YuYu, il successo esplosivo e poi la depressione e l’anoressia: “Pesavo 36 chili, ho avuto paura di morire”

YuYu, nome d'arte di Giuditta Guizzetti è stata una delle voci che ha conquistato l'industria discografica italiana con Mon Petit Garcon e Bonjour Bonjour: una vita da giramondo che adesso, ormai da 16 anni, si è stabilizzata in Spagna, a Ibiza: "Ho scelto di avere una vita normale perché ho sentito un richiamo. È stata una scelta che mi ha anche salvata, perché quando sono arrivata qui non stavo ancora tanto bene". Dopo i primi due singoli e il Festivalbar nel 2003, il buio con Je te l'aime, la depressione, ma soprattutto l'anoressia che l'ha accompagnata per lunghi tratti della sua vita: "C'è stato un punto per me, decisivo, con la dottoressa Laura Della Ragione, che si occupa di alimentazione, che mi ha detto che avevo due alternative: O decidi di vivere, oppure muori perché il tuo corpo si sta abbandonando". Il racconto della sua esperienza con l'anoressia arriva nel libro Il cucchiaio è una culla – Diario di Yu Yu nella lotta contro l'anoressia, per sensibilizzare sul tema. Poi il ritorno musicale, la scorsa estate con una rivisitazione, in chiave moderna, di La Bohéme di Charles Aznavour. Qui l'intervista a YuYu.
Cos'è successo negli ultimi anni, nella tua vita?
Allora, vivo a Ibiza da 16 anni. Ho scelto di avere una vita normale perché ho sentito un richiamo. È stata una scelta che mi ha anche salvata, perché quando sono arrivata qui non stavo ancora tanto bene. Però sono stata richiamata da tutta la normalità. Ho trovato un lavoro in un negozio, una casa, mi sono sistemata. Ho fatto vari lavori, sempre nel mondo turistico, perché qui è principalmente questo. Negli ultimi anni mi sono specializzata nell’ospitalità. Ho lavorato in una villa dove organizzavamo trekking e yoga. Mi occupavo delle colazioni, delle prenotazioni, e anche del servizio di accoglienza. Adesso sono in questo piccolo hotel, dove gestisco tutto: organizzazione, decorazioni, cucina, alloggi. Quindi questa è la mia vita.
Avevi paura quando sei partita dall'Italia e dalla vita che conducevi lì?
La paura non fa parte di me. Io sento di avere un po’ un animo, un cuore e un modo di essere gitano, nomade. Ho sempre avuto una vita molto movimentata. Il fatto di cambiare non mi ha mai fatto paura. Anzi, è una cosa che mi attrae moltissimo e che mi piace fare: rimettere tutto in gioco e ribaltare tutto. È una cosa che secondo me mantiene vivo il mio essere, i miei sogni, il mio voler fare. Forse, più che altro, la difficoltà è stata affrontare da sola certe cose che avevo lasciato in sospeso nella mia vita, problemi che avevo avuto alla fine della mia carriera in Italia.
Prima di parlare di ciò che è accaduto, come nasce il tuo amore per la musica?
I miei esordi risalgono all’infanzia, che ho trascorso a Panama. Mia mamma è una grandissima musicista, quindi sono sempre stata circondata dalla musica, da musicisti, da strumenti. Però non è una cosa che ho mai studiato seriamente. Non ho mai avuto la pazienza e la perseveranza di studiare strumenti. Ho suonato un po’ la chitarra, un po’ il pianoforte, ma non mi sentivo centrata. Soprattutto, il paragone con mia mamma, che era un genio, mi faceva sentire un po’ in minoranza a livello di talento.
Poi cosa succede?
Ho un ricordo particolare, che ha sicuramente segnato qualcosa nella mia vita musicale: ero a Washington DC, avevo 18 anni, e con la mia migliore amica di allora (che lo è ancora oggi) salimmo su un palco in un locale rinomato. Cantammo in una serata importante e finimmo persino sul Washington Post. Era una cosa che è rimasta un po’ accantonata, però la mia vita è andata avanti. Facevo l’assistente di volo, ho viaggiato tantissimo.
