Giornalista dissidente russo a Fanpage: “Torturato per inchiesta su mascherine inviate in Italia”

Arrestato e torturato per aver fatto il suo lavoro da giornalista. Pavel Broska Semchuk da anni critica il presidente Vladimir Putin direttamente in Russia e per questo ha pagato caro. Ora, però, si è rifugiato in Italia e ai microfoni di Fanpage.it racconta la difficoltà di fare un'informazione onesta a Mosca e dintorni, con il pericolo costante di venire imprigionati o addirittura essere uccisi.
Il reporter denuncia di aver ricevuto una perquisizione in casa, poi di essere stato prelevato e malmenato dai servizi segreti russi dopo la pubblicazione di un articolo che svelava vera la natura di una delle operazioni di aiuto predisposte da Putin verso l'Italia. "Dopo aver scritto questo articolo – ci racconta- mi è stato chiesto di cancellarlo, altrimenti sarei stato licenziato dalla redazione. Mi sono rifiutato e mi hanno cacciato, poi sono stato prelevato da qualche organizzazione e portato in una località segreta: mi hanno tenuto lì per tre giorni e picchiato ripetutamente".
Broska, infatti, durante la fase più dura della pandemia, ha provato a fare luce su una spedizione umanitaria che avrebbe dovuto portare a Napoli circa un milione di mascherine. Per questo è stato preso di mira dai servizi di sicurezza di Mosca. "Quando mi hanno portato via – aggiunge- non capivo dove fossi, le persone non avevano uniformi e non si sono identificate. Hanno cercato di strapparmi delle confessioni, poi mi hanno portato via e gettato fuori dall'auto, dicendomi di sparire o avrebbero avviato un procedimento penale inventato". Così Broska è dovuto sparire davvero, smettendo di fare il giornalista. "Le minacce – ci spiega- continuavano e allora ho deciso di lasciare la Russia". Dopo il suo arrivo in Italia, Broska, che è assistito dall'avvocato Alexandro Maria Tirelli, presidente delle Camere penali internazionali, ha deciso di creare un giornale che parli a tutti gli esuli russi nel mondo.
Tirelli ci dice che l'associazione si è interessata al caso di Pavel "perché ci eravamo occupati in precedenza di accogliere le richieste di aiuto umanitario proveniente da organizzazioni civili della Crimea, durante il periodo più tragico della pandemia". L'associazione di penalisti, così, aveva contattato il giornalista tramite canali istituzionali, chiedendo di portare avanti una piccola indagine sul caso delle mascherine inviate dalla Russia. "Le organizzazioni che offrivano i dispositivi– aggiunge Tirelli- erano civili per modo di dire, nel senso che l'ente che si proponeva di donare era l'organizzazione dei veterani della Flotta del Mar Nero, quindi con militari o ex militari. In un tipo di regime come quello russo è ovvio che questo tipo di esternazioni non possono che avvenire se esiste un consenso di natura politica".
E ora la situazione, con lo scoppio della guerra, si è fatta ancora più critica. "Dopo il 24 febbraio – ci dice Broska- non c'è libertà di parola in Russia, io me ne sono dovuto andare perché venivo minacciato di morte, per chi è rimasto è ancora peggio". Il giornalista racconta come tutti i media indipendenti siano stati chiusi, con procedimenti penali verso editori e cronisti non allineati. "C'è un'unica grande macchina di giornalisti finanziati dallo Stato – chiosa- producendo le stesse informazioni su qualsiasi canale".