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Opinioni
Guerra in Ucraina

A 100 giorni dall’inizio della guerra, il futuro dell’Ucraina dipende dalla tenuta dell’Occidente

Cosa è successo dal 24 febbraio 2022 in Ucraina, in Russia e nel resto del Mondo. Dai primi giorni, pieni di caos, in cui la presa Kyiv sembrava nelle mani dei russi alla lunga e logorante guerra nel Donbass. Cosa succederà? Quale sarà il futuro dell’Ucraina?
A cura di Daniele Angrisani
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La guerra in Ucraina, che secondo molti commentatori avrebbe dovuto durare solo pochi giorni, ha appena superato la soglia psicologica dei suoi primi 100 giorni, senza che sia visibile la luce alla fine del tunnel.

Dai primi caotici giorni di fine febbraio, quando la conquista di Kyiv da parte russa sembrava questione imminente, ad ora che il conflitto è diventato sempre più una guerra di logoramento nel Donbass, molta acqua è passata sotto i ponti.

Sebbene la strategia russa si sia dovuta modificare a causa della mutata situazione sul campo, Mosca continua ad occupare circa il 20% del territorio ucraino e non sembra volersene rinunciare.

Nel mentre, i negoziati sembrano aver raggiunto un punto morto tra richieste ucraine che sembrano sempre più irrealistiche e pretese russe che restano inaccettabili per la parte ucraina.

Il fallimento della strategia iniziale

Il blitzkrieg iniziale ipotizzato dal comando russo è fallito pressoché immediatamente a causa della tenace resistenza ucraine.

In particolare, il momento chiave è stato quando Kyiv ha impedito alle truppe aerotrasportate russe di conquistare e mantenere stabilmente il controllo dell’aeroporto di Hostomel nella regione di Kyiv, apparentemente anche grazie a tempestive informative di intelligence occidentali.

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Nei piani iniziali dei russi, questa avrebbe dovuto essere infatti la testa di ponte per consentire ad altre migliaia di truppe di sbarcare e marciare direttamente verso i palazzi del potere a Kyiv. Ma la resistenza ucraina ha impedito tutto questo.

Nelle settimane successive una immensa fila di mezzi militari (lunga circa 60 km e ripresa da immagini satellitari Maxar diventate famose) è rimasta bloccata per svariati giorni sulla strada verso Kyiv, ed alla fine l’offensiva russa si è del tutto arenata a Irpin.

Il ritiro delle truppe russe dalla regione di Kyiv a fine marzo ha portato alla luce orrori di cui avevamo dimenticato l’esistenza: cadaveri lasciati marcire per le strade di Bucha, alcuni con segni di torture oltre a storie di violenze sessuali, ed edifici civili distrutti con tutti i propri abitanti seppelliti tra le macerie.

Focus sul Donbass

Da allora la Russia ha cambiato strategia e rifocalizzato la propria attenzione sul Donbass e sul consolidamento degli altri territori già occupati da fine febbraio, in particolare la regione di Kherson e quella di Zaporizhzhya.

La nuova strategia ha consentito ai russi di ottenere alcuni successi, in particolare la conquista di (ma solo dopo oltre 80 giorni di accerchiamento), così come momenti imbarazzanti, come quando gli ucraini sono stati in grado di affondare l’ammiraglia russa nel Mar Nero, la Moskva.

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Ma nel Donbass, che è diventato velocemente il campo di battaglia principale, le avanzate russe sono avvenute solo in maniera molto lenta ed incrementale.

Sebbene ora i soldati di Mosca siano arrivati a conquistare quasi interamente la regione di Luhansk (il loro obiettivo minimo), ancora non sono stati in grado di prendere il controllo di nessun grande insediamento urbano.

Il motivo principale delle loro recenti avanzate in Donbass, infatti, è la netta superiorità nel numero di sistemi di artiglieria che i russi hanno a disposizione, così come il controllo dei cieli che permette loro di bombardare più efficacemente le postazioni nemiche.

Ma questa doppia superiorità sostanzialmente si azzera in contesti urbani, dove i russi continuano a soffrire pesanti perdite nelle battaglie casa per casa di fronte ad una tenace — ed a volte disperata — resistenza ucraino, così come a sapienti strategie difensive messe in campo dal comando ucraino.

