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Cardinal Scola: garantire la libertà di culto nei paesi che hanno una religione di Stato

Il cardinale Scola, preoccupato per la libertà di culto in Occidente e in Oriente, mette in guardia gli astanti sugli stati che ancora conservano una religione di stato e punta il dito contro le leggi anti-blasfemia.
A cura di Laura Murino
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In occasione dell’Anno Costantiniano la Biblioteca Ambrosiana, l’Ateneo del Sacro Cuore e l’Università degli Studi di Milano hanno organizzato una serie di incontri per riflettere sul significato storico dell’editto di Milano. Durante la giornata di apertura dei lavori è intervenuto il cardinale Angelo Scola. Il prelato, nel corso del suo discorso introduttivo ha fatto più volte riferimento al significato che ha l’editto oggi: il cardinale, a 17 secoli di distanza, sottolinea il valore ancora attuale che la promulgazione del documento ha nella società contemporanea. Nel 313, l’imperatore Costantino e Licinio hanno posto le basi per il diritto alla libertà religiosa che oggi conosciamo come “laicità dello Stato”.

Il cardinale nella sua prolusione ha rivolto il suo pensiero, con preoccupazione, soprattutto a quei paesi dove esiste una religione di stato e ciò limita la libertà delle altre religioni che se ne differenziano,

“parlare oggi di libertà religiosa significa infatti affrontare un’emergenza sempre più globale: guardando verso Oriente il problema si pone non di rado in termini di vera e propria persecuzione violenta su base religiosa di tutti coloro che professano una fede diversa da quella “ufficiale””.

Scola si è dichiarato preoccupato in particolar modo per le leggi anti-blasfemia che minano ulteriormente la pratica delle religioni non di stato, sottolineando l’importanza di garantire e "incoraggiare il pluralismo religioso e l’apertura a tutte le espressioni religiose” al fine di mantenere sempre viva e reale la libertà di fede. Tuttavia ammonisce anche il mondo Occidentale e in particolar modo osserva perplesso quei comportamenti, insiti nella concezione di un tipo di laicità, di “latente diffidenza verso il fenomeno religioso”.

In conclusione propone alcuni punti su cui lavorare sia come Stato sia come membri o capi delle varie comunità religiose oggi presenti sui territori nazionali, tra i quali “il rapporto tra verità oggettiva e coscienza individuale, la coordinazione tra comunità religiose e potere statale”. Riecheggia come nota di fondo del vescovo dell’archidiocesi di Milano la secolare questione circa la legittimità di considerare il fenomeno religioso come evento del tutto privato oppure se esso debba ricoprire un ruolo fondamentale come costituente pubblico della società contemporanea.

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