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Tornano i Tiromancino, Zampaglione: “Basta album, è difficile mettere canzoni nuove nei live”

Federico Zampaglione ha parlato a Fanpage.it del nuovo singolo dei Tiromancino “Puntofermo”, ma anche dei giovani, delle difficoltà, del Cinema e del successo.
A cura di Francesco Raiola
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Federico Zampaglione dei Tiromancino (ph Francesco Galgano per Fanpage)
Federico Zampaglione dei Tiromancino (ph Francesco Galgano per Fanpage)

Si chiama Puntofermo la nuova canzone dei Tiromancino, il progetto di Federico Zampaglione, che l'ha scritta assieme a Vincenzo Colella, Leonardo Zaccaria e Michele Canova (che ha curato la produzione). Il cantautore romano continua con la pubblicazione di canzoni singole che, per adesso, non prevedono l'uscita di un album e, come spiega a Fanpage.it, potrebbe continuare anche così per molto tempo, anzi forse i Tiromancino potrebbero anche non pubblicare più album. Non c'è nulla di provocatorio, ma solo la presa d'atto di Zampaglione che oggi sarebbe difficile portare live un intero album, visto che i fan vogliono le sue hit. Una presa di coscienza onesta, quella del cantautore romano, che a Fanpage ha parlato dell'enorme successo ma anche della scelta di ritirarsi qualche anno, quando non aveva più sogni e anche la creatività si era incrinata. Fu la scomparsa della madre a riportargli la voglia di nuova musica, rimpiazzata, nel frattempo dalla sua attività da regista.

Visto che non hai un album in vista, come decidi quando e come far uscire una canzone?

Non c'è una trafila definita, quando la canzone c'è e capisco che è quella giusta la faccio uscire, perché non è che uno scrive solo una canzone, ne scrive tante, alcune, poi, superato l'impatto di entusiasmo dell'inizio, le butti o al massimo capisci che non è male ma non merita neanche di essere troppo condivisa. Invece in altri casi ti accorgi che quella canzone ha quel qualcosa di particolare: magari sei riuscito a descrivere particolarmente bene uno stato d'animo, c'è qualcosa che ti urge dire, e quello diventa il momento buono per farla uscire. Io non so se nella vita farò altri album, molto sinceramente.

In che senso?

Ne ho fatti tanti, non ho più spazio nei concerti per mettere un intero album nuovo, perché dovrei tagliare canzoni che non posso non suonare. Ma soprattutto mi piace questo fatto di essere ritornati al clima degli anni '70 e '80, in cui, paradossalmente, uscire con i singoli rendeva tutto più spontaneo: è come quando ti fai una foto e sei tu in quel momento, però prima di farla vedere e pubblicarla devi aspettare un anno, perché insieme a quella foto ce ne vogliono altre dieci, altrimenti non può uscire. A quel punto, ti rivedi un anno dopo e dici: "Sono io, certo, ma sono io un anno fa, non sono io oggi". E quella cosa a volte ti manca, quindi uscendo in maniera più spontanea, con i singoli, si ritrova la contemporaneità con quello che senti in quel momento.

È la prima volta che sento qualcuno dire serenamente che forse non scriverà più album perché non ha spazio nei live. Gli album non si acquistano più, e i live, giustamente, hanno acquistato un ruolo sempre più preponderante.

Non ho più spazio nel senso che negli anni ho costruito un repertorio di canzoni che fortunatamente sono rimaste lì, pezzi come "La descrizione di un attimo", "Per me è importante", "Un tempo piccolo", "Due destini", "Amore Impossibile", "Imparare dal vento" e tante altre anche dell'ultimo periodo come "Immagini che lasciano il segno", "Liberi", "Noi casomai" sono state dei successi importanti e sono comunque rimaste lì. Più o meno ogni anno fanno gli stessi risultati dell'anno prima, ormai sono standard. Per cui che succede, che arrivo pelo pelo a mettere dentro, se posso, uno o due pezzi nuovi, altrimenti devo togliere canzoni che il pubblico ama. Insomma, alla fine per fare un album ci vogliono almeno un paio di anni, ma potrai fare uscire solo due pezzi, perché dopo ti dicono che un album è vecchio, dal vivo non ho più spazio, e alla fine mi sembra di mettere al mondo dei figli e di non occuparmene. Allora se devo fare dei progetti, stare due anni a lavorare su una cosa, oggi è più probabile che lo faccia su un film, anche perché in quel caso faccio un discorso più internazionale: il nuovo The Well, per esempio, sarà venduto in tutto il mondo.

