
Il governo ha impugnato di fronte alla Corte Costituzionale la legge che la Sicilia aveva emesso lo scorso maggio, che prevedeva tra le altre cose l’obbligo di assumere personale non obiettore negli ospedali, in una delle regioni col più alto tasso di obiezione di coscienza in Italia. Nel provvedimento è prevista l’organizzazione di concorsi pubblici aperti a soli non obiettori e la possibilità di sostituire i medici qualora cambino idea dopo essere stati assunti. L’impugnazione è stata firmata dal ministro della salute Schillaci e da quella della famiglia Roccella, che sostengono che la legge siciliana viola il diritto all’obiezione di coscienza previsto dalla legge 194/78.
In Sicilia, stando ai dati dell’ultima relazione al Parlamento sull’applicazione della 194 che comunque non restituiscono il quadro completo della situazione riferendosi al 2022, l’accesso all’interruzione di gravidanza è piuttosto limitato: delle 55 strutture ospedaliere con un reparto di ostetricia e ginecologia, meno della metà effettuano Ivg e l’81,5% dei ginecologi è obiettore e la percentuale è del 73% fra gli anestesisti e dell’86% fra il personale non medico. Lo stesso documento evidenzia anche come il 18% delle donne che vogliono interrompere la gravidanza debba spostarsi in un’altra città rispetto a quella di residenza per accedere al servizio, con grandi disparità territoriali. Nella provincia di Messina, ad esempio, terza città siciliana per abitanti, non c’è un medico non obiettore.
L’obiezione di coscienza è prevista dall’articolo 9 della legge 194 e va dichiarata al momento dell’abilitazione o dell’assunzione nella struttura ospedaliera e non può essere esercitata in caso di pericolo di vita. Tecnicamente riguarda solo le “attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l'interruzione della gravidanza”, ma non sono rari i racconti di donne che hanno incontrato obiettori che, ad esempio, hanno negato loro antidolorifici o addirittura il cibo della mensa ospedaliera. Lo stesso articolo ricorda che “gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure [e] l'effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità” e che è compito della regione controllarne e garantirne l’attuazione attraverso la mobilità del personale. Questa formula però è piuttosto vaga e non impedisce un fenomeno abbastanza diffuso, la cosiddetta “obiezione di struttura”. Non c’è nulla infatti che vieti a un ospedale di assumere il 100% del personale obiettore di coscienza.
Quando la legge fu approvata, fu decisivo il voto della Democrazia Cristiana, che da anni cercava di impedire la depenalizzazione dell’aborto di cui si discuteva dal 1972. L’obiezione era stata pensata come una garanzia per i medici cattolici durante il periodo di transizione che sarebbe seguito alla legalizzazione dell’ivg, ma negli anni è diventato un problema enorme per l’organizzazione del personale ospedaliero. Infatti dichiararsi obiettori “conviene” per non essere penalizzati nella carriera e per non ritrovarsi a effettuare solo interruzioni di gravidanza. Anche se l’ultima relazione sulla 194 evidenzia che il numero di non obiettori è leggermente aumentato negli ultimi otto anni, il problema dell’obiezione resta strutturale.
Non è la prima volta che una regione cerca di rimediare all’assenza di misure che compensino il sistema dell’obiezione di coscienza. Nel 2017 il San Camillo di Roma organizzò un concorso per assumere nuovi ginecologi disposti a praticare aborti; la stessa regione qualche anno prima aveva firmato una delibera che imponeva a tutti i medici che lavoravano nei consultori pubblici di firmare i certificati per l’interruzione di gravidanza, che essendo semplici documenti che accertano la gravidanza in corso, non rientrano nelle procedure abortive (come confermato anche dal TAR). All’epoca Eugenia Roccella, allora deputata del partito Identità e Azione, si scagliò duramente contro il presidente di regione Zingaretti, sostenendo non ci sia alcuna mancanza di obiettori.
Per la ministra oggi, l’obiezione di coscienza “rappresenta l’espressione più autentica della libertà personale, religiosa, morale e intellettuale” e per questo ha deciso di impugnare la legge davanti alla Corte Costituzionale. Roccella ha più volte ribadito che in Italia l’accesso all’aborto non è un problema, ma che anzi “in Italia è più difficile trovare un ospedale dove andare a partorire piuttosto che uno dove andare ad abortire”. Meloni stessa ha più volte insistito sul fatto che la vera sfida della 194 è quella che riguarda la tutela della maternità e non dell’aborto, anche se i numeri della relazione raccontano un’altra storia: quella di un’Italia dove chi vuole abortire spesso deve spostarsi fuori città o addirittura fuori regione, e subire un processo lungo e spesso umiliante, senza ricevere informazioni adeguate.
In un parere del 2012, il Comitato Nazionale della Bioetica affermò che l’obiezione di coscienza (non solo in ambito medico) è un diritto costituzionale, ma che come tutti i diritti non è illimitato. Come ricorda la stessa 194/78, anche se in una maniera che negli anni è stata strumentalizzata, di fronte all’obiezione devono essere prese misure adeguate che garantiscano l’erogazione dei servizi. Lo stesso Comitato faceva riferimento a un’“organizzazione delle mansioni e del reclutamento che possa equilibrare, sulla base dei dati disponibili, obiettori e non obiettori”. Tutto il resto è la retorica che la destra propina da anni in materia di aborto: le vere vittime sarebbero i medici obiettori, che pur essendo il 60% del totale dei ginecologi, sarebbero la vera minoranza discriminata. Un ragionamento perfettamente in linea con chi crede esista davvero l’“eterofobia” o “il razzismo al contrario”.
