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Guerra in Ucraina

Chi è Anton Siluanov, il ministro di Putin che combatte la guerra contro le sanzioni (e il dollaro)

Anton Siluanov è il ministro delle finanze del Russia, l’uomo a cui Putin ha affidato il compito di resistere alle sanzioni del mondo Occidentale dopo l’invasione dell’Ucraina. Ma il suo grande sogno è un altro.
A cura di Fulvio Scaglione
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Se Elvira Sachipzadovna Nabiullina, governatrice della Banca Centrale di Russia, ha riempito le casse del Cremlino, Anton Germanovic Siluanov, ministro delle Finanze, deve ora evitare che si svuotino sotto il peso delle spese di guerra, delle sanzioni economiche internazionali e della crescita asfittica che affligge la Russia ormai da molti anni. Compito improbo, che però Vladimir Putin affida a un uomo di sua completa fiducia.

La storia di Siluanov

Prima di ricostruire la figura di Siluanov, serve una piccola premessa. Negli ormai 23 anni del suo potere, Putin ha avuto in tutto solo due ministri delle Finanze: Aleksey Kudrin (ora presidente della Corte dei Conti) dal 2000 al 2011 e dal 2011 a oggi appunto Siluanov. Una situazione con pochi uguali nel resto dei Paesi sviluppati e che si spiega con due ragioni. La notevole personalità dei due ministri in questione, ovviamente. Ma soprattutto la politica del Cremlino, che tende a privilegiare la stabilità sociale su ogni altra considerazione.

Molti, negli ambienti industriali e finanziari e tra le personalità di orientamento più liberale (per esempio lo stesso Kudrin), chiedono che lo Stato tolga le mani dall’economia, favorisca la libertà d’impresa, apra di più agli investimenti occidentali, in modo da imprimere una scossa al sistema economico e favorire la crescita, anche a costo di qualche shock sociale. Ma Putin e i suoi hanno scelto la strada opposta. Forse non la migliore dal punto di vista economico ma la più conveniente dal punto di vista politico, visto che in Russia il 24% della popolazione è fatto di pensionati, cui vanno aggiunti più di mezzo milione di dipendenti pubblici (con relative famiglie) e almeno un paio di milioni (di nuovo, con relative famiglie) tra militari e membri delle forze dell’ordine. Categorie di salariati dello Stato a cui la sicurezza dei pagamenti importa assai più della libertà d’impresa.

Detto questo, Siluanov è il classico secchione, destinato a una brillante carriera fin da ragazzo. Quando arrivò sulla scena del Governo, i giornalisti dovettero andare a scartabellare negli archivi per trovare qualche notizia su di lui. E tutti subito conclusero che sarebbe durato poco, che non aveva la personalità del predecessore Kudrin che, guarda caso pensando ai fatti delle ultime settimane, si era dimesso in polemica con il premier Medvedev che aveva previsto forti spese per l’esercito e gli armamenti. Siluanov non è così. Visto da fuori è grigio, ma visto da dentro è una garanzia: mai una parola in più, semmai un cervello di prim’ordine al servizio del Capo.

“Secchione” al servizio del Capo

Un predestinato, si diceva. Nato nel 1963 a Mosca nella famiglia di un alto funzionario del ministero delle Finanze, Siluanov entrò nel ministero subito dopo la laurea presso l’Istituto di Scienza delle Finanze della capitale, ottenuta nel 1985. C’è un solo fatto “strano” nella sua biografia, che pare una linea retta: dal 1987 al 1989 fece il servizio militare. In quei tempi confusi, un rampollo della nomenklatura, ancora sovietica, avrebbe potuto facilmente evitare la leva. Dicono che fosse il padre, l’inflessibile German, a rifiutare privilegi. Anche se il giovane Anton non fu mandato in qualche guarnigione sperduta in Siberia ma arruolato nel Kgb, e passò i due anni del servizio a Mosca, a quattro passi da casa.

Dopo di che, la rapida scalata al ministero. Economista, economista senior, vice-capo dipartimento, capo dipartimento, una promozione ogni due-tre anni, grigio e silenzioso, preciso come un orologio. Nel 1997 l’incarico che lo proietta davvero verso l’alto: capo della Commissione sulle attività bancarie del ministero delle Finanze. Per un anno (2003-2004) vice ministro, nel 2011 ministro. E per un biennio (2018-2020) anche vice-premier con quel Dmitrij Medvedev che aveva silurato Kudrin per le polemiche sulle spese militari. Da non dimenticare: ha anche la tessera di Russia Unita, il partito presidenziale.

Siluanov, insomma, è il collaboratore che tutti i capi vorrebbero avere. Anche adesso, nella tempesta delle sanzioni e dei rapporti economici con l’Occidente che vanno a farsi benedire, lui china la testa, fa i conti e cerca di adattarli alla linea del Cremlino. Il 15 aprile, per esempio, si saprà se la Russia onorerà i debiti internazionali contratti in valuta o se sceglierà il default, dichiarandosi incapace di ripagare i creditori com’è successo solo due volte nella sua storia: nel 1918, subito dopo la rivoluzione d’Ottobre, e nel 1998. Putin ha firmato un decreto in cui ordina che i debiti con i “Paesi ostili” (lista ora lunghissima, c’è anche l’Italia) siano rimborsati non in valuta ma in rubli, ovvero con (quasi) niente. Lui, Siluanov, ha già detto che va bene così, è più che logico. Anche perché le sanzioni hanno bloccato nelle banche estere circa 300 miliardi dei 650 che la banchiera Nabiullina aveva accumulato come scorta finanziaria della Russia.

Guerra al dollaro

Attenti alle mosse del secchione Siluanov, comunque. Lui e la Nabiullina sono gli architetti di un vecchio sogno putiniano, ovvero la “dedollarizzazione” dell’economia russa. Difficile arrivarci per un Paese che vende soprattutto gas e petrolio, sui mercati internazionali quotati in dollari. Ma nel corso degli anni le riserve russe in dollari sono dimezzate, quelle in euro cresciute di un terzo e quelle nella valuta cinese, lo yuan, quintuplicate. Adesso Siluanov prova a stringere accordi con i Paesi che non aderiscono alle sanzioni anti-russe, per esempio l’India, per pagare con le rispettive valute, rublo e rupia, ancorandole però al riferimento di una valuta più solida, lo yuan cinese, appunto. Il che permetterebbe anche un’altra operazione, ovvero la costituzione con la Cina di un sistema di pagamenti internazionali che possa sostituire lo Swift da cui la Russia è stata espulsa.

Non sottovalutiamo il ministro obbediente e silenzioso. Quelle russe sono mosse della disperazione, forse, basate però su una realtà innegabile: il mondo è cambiato e per gli Usa, guerre folli di Putin a parte, mantenere la supremazia globale è sempre più complicato. Si sarà fregato le mani, Siluanov, alla notizia che l’Arabia Saudita, il maggiore esportatore di petrolio al mondo, esamina la possibilità di farsi pagare in yuan il petrolio dalla Cina, massimo importatore a mondo. La stessa Arabia Saudita che pochi giorni fa, insieme con gli Emirati Arabi Uniti, aveva rifiutato a Biden un aumento della produzione di petrolio per far calare i prezzi, decidendo invece di rispettare le quote concordate con la Russia. e

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