In quel locale a Washington, che brani avevi cantato?
Il mio cavallo di battaglia, udite udite, è sempre stato Je so’ pazzo di Pino Daniele. Poi avevamo cantato anche dei nostri inediti. Eravamo ragazze spensierate, e ora che ci penso ricordo tutto perfettamente. Quando andai in uno studio di registrazione a Milano, invitata da una discoteca, incontrai Pippo Landro, il mio discografico di allora (e ancora oggi). Mi chiese chi fossi, se sapevo cantare, mi mise una chitarra in mano e mi disse: Suonami qualcosa. E andai con Pino.
Quale fu la sua reazione?
Lui rimase stupito da questa hostess che cantava Pino Daniele con la chitarra e mi propose un progetto. Registrammo molte canzoni. Io spesso facevo la terza voce, e alcune cose rimasero nel cassetto per un po’. Il successo non fu immediato. La fortuna arrivò quando una delle mie canzoni venne scelta per lo spot della Lancia Ypsilon. Da un giorno all’altro esplose tutto.
Perché YuYu?
Non ha nessun significato. È nato così, per scherzo, dal mio discografico. Avevo il mio fidanzato di allora che mi chiamava Giù Giù. Io ho un nome francese, Judith, e lui giocava su quello. E da lì è rimasto, senza spiegazioni.
Chi furono i primi ad accorgersi?
Forse i primi furono i passeggeri degli aerei. Io ero talmente con i piedi per terra che non ci credevo fino in fondo. Non mi sono mai montata la testa. Andavo alle trasmissioni e poi tornavo alla mia vita normalissima. A un certo punto, però, la mia compagnia aerea mi richiamò dai “piani alti" e mi dissero che stavano ricevendo tantissime lettere dai passeggeri che ci chiedono cosa ci faccia una cantante famosa sugli aerei. Furono gentilissimi a darmi un anno sabbatico per godermi quel momento, anche se io ero spaventata all'inizio.
Che ricordi hai di quei momenti?
Per fortuna non ho mai avuto esperienze negative. E considera che parliamo di più di vent’anni fa: la realtà era diversa, tutto si muoveva in modo differente. Io ho ricordi meravigliosi: tantissimi eventi live, festival, molte trasmissioni televisive che puntavano sulla musica, come il Festivalbar. Entrai anche nel campo della moda, conobbi Giorgio Armani.
Che ricordi hai di lui?
Meraviglioso. Ricordo che mi volle assolutamente per una sua sfilata a Milano. In quel periodo io ero un po’ sparita, ma lui ci teneva tantissimo che partecipassi. Cantai durante la sfilata. Ho un ricordo indelebile di lui che mi cuce un abito addosso.
Come puoi rappresentare il successo che hai avuto?
La magia e la bellezza di tutto quello che ho vissuto è stata proprio quella: non avere armi, non avere l’ansia di prestazione sul singolo dopo. È stata magia: vivere il momento. Credo fosse una cosa che sentivano anche tanti colleghi. Ci divertivamo veramente un sacco, anche fuori, al bar. Mi ricordo trasmissioni e post concerti, c’era un clima incredibile. C’era la voglia di stare insieme, di vivere la musica, di parlarne con spensieratezza e gioia del momento, senza troppa preoccupazione per il dopo. Quindi, anche quando è esploso tutto, è stato inaspettato. E quando una cosa così arriva inaspettata, la vivi ancora di più.
Manca il Festivalbar?
Moltissimo, perché oltre alla voglia di esibirsi c'è qualcosa che oggi credo ci sia e allora non ci fosse: la competizione. Poi ho avuto la possibilità di conoscere artisti come Elton John, Jarabe De Paolo. Mi ricordo i suoi sguardi, le risate: quando è mancato, ho pianto molto perché ho ricordato la persona, splendida, che era.
Dopo Mon Petit Garcon e Bonjour Bonjour, che succede con Je te l'aime?
