La dottoressa di Emergency tornata da Gaza: “Bimbi con piaghe fino all’osso, fermiamo lo sterminio”

"Per un periodo non c'erano neanche gli antidolorifici. E allora non c'era molto da fare. Quando possibile, abbiamo fatto ricorso a creatività e alla fortuna per trovare delle soluzioni decenti contro il dolore. Ma il più delle volte ai pazienti potevamo dare solo una pacca sulla spalla, e invitarli ad avere pazienza". È con queste parole che la dottoressa Raffaela Baiocchi, ginecologa di Emergency rientrata poche settimane fa dalla Striscia di Gaza, descrive una delle sfide più drammatiche del lavoro medico in zona di guerra: curare senza farmaci, perché bloccati da Israele insieme agli altri aiuti umanitari, nella cinica strategia di stremare la popolazione palestinese non solo con bombe e missili, ma anche con fame e malattie.
Raffaela Baiocchi ha trascorso mesi nella clinica che l'organizzazione umanitaria italiana fondata da Gino Strada e Teresa Sarti gestisce nell'area di Khan Younis, il governatorato centrale della Striscia. Da lì ha assistito al progressivo deteriorarsi della situazione sanitaria e alimentare di una popolazione sotto assedio da ormai quasi due anni. La sua testimonianza – che abbiamo raccolto a San Benedetto del Tronto in un'iniziativa organizzata da Piceno per la Palestina – offre uno spaccato crudo di quella che definisce "una catena infinita" di sofferenza.
Farmaci razionati e "creatività" forzata
La carenza di farmaci essenziali ha trasformato la pratica medica in un esercizio di equilibrismo e creatività, con necessità cliniche inderogabili che devono fare i conti con le poche risorse disponibili. "Sono circa due mesi che non ci sono più farmaci per la tiroide a Gaza. Stiamo parlando di medicinali che normalmente sono facili da trovare ovunque. Ma lì sono finiti". Racconta la ginecologa che scarseggiano anche i farmaci per le convulsioni, così come garze e materiale per le medicazioni di ferite e traumi. In questo quadro, i medici sono costretti ad arrangiarsi: "Gli antibiotici – spiega ancora – sono stati i primi a finire. E lì ci si mette a studiare, a capire, perché un farmaco non vale l'altro. Si cerca di individuare quali possano essere le equivalenze, cosa si può dare, e ci si chiama in continuazione tra colleghi per cercare una soluzione". Anche antidolorifici e antinfiammatori nei mesi scorsi sono stati carenti, così le sofferenze di feriti e malati si sono inutilmente acuite. "Ora ne abbiamo a sufficienza, ma siamo costretti a usarli con raziocinio".

