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Perché Draghi ha deciso di sospendere il cashback: “Favorisce i ricchi”

Il governo ha sospeso per sei mesi il cashback, una decisione spiegata dallo stesso presidente del Consiglio, Mario Draghi. Vediamo quali sono state le analisi e le valutazioni effettuate da Palazzo Chigi che hanno portato alla scelta di fermare, almeno per il momento, il meccanismo di rimborso sulle spese effettuate con strumenti elettronici.
A cura di Stefano Rizzuti
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Il cashback "favorisce i ricchi". Per questo motivo verrà sospeso per il prossimo semestre. Niente rimborsi del 10% sui pagamenti elettronici dal primo luglio 2021, quindi. Uno stop – per il momento temporaneo, ma che potrebbe anche essere prolungato – che fa storcere il naso soprattutto al Movimento 5 Stelle. Durante il Consiglio dei ministri è stato il presidente del Consiglio, Mario Draghi, a spiegare quali sono le motivazioni che l’hanno spinto a sospendere il meccanismo sperimentato per la prima volta nel dicembre 2020. In particolare Draghi ha sottolineato che il cashbackha un carattere regressivo ed è destinato ad indirizzare le risorse verso le categorie e le aree del Paese in condizioni economiche migliori”. Affermazioni che, secondo quanto fatto trapelare da Palazzo Chigi, sarebbero poi state spiegate nello specifico da Draghi. Vediamo, quindi, quali sono i motivi che hanno spinto il governo a sospendere il cashback, che però potrebbe tornare nel 2022.

La platea del cashback: ricchi e famiglie del Nord

Draghi ha spiegato che la maggiore concentrazione di pagamenti con strumenti alternativi al contante si registra tra gli abitanti del Nord Italia e, soprattutto, nelle grandi città. A utilizzare carte e bancomat sarebbero in particolare famiglie con un capofamiglia sotto i 65 anni e un reddito medio-alto. È però da sottolineare come ancora non ci siano dati specifici sugli utilizzatori del cashback, per cui si tratta solo di un’ipotesi secondo cui a trarre maggiori benefici dal cashback sarebbero proprio queste persone. Da Palazzo Chigi si è quindi sottolineato come il rischio sia quello di “accentuare la sperequazione tra i redditi, favorendo le famiglie più ricche, con una propensione al consumo presumibilmente più bassa, determinando un effetto moltiplicativo sul Pil non sufficientemente significativo a fronte del costo della misura”.

Chi effettua più pagamenti elettronici

Il presidente del Consiglio ritiene che non ci sia alcuna evidenza della maggiore propensione ai pagamenti elettronici da parte di chi aderisce al cashback. Secondo Palazzo Chigi quasi il 73% delle famiglie spende già con le carte più del plafond previsto dal cashback, il che vorrebbe dire che la maggior parte della platea di beneficiari già riceve il “massimo vantaggio anche senza intensificare l’uso delle carte”. Secondo il ragionamento di Draghi è invece improbabile che chi non usa le carte o lo fa solo in minima parte possa effettivamente raggiungere questo obiettivo, “perché la maggior parte di loro non può spendere quelle cifre”. Il calcolo che viene fatto a Palazzo Chigi è che le famiglie del quinto più povero dovrebbero aumentare la spesa con carte quasi del 40%, mentre quelle più abbienti solo dell’1%. Questo dato verrebbe indicato dal fatto che le transazioni di chi ha raggiunto i 50 pagamenti rappresentano solo il 50% di quelle totali rilevate e il 40% avrebbe effettuato un “numero di transazioni tale da far ritenere che si tratti di persone già abituate all’uso della moneta elettronica”.

I costi del cashback e gli effetti sull’evasione

Draghi ha sottolineato che la misura ha un costo di 4,75 miliardi di euro e la sua onerosità dovrebbe essere valutata anche in funzione “del costo e dell’attuale quadro economico e sociale”, ovvero dei dati sulla povertà assoluta, condizione in cui nel 2020 sono entrati 335mila nuovi nuclei familiari. Secondo Draghi, quindi, “a fronte degli effetti regressivi, dei costi e delle criticità applicative, non possono a tutt’oggi stimarsi effetti significativi sul gettito”. Palazzo Chigi ritiene inoltre che le transazioni elettroniche siano cresciute grazie al cashback soprattutto in settori considerati a basso rischio di evasione fiscale, “come la grande distribuzione organizzata che, secondo l’Istat, assorbe quasi la metà della spesa al dettaglio”. Minore sarebbe, invece, l’impatto sui settori ritenuti più critici dal punto di vista dell’evasione.

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