Tu sei un regista di genere…

Sì, certo, io sono un regista di film horror, orgogliosamente. Ho fatto anche delle cose al di fuori di quello, però non mi piace, non ho lo stesso entusiasmo, sul set non ho la stessa energia, è come se ti fanno fare uno stile musicale che non è il tuo, lo fai, però poi magari non sei te stesso: sono un regista di film dell'orrore che canta canzoni romantiche.

Questo ci porta a quanto tu sia lontano dall'obbligo di essere sempre presenti, non allontanarsi mai dal mercato.

Questo fatto del mercato dipende da quello che proponi, perché se tu sei sempre sul pezzo, fai uscire un pezzo dietro l'altro, però uno è buono, tre sono così e così, un altro non si può sentire, questo non va bene. Come artista hai il dovere di non far succedere questa cosa, cioè se a me dicono di fare un pezzo ogni tre mesi, semplicemente dico che non si può fare e non lo faccio. Ma poi perché? Per rischiare di fare una cosa in cui non credo nemmeno io? Ma se non ci credo io, come può crederci la gente?

Eppure, come dicevamo, oggi bisogna pubblicare, poi si guardano i numeri e mi pare che a differenza di anni fa non ci sia la possibilità di sbagliare. E questa cosa porta a cose come quella di Sangiovanni, ovvero un ragazzo che decide di prendersi tempo e cura di sé.

Ma Sangiovanni l'ha detto, pensa a quanti ce ne sono che, invece, non lo fanno o al massimo te lo dicono in privato. Sono anni, ormai, che non sento altro che questi discorsi, poi magari mi incontrano e, essendo una persona che fa questo lavoro da una vita, si sfogano e mi parlano. Il problema, però, è che non c'è interesse verso una carriera artistica, prima la casa discografica prendeva me e diceva: ha delle cose da dire, creiamo una situazione all'interno della quale magari piano piano riuscirà a dirle. Adesso deve essere tutto fenomenale, le aspettative devono essere il massimo possibile, allora se si cerca questo però manca l'esperienza, manca ancora un po' il mestiere, poveraccio, questo ragazzo che deve fare?

Come avviene nei live…

Se io prendo un ragazzino e lo metto a fare lo stadio Olimpico dopo che non ha suonato nemmeno all'oratorio, che deve fare? Noi che siamo gli adulti e abbiamo una certa età ed esperienza dovremmo dargli una mano a far capire un po' di più queste cose, invece mi sembra che ormai si sia generato un meccanismo per cui su questo hype ci giocano un po' tutti.

Come si sopravvive al successo?

Dopo un po' di anni che ho vissuto il successo, mi sono ritirato direttamente dalla musica per cinque anni, mi ero rotto i coglioni di quel tipo di situazione.

Cosa era successo?

Sembrava che uno doveva per forza fare le cose in un certo modo, coi risultati che venivano prima di tutto. Io ho sempre sognato di scrivere una canzone che la gente potesse cantare, poi è successo che dal 2000 al 2007, più o meno, sono venuti fuori dei dischi di grandissimo successo, con tantissime canzoni che a quel punto erano amatissime, infatti sono rimaste negli anni. È capitato, però, che a un certo punto mi svegliavo la mattina e dicevo: "E mo?". Cioè non mi divertivo più, era diventato tutto al massimo, non c'era rimasto più niente da sognare. Era solo stare lì, un po' a farsi celebrare e un po' a portare avanti un personaggio. E in quel momento ho capito che a me questa cosa non mi piaceva più, non mi andava di sentirmi così. E siccome ero appassionato di cinema, avevo diretto già diversi videoclip mi sono detto: "Adesso smetto", infatti dal 2010 al 2014 non ho più fatto niente a livello discografico, non esiste più niente di mio, perché per quattro anni ho avuto il rifiuto. Quando mi fermavano per strada per parlarmi delle canzoni quasi mi pesava.

Non hai avuto la paura di scomparire?

Non me ne fregava niente, nel senso che mi ero immerso dentro un'altra dimensione artistica, che era quella del Cinema. Avevo fatto due film in quegli anni, poi il film Shadow del 2009 ebbe un grande successo internazionale, quindi per un po' feci un'altra vita, ero un'altra persona e non mi mancava affatto di ritornare a fare i dischi, perché, tra l'altro, non sentivo di avere granché da dire.