Ferite sempre più complesse
Il tipo di lesioni che i medici si trovano a curare riflette la particolare natura di questo conflitto, in cui i morti e feriti sono in larghissima parte tra la popolazione civile palestinese, vittime per lo più di esplosioni e crolli di edifici. Ma non sono solo i traumi da guerra a preoccupare i dottori. Le condizioni di vita precarie hanno moltiplicato tipologie di lesioni prima inimmaginabili: "Vediamo di tutto; anche persone che a causa di questi traumi sono immobilizzate e quindi hanno enormi piaghe da decubito. Se qualcuno ha un anziano in casa in Italia e vede delle macchie rosse subito corre ai ripari. A Gaza invece non c'è niente da fare: parliamo di buchi in cui si vedono le ossa, anche nei bambini".
Le ustioni rappresentano un'altra emergenza quotidiana. "Abbiamo una quantità di ustioni incredibile perché nella Striscia non si vive più in case normali; si sta in tende sovraffollate. Basta che ti muovi e puoi bruciarti con una pentola, riportare lesioni da contatto. Oppure possono caderti addosso acqua e olio bollenti. Oppure ti scotti perché non c'è più combustibile, quindi fondi delle bottiglie di plastica racimolate qua e là". Un episodio emblematico delle condizioni disperate di vita a cui sono sottoposti i gazawi: "L'unico furto che abbiamo avuto nella nostra clinica è stato il gel, quello per disinfettare le mani. Abbiamo detto: ‘Che strano furto!' E una persona del nostro staff ci ha spiegato: ‘Eh, ma con quello si accende il fuoco'".
Lesioni e traumi che non guariscono a causa della fame
Le condizioni igieniche precarie aggravano ogni tipo di lesione. E come se non bastasse, la carenza di cibo peggiora il tutto. "Se non mangi o mangi male, anche una ferita banale impiega una vita a guarire. Molte persone vivono in tende di fortuna sulla spiaggia di Gaza, e le loro ferite sono costantemente a contatto con la sabbia. Così non guariscono mai, si infettano, e il girone infernale ogni volta ricomincia da capo".
La mancanza di materiali sanitari di base costringe a improvvisazioni che in contesti normali sarebbero impensabili. Persino le grandi organizzazioni internazionali sono in difficoltà: "Emergency in Italia è molto famosa, ma a livello internazionale siamo una realtà di medie dimensioni. Ci sono organizzazioni enormi che sono venute a bussare ai nostri magazzini, perché avevano finito le riserve di alcuni farmaci o di altro materiale indispensabile".
I divieti imposti da Israele: niente ossigeno e pali per le tende
Tra gli aspetti più kafkiani del lavoro umanitario a Gaza, Raffaela Baiocchi racconta i divieti – imposti da Israele – che impediscono l'ingresso di materiali assolutamente innocui ma spacciati per potenziali armi. "Quando sono arrivata ho scoperto che l'idea iniziale di Emergency a Gaza era quella di realizzare una struttura mobile da campo. Perché non si è fatta? Perché le tende non possono entrare. E perché le tende non possono entrare? Perché non possono entrare i pali di metallo. Questi oggetti sono nella lista israeliana del ‘dual use', cioè delle cose che potrebbero essere usate non solo per lo scopo che tu dichiari – come costruire un ospedale – ma anche per finalità belliche". Vale anche per l'ossigeno, gas indispensabile in ambito sanitario, ma che teoricamente potrebbe essere impiegato anche come esplosivo. "E questo – aggiunge la dottoressa – farebbe quasi ridere, se non fosse un dramma".
La fame anche sui volti dei medici
Oltre alle ferite e alle malattie, i medici di Gaza devono confrontarsi con un nemico ancora più subdolo: la malnutrizione. "Io la fame l'ho vista anche sulle facce e sui corpi delle persone che lavorano con me, perché li ho visti a mesi di distanza. Ho notato che hanno perso molti chili", afferma la dottoressa. La malnutrizione colpisce però soprattutto i gruppi vulnerabili presenti nella Striscia: "Si parla dei bambini perché togliere a loro alimenti significa comprometterne lo sviluppo, non solo il mantenimento in salute, ma proprio lo sviluppo cerebrale, fisico, lo sviluppo in altezza e quello muscolare". Oltre a loro ci sono "gli anziani, i disabili, le donne incinte: stanno aumentando tutte le complicanze legate alla malnutrizione, all'anemia e allo stress in gravidanza. Il latte materno è la sostanza più nutriente del mondo, però se non mangi abbastanza, se non ti idrati abbastanza, quel latte scarseggia".

Feriti per un pezzo di pane
In questo quadro catastrofico la ricerca disperata di un po' di cibo spinge le persone a rischiare la vita. D'altro canto quando non mangi da giorni e vedi precipitare un sacco di farina gli corri incontro, senza pensare che potrebbe essere caduto in un'area molto pericolosa, piena di esplosivi o cecchini. "Abbiamo visto che anche parenti dei nostri dipendenti – che già hanno un lavoro, quindi hanno un minimo potere d'acquisto – sono spesso finiti al pronto soccorso con colpi d'arma da fuoco: erano andati nei centri di distribuzione di cibo gestiti da Israele o sulle rotte dei camion che portano i fantomatici aiuti. Ma anziché cibo, hanno rimediato pallottole".
Come è noto, infatti, i centri di distribuzione degli aiuti alimentari sono diventati zone di guerra: "Ricordo una signora venuta in ospedale con una ferita lungo tutto l'addome. Le ho chiesto: ‘Come ti sei fatta questo?'. ‘Stavo cercando del cibo con le mie buste, ma c'era un cecchino israeliano e mi ha colpita‘".
"Il tonno? Neanche i gatti lo mangiano"
Quando gli aiuti riescono ad arrivare spesso sono di qualità scadente o totalmente inadeguati. Emblematico un aneddoto raccontato dalla ginecologa. "A maggio, quando era cominciato a entrare qualche aiuto, un giorno vediamo delle scatole di tonno. Una nostra collega palestinese che cucina per un gruppo di gazawi ci dice: ‘Finalmente riceviamo delle proteine'. Aprono questo tonno, lo mettono insieme a dei pomodori. Lo assaggiano, ma è immangiabile'. Si sforzano ancora un po', ma nonostante la fame non ne possono più e lo danno al gatto". Come è finita? "Il micio ha mangiato solo i pomodori. Neanche lui ha voluto quel tonno, che forse era scaduto dopo essere rimasto per mesi in un camion abbandonato al sole".
Il peso della gratitudine
Per i medici occidentali che lavorano a Gaza, c'è anche il peso emotivo della gratitudine espressa quotidianamente dai pazienti. "Io soffro moltissimo la loro gratitudine; le persone di una certa età, sia uomini che donne, cercano di baciarci la mano. Io mi ritraggo, e loro spesso ci rimangono male, ma faccio una gran fatica ad accettare i loro ‘grazie'". Perché? "Mi vergogno. Appartengo anche io a quell'Occidente che non ha fatto nulla, e non fa ancora nulla di incisivo, per fermare questo sterminio".