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Chi è Hemitti, da pastore a boia del Darfur: il “senza misericordia” ora è a capo del Sudan

Pastore di greggi di pecore nel Darfur, poi capo delle milizie tribali al soldo del dittatore Al Bashir per placare le rivolte interne. Le sue spietate truppe sono accusate da Human Rights Watch di pesanti violazioni dei diritti umani in Darfur tra il 2003 e il 2015. Dopo la caduta di Al Bashir, Hemitti è a capo del Consiglio Militare Sudanese. E controlla il paese col pugno di ferro.
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Dopo la caduta del dittatore sudanese Omar Al Bashir l'11 aprile scorso, i militari hanno preso il controllo del paese e costituito un consiglio formato da generali delle forze armate per traghettare il paese verso un nuovo regime. Il vice-presidente del Consiglio Militare non è un generale qualunque: è Hemitti, ex pastore, negli anni entrato nelle grazie del dittatore deposto Al Bashir, con le sue milizie tribali Janjawid (poi chiamate Forze di Intervento Rapido) sarebbe responsabile della morte di migliaia di civili in Darfur. Human Rights Watch lo accusa di violazione sistematica dei diritti umani in Darfur dal 2003 al 2015 e definisce i suoi uomini, i Janjawid, in un rapporto, "come senza misericordia" per le atrocità commesse verso vittime innocenti. Secondo le Nazioni Unite il conflitto in Darfur avrebbe causato almeno 200 mila morti e 2 milioni di sfollati sudanesi, oltre a fame, carestia e malattie.

Gli inizi e la guerra per conto di Al Bashir

Mahammad Hamdan Doglo, soprannominato Hemetti, nasce da una famiglia modesta nel Nord del Darfur, una delle regioni più povere del Sudan. Appartiene alla tribù araba Ruzayqat, una delle più grandi e influenti nell'area. Lascia la scuola a 15 anni per iniziare a lavorare prima come pastore e poi come commerciante occupandosi anche della protezione delle carovane merci tra Sudan,Egitto, Libia e Tchad. Non è raro infatti che convogli di merci venissero depredate nel deserto da gruppi armati.

Il conflitto che infiamma il Darfur ha inizio nel 2003, quando in Sudan non si era ancora placata la guerra civile che vedeva contrapposti il governo e il movimento separatista del sud. Nei primi mesi del 2003 due gruppi di ribelli locali, il Movimento Giustizia e Uguaglianza e il Movimento per la Liberazione del Sudan, accusarono il governo di favorire gli arabi a discapito della popolazione non-araba. Da qui scoppiano scontri tra i due schieramenti e dopo le difficoltà dell'esercito sudanese nel placare gli attacchi armati, l'ex presidente sudanese Omar Al Bashir decide di affidarsi a Hemitti capo delle milizie Janjawid, per soffocare le ribellioni in Darfur.

Il pastore diventa generale

Dopo 5 anni di conflitto e di vittorie da parte delle milizie Janjawid, il nome di Hemitti inizia a crescere. Al Bashir lo nomina colonnello, nonostante non abbia mai svolto il servizio militare. Le milizie Janjawid passano da poche centinaia di miliziani a 6 mila uomini, provenienti soprattutto dalle tribù arabe del Darfur e cambiano nome in Forze di Intervento Rapido. Ma è con la vittoria di Ghoz Dongo nel 2015 che Hemitti viene nominato generale e le sue spietate milizie messe a disposizione del regime come forze parallele all'esercito, con potere d'intervento all'interno del paese come all'estero, ad esempio nella guerra in Yemen, dove le milizie di Hemitti sono impiegate a fianco dei contingenti arabi.

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Le milizie accusate di crimini usate per fermare i migranti

Le stesse milizie di Hemitti accusate da diverse Ong di aver commesso violazioni di diritti umani in Darfur sono impiegate al fianco della polizia sudanese per fermare la rotta dei migranti verso l'Egitto e la Libia. A dirlo l'Ong americana Enough che nel rapporto "sul controllo delle frontiere dell'Inferno" critica il sostegno logistico che l'Unione Europea da alla polizia e alle milizie sudanesi nel fermare i migranti, vittime spesso di violenza da parte delle forze di sicurezza sudanesi.

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Hemitti, ora a capo del Sudan

Hemitti ora è l'uomo più importante del Sudan: è vice-presidente del Consiglio Militare e dopo aver preso il controllo con i suoi uomini del monte Amer, uno dei più importanti giacimenti d'oro del paese, ha fondato un'azienda specializzata nella ricerca ed esportazione dell'oro, che ha incassi per milioni di euro all'anno. Controlla 40 mila uomini delle Forze di Intervento Rapido, impiegate anche per garantire la sua incolumità, nel caso in cui l'esercito sudanese, che non ha mai apprezzato la sua ascesa, voglia liquidarlo. Non solo, è sostenuto da Arabia Saudita ed Emirati Arabi e nonostante il suo passato da boia del Darfur, il suo nome ora risuona come il prossimo presidente del Sudan. Le Ong intanto continuano ad accusarlo di usare violenza contro gli oppositori: poco più di 2 mesi fa infatti ha ordinato la repressione nella capitale Khartoum del sit-in dell'opposizione che chiedeva libere elezioni. Il bilancio è stato di 100 morti e decine di feriti. Amnesty International intanto continua a chiedere alla Comunità Internazionale di intervenire e di imporre sanzioni contro il Consiglio Militare accusato di violenza ingiustificata e violazione dei diritti umani contro i civili durante le manifestazioni di piazza. Sono in corso intanto trattative tra l'opposizione e il Consiglio Militare per arrivare ad un accordo sul periodo di transizione del paese, che dovrebbe essere gestito in parte da civili e in parte da militari. Per la fine di questo mese dovrebbero concludersi le consultazioni con la formazione di un governo transitorio e la nomina di un primo ministro.

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