Il maledetto Seversky Donets

L’altro problema cui si trovano di fronte i russi nel Donbass è la sostanziale incapacità di attraversare il fiume Seversky Donets: dopo esserci riuscito una volta ad inizio marzo nella zona di Izyum — a seguito del quale però sono stati bloccati da un forte schieramento di forze ucraine —, tutti i successivi tentativi, altrove sono falliti.

In alcuni casi, si è trattato anche di fallimenti clamorosi: come a Bilohorivka ad inizio maggio, dove decine di mezzi militari sono stati distrutti dall’artiglieria ucraina che non ha mostrato alcuna pietà verso le unità russe che erano riuscite a mettere piede dall’altra parte del fiume, causando oltre 400 vittime tra i soldati di Mosca.

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Di conseguenza, la stragrande maggioranza delle attività militari russe degli ultimi giorni si è avuta (con un certo grado di successo va detto) contro le ultime due principali roccaforti ucraine ancora presenti sulla riva orientale del fiume — ovvero Lyman e Severodonetsk.

Mentre a Lyman gli ucraini si sono velocemente ritirati dalla cittadina verso il fiume — e questo mette potenzialmente Slavyansk a rischio di attacco russo se i russi saranno finalmente in grado di attraversare il fiume senza essere distrutti — a Severodonetsk la situazione è più complicata.

Dopo il primo momento in cui i russi sembravano avere sotto controllo la situazione ed erano velocemente avanzati nel centro città aiutati dal ritiro delle forze ucraine verso la periferia occidentale, ora ci sono segnali di una controffensiva ucraina e duri combattimenti vanno avanti nottetempo nel centro della città.

Soprattutto, i russi hanno deciso di attaccare la città nonostante non fosse stata ancora accerchiata e questo apparentemente ha permesso agli ucraini di portare velocemente a Severodonetsk alcuni rinforzi per cercare di fermare le truppe russe in una sanguinosa e campale battaglia casa per casa.

Le prime controffensive ucraine

Allo stesso tempo ci sono segnali di controffensive ucraine anche in altre parti del Paese: in primis nella regione di Kharkiv, dove le truppe ucraine sono arrivate a raggiungere temporaneamente ad inizio maggio il confine di Stato con la Russia, mettendo così potenzialmente a rischio le linee di rifornimento russe verso Izyum e Lyman.

Più di recente, la situazione si è ripetuta anche nella regione di Kherson, dove gli ucraini hanno attraversato il fiume Inhulets, prendendo posizione sulla riva orientale e così facendo mettendo sotto il fuoco diretto di artiglieria la strada che rifornisce i reparti russi nel nord della regione.

Perché le armi occidentali possono cambiare tutto

Nonostante tutti questi piccoli successi, comunque, in linea generale la situazione delle truppe ucraine, soprattutto del Donbass, resta disperata.

I russi stanno mettendo in campo tutte le forze che hanno a disposizione ed in alcuni casi la differenza di forze in campo è davvero deprimente per gli ucraini, che sono costretti sempre più a cedere territorio in cambio di tempo.

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È per questo motivo che nelle ultime settimane si sono sentiti continui ed accorati appelli da parte di Kyiv ai suoi partner occidentali per la fornitura di armi pesanti per poter riequilibrare la situazione in campo.

Gli Stati Uniti e gli altri partner occidentali hanno risposto inizialmente a questi appelli fornendo a Kyiv sistemi di artiglieria relativamente semplici ma letali come gli obici Howitzer M777 e FH-70 con munizioni da 155 mm, in dotazione alle forze armate dei Paesi NATO.

Ma neppure queste armi, sebbene abbiano certamente aiutato gli ucraini a resistere con maggiore efficacia alle avanzate russe, sembrano essere state in grado di cambiare sostanzialmente i rapporti di forza sul campo.

Dopo settimane di richieste da parte di Kyiv, alla fine gli Stati Uniti hanno quindi deciso di sbloccare la consegna anche di sistemi di artiglieria più avanzati come gli HIMARS (High Mobility Artillery Rocket System), che hanno la capacità di colpire a distanze più elevate e sono dotati di munizioni guidate per maggiore precisione.

Sebbene al momento si tratti di soli 4 sistemi HIMARS nel primo pacchetto di aiuti annunciato questa settimana, il Pentagono ha già fatto sapere che sarà possibile sbloccare ulteriori consegne di questo tipo nel prossimo futuro.