Ecco, lì ho sentito che stava calando la luce, era normale. Dopo due singoli così forti, non ero preparata al silenzio che ne è seguito. Alle foto, alle chiamate che non arrivavano più, agli amici che al telefono non c’erano più. Quel vuoto improvviso ha fatto scattare in me una tristezza enorme. Non ero preparata. E probabilmente anche la consapevolezza di dovermi rimboccare le maniche davvero. A un certo punto mi sono chiesta: "Come faccio a pagare l’affitto? Come vado avanti?". Perché la gente pensa che con due canzoni diventi milionario, ma non è reale.
Cosa hai fatto?
Sono tornata a fare la cameriera. Non c’è niente di male, assolutamente. Anzi. Ma dovevo anche chiedere lavoro, pregare quasi che mi dessero un’opportunità. Ed è stato psicologicamente durissimo. Ha risvegliato tante cose. Non do la colpa a questo, ma quello che ho vissuto dopo — chiamiamolo anoressia, depressione — è stato un insieme di cose. Però sicuramente quel vuoto improvviso ha fatto male. Fa male, inutile negarlo. E ancora oggi mi spaventa vedere i giovani che esplodono a Sanremo e poi rischiano di ritrovarsi soli. Io oggi sono circondata da persone vere, reali. Ma so bene quante persone, dopo, non ci sono più state nella mia vita.
C'è un momento preciso che ricordi?
Ricordo bene quando lavoravo come cameriera in un bar: quello che mi faceva male era sentire i commenti della gente. “Ma cosa ci fa lì YuYu? Chissà quanti soldi ha, e fa la cameriera?". Quelle frasi mi ferivano, perché io sapevo qual era la mia realtà. E sapere che persone che non mi conoscevano pensassero cose del genere mi faceva male.
Il punto più basso?
La depressione ha avuto un momento molto forte, che è stato il tentato suicidio. Quello è stato un punto molto importante, molto forte. Mi ha fatto capire che non stavo bene. Mi ha fatto perdere la visione della realtà, di me stessa allo specchio. Da lì è stata una discesa, una catastrofe. Non avevo più voglia di vivere, avevo perso tutte le forze. E poi arriva l'anoressia, che mi ha sconvolto. Ha occupato i miei pensieri, mi ha fatto perdere totalmente la percezione della realtà e mi ha fatto allontanare dalle persone che amavo. Ho dovuto lottare tanto, anche con l'appoggio di professionisti.
Hai avuto paura di morire?
C'è stato un punto per me, decisivo, con la dottoressa Laura Della Ragione, che si occupa di alimentazione, che mi ha detto che avevo due alternative: "O decidi di vivere, oppure muori perché il tuo corpo si sta abbandonando".
Che peso avevi raggiunto all'epoca?
36 chili, e quando lei me lo disse con queste parole, con tranquillità e professionalità, io la guardavo incurvata. Mentre lo sto dicendo, lo ricordo e il mio corpo adesso è in quella posizione.
Quale fu la soluzione all'epoca?
Passai 4 mesi in clinica, ho avuto un’esperienza molto difficile ma mi diede la voglia di scrivere quel libro che ho pubblicato. Lì dentro c'erano ragazzine, bambine e ho dovuto assumere un altro ruolo, quello d'esempio: mi ha dato sicuramente la forza.
Negli anni successivi al libro cos'è successo?
Ho confortato tanti genitori, sono stata d’appoggio per tante ragazze. E quindi questa per me è stata la chiave del successo di tutto ciò. Questa malattia mi accompagna da 15 anni, adesso ne parlo con serenità ma so che questa cosa non mi abbandonerà mai. Non esiste un tasto on/off, è sempre on.
Ritorniamo alla musica: mi racconti il ritorno con La Bohéme di Charlez Aznavour?
Per me, il ritorno con questo brano è un passaggio che era scritto nelle stelle per molti motivi. Riconosco che questo titolo è un ritorno, ma vuole avere continuità, perché anche grazie ai social, ho visto che l'affetto e l'amore dei miei fan è ancora vivissimo. Quindi potrei dare seguito a questa canzone con un progetto. Non voglio smettere di sognare, questo è il mio desiderio più grande.