ha portato in Parlamento un testo basato sul principio del "solo sì è sì". Ma tutto è rimasto bloccato nelle commissioni, soffocato da dubbi, resistenze e paure, quelle, soprattutto, legate alla prova del consenso e all'onere di dimostrarne l'assenza. Un divario, dunque, che non è solo giuridico, ma culturale. È la distanza tra chi fonda la giustizia sull'autodeterminazione e chi la misura ancora sulla forza.
 
		 
  