Gli Stati Uniti hanno però ceduto alle minacce russe di "escalation" assicurando, con il consenso del governo ucraino, che non forniranno a Kyiv munizioni in grado di "colpire il territorio russo" mediante l’utilizzo di questi HIMARS.

In termini tecnici, questo significa che gli Stati Uniti hanno rifiutato, almeno pubblicamente, di fornire all’Ucraina munizioni con una gittata massima di 300km, limitandosi alla fornitura di munizioni con una gittata più limitata da 70km.

Tuttavia, secondo le autorità ucraine, anche così limitati gli HIMARS sarebbero lo stesso in grado di fare la differenza in combattimento, potendo essere utilizzati per distruggere i sistemi di artiglieria russo e colpire in profondità le unità di comando e controllo e le comunicazioni russe nelle retrovie.

Ad esempio, se dispiegati nella zona orientale della regione di Kharkiv, gli HIMARS potrebbero compromettere le vitali linee di comunicazione russe dalla regione di Belgorod fino ad Izyum, uno degli assi chiave dell’avanzata russa in Donbass.

Inoltre, come si è appreso il 1° giugno, il Regno Unito ha chiesto agli Stati Unit di dare il via libera per fornire all'Ucraina l'M270, un sistema missilistico ancora più potente ed avanzato prodotto negli Stati Uniti.

Infine, stando a quanto riporta Reuters, gli Stati Uniti sarebbero pronti a vendere a Kyiv quattro nuovi droni armati, i MQ-1C Gray Eagle, ovvero la versione aggiornata dei Predator, che montano missili Hellfire e sono in grado di colpire dall’alto in profondità le retrovie russe.

È tutta questione di tempo

Secondo quanto afferma il giornalista Illia Ponomarenko di Kyiv Independent, “le nuove massicce forniture di armi non solo aiuteranno a sopprimere l'artiglieria da campo dominante della Russia, il fattore chiave dei suoi recenti guadagni sul campo di battaglia, ma potranno aprire anche la strada ad un'ambiziosa controffensiva ucraina”.

Secondo Oryx, un sito web che tiene traccia delle perdite di mezzi militari delle due parti, al 1° giugno la Russia ha perso almeno 13 mortai pesanti da 120 mm, almeno 61 sistemi di artiglieria (tra cui obici 2A65 Msta-B da 152 mm), 121 pezzi semoventi (tra cui obici pesanti 2S19 Msta-S da 152 millimetri) e almeno 69 sistemi missilistici a lancio multiplo (

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).

Una grande percentuale delle unità perse è stata catturata dall'Ucraina. Ma l'esercito ucraino resta comunque molto indietro rispetto ai russi in termini di quantità di sistemi e munizioni d'artiglieria sul campo, così come più in generale in termini di munizioni disponibili.

La carenza di munizioni dell'Ucraina può essere soddisfatta solo da ampie forniture occidentali: Canada e Stati Uniti, da soli, si sono impegnati a inviare un totale di 220.000 munizioni di artiglieria. L'ultimo pacchetto di aiuti degli Stati Uniti comprende, ad esempio, 15.000 nuove munizioni di artiglieria da 155 mm.

In ogni caso, afferma Ponomarenko, “la chiave del successo dell'assistenza militare occidentale è la fornitura più rapida e massiccia possibile di questi sistemi di artiglieria e munizioni. L’invio di piccole quantità per un periodo di tempo prolungato non avrà l'effetto necessario per respingere le avanzate russe”.

Il tallone di Achille di Kyiv: la stanchezza occidentale

A questo proposito, e lo avevo già menzionato nel mio precedente articolo, il problema sta diventando sempre più la stanchezza occidentale nei confronti di una guerra che va avanti per molto tempo senza una fine all’orizzonte.

Come afferma il Washington Post in una sua analisi pubblicata il 3 giugno, Putin sta scommettendo ora sempre di più sull’esaurimento del supporto occidentale all’Ucraina nel lungo periodo.

Secondo l’analisi del quotidiano americano, Putin è rimasto spiazzato da una risposta inizialmente così forte e unita dell'Occidente, "ma ora sta cercando di studiare più attentamente la situazione e crede che a lungo termine potrà vincere".

In particolare, nella visione del Cremlino, i leader occidentali sono vulnerabili ai cicli elettorali e Putin “crede che l'opinione pubblica possa cambiare in un giorno", soprattutto in vista delle elezioni.

Che questa ipotesi possa essere sensata lo abbiamo visto anche in Italia dove l’opinione pubblica è diventata sempre più scettica, se non del tutto contraria, ad ulteriori aiuti — in particolare militari — all’Ucraina, in gran parte per non alienare ulteriormente la Federazione Russa.

Questo cambiamento di sentimento nell’opinione pubblica non potrà non avere un impatto anche sulle elezioni politiche del prossimo anno, soprattutto se la guerra continuerà ancora nei prossimi mesi.

Allo stesso tempo il Cremlino intende fare tutto il possibile per ridurre l’impatto diretto sulla Russia delle sanzioni occidentali, ad esempio cercando di rivendere in Asia il petrolio destinato all’Europa.

Se ci riuscirà, è ancora tutto da vedere — e ci sono molti segnali che lasciano intendere che le capacità del Cremlino in questo senso siano limitate.

Ma ciò che importa è che è indubbio in ogni caso che Putin creda di poter resistere all’impatto delle sanzioni molto più di quanto non potrà farlo l’Occidente.

Da questo punto di vista Putin sembra aver dato ascolto alle parole di Nikolai Patrushev, il direttore del Consiglio di Sicurezza Nazionale russo, che di recente ha dichiarato quanto segue in una intervista concessa al quotidiano Rossiiskaya Gazeta:

“Il mondo sta gradualmente precipitando in una crisi alimentare senza precedenti. Decine di milioni di persone in Africa ed in Medio Oriente si troveranno sull'orlo della fame per colpa dell'Occidente. Per sopravvivere, fuggiranno in Europa. Non sono sicuro che l'Europa sopravviverà alla crisi”.

Visto che questa è diventata sempre più una lotta contro il tempo, l’embargo imposto  sul petrolio russo dall’Unione Europea viene sempre più considerato "solo come un primo passo" negli sforzi per danneggiare la Russia.

Secondo quanto riporta il Post ora si sta discutendo la proposta (inizialmente ventilata dal presidente del Consiglio italiano Mario Draghi) che Stati Uniti e Unione Europea formino un cartello e impongano un tetto al prezzo del petrolio russo, possibilmente a 30 o 40 dollari al barile.

Secondo diversi analisti, questo passo potrebbe essere più efficace del divieto imposto dell'Unione Europea e contribuire a far scendere i prezzi globali e ridurre le entrate russe, soprattutto se gli Stati Uniti fossero seriamente intenzionati ad imporre sanzioni secondarie contro chiunque acquisti petrolio russo a un prezzo superiore al limite massimo imposto.

La Commissione Europea sta inoltre ora discutendo anche un’altra proposta ventilata da Draghi nelle scorse settimane: ovvero quella di un tetto al prezzo del gas acquistato dalla Russia. Ma qui i margini di manovra sono minori vista la maggiore dipendenza europea dal gas rispetto al petrolio russo.

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Con i rischi sempre più crescenti per tutte le parti in campo, si va comunque diretti verso una guerra di logoramento dal punto di vista economico, politico e morale.

Tutti aspettano l’autunno, quando l'impatto delle sanzioni sarà più forte e negli Stati Uniti si terranno delle importanti elezioni di medio termine che potrebbero mettere i democratici in minoranza al Congresso, mentre in Italia la campagna elettorale per le prossime elezioni politiche entrerà nel vivo.

Finora, tuttavia, con il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky che stima che Kyiv abbia bisogno di 7 miliardi di dollari di aiuti al mese solo per mantenere il suo Paese in funzione, Putin sembra scommettere sul fatto che l'Occidente si arrenderà per primo.

L'obiettivo finale di Putin resta sempre lo stesso: quello “di sottomettere l'Ucraina ed alla fine alzare la bandiera russa su Kyiv", afferma un funzionario americano citato dal Post. Sta solo a noi dimostrare che si sbaglia ancora una volta e che l’Occidente è in grado di tenere duro molto più di quanto si attenda.

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Daniele Angrisani, 43 anni. Appassionato da sempre di politica internazionale, soprattutto Stati Uniti e Russia. 
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