C'era anche una mancanza di creatività, data anche da quel successo e quella pressione?

Sentivo di aver già detto delle cose e in quel momento non avevo più la stessa creatività, cioè mi mettevo a scrivere, riascoltavano e mi dicevo: "Vabbè, ma che cazzo la faccio uscire a fare questa canzone? Sono molto più belle le altre", mi sembrava che non ci fosse l'ispirazione giusta. Ero diventato molto famoso, mi erano arrivati un sacco di soldi addosso, e ho sentito che questa cosa non mi stava facendo bene, quindi ho ricominciato daccapo in un altro campo. Fui preso un po' per pazzo, mi dissero "Ma come? Butti via tutto?", ma io non avevo buttato via niente, ho semplicemente evitato di produrre in un momento in cui non avevo niente da dire.

Poi, però, l'ispirazione è tornata, come è successo?

Il 2013 è stato un anno terrificante, perché è morta mia madre, mi sono successe un sacco di cose negative e quando ho pensato: "La mia vita è rovinata", mi sono cominciate a tornare le canzoni, proprio mentre nel massimo della disperazione. Mia madre era un pilastro della famiglia, oltre a essere ancora molto giovane e quindi come reazione a questa cosa, pur di non cadere in depressione, la musica mi ha bussato e mi sono venute fuori canzoni come "Immagini che lasciano il segno", quella dedicata a mio figlia, "Liberi" e così mi sono riappassionato. Ho ricominciato con la passione dell'inizio, senza uno status particolare, perché in realtà il mio status in quei quattro anni era cambiato, ero diventato quasi uno "Yesterday man" della musica, erano successe tante cose, e sebbene le mie canzoni erano sempre amate e ricordate, io ero un po' sparito, però poi m'è ripresa la passione per la musica e da lì non m'è più andare via.

Tua figlia che rapporto ha con te autore di successo che però è anche suo padre?

L'assurdità è che molta della musica che ascolta mia figlia piace anche a me. Trovo che ci sia una profonda confusione oggi, per cui un genere come il rap viene messo alla stregua del pop da Tik Tok, definendo tutto come "musica di oggi". Ma questo è un errore, perché poi ci sono dei dischi rap che sono bellissimi. Certo, quel pop da TikTok io non lo difendo, non posso dire che mi piaccia. Mia figlia ascolta rap, trap, indie e poi le grandi canzoni, che possono andare da quelle di Vasco al pezzo di Celentano. Tutti i grandi classici della canzone li conosce, però poi mi fa sentire il disco di Lazza, o quello di Calcutta, che sono dischi che poi ascolto pure io e quindi diciamo che andiamo molto d'accordo.

I Tiromancino li ascolta?

Sì, li ascolta, però poi in macchina mi fa sentire sempre altro. Devo dire che ha un buon gusto musicale, mi ha fatto anche scoprire delle canzoni internazionali molto belle che non conoscevo.

Lei è attrice, giusto?

Sì, lei fa l'attrice, recita anche nel mio ultimo film, è molto brava anche se adesso giustamente dice che finché non compirà 18 anni dovrà concentrarsi sullo studio ed è giusto che sia così. Abbiamo un po' fermato il lavoro, perché c'è stato un momento in cui arrivano moltissime richieste e ci siamo preoccupati che poi con la scuola non avesse la giusta concentrazione.

In questo momento hai addosso la maglia dell'album della Lovegang126, Cristi e Diavoli: il tuo rapporto con la nuova scena romana e nazionale è buono, no?

Io amo le nuove generazioni, infatti non mi piace questa cosa che bisogna criticarle sempre, che bisogna sempre dirne male, mi pare che le vecchie generazioni abbiano sempre addosso alle giovani generazioni, però bisogna fare un po' di distinzione. Anche nella musica che facciamo noi big ci sono cose buone e cose inascoltabili, quindi non è giusto questa cosa che sta creando una sorta di muro per cui esistono solo etichette come boomer, millennial, generazione Z, cioè si sta dividendo tutto. La musica deve rimanere un'arte in cui si collabora, per questo coi ragazzi dell'indie di Roma, Franco 126, Tommaso Paradiso, Gazzelle, Calcutta abbiamo un ottimo rapporto, ci scriviamo, ci confrontiamo, ma io non li vedo neanche più come dei giovani, li vedo come artisti e basta.

Sono colleghi.

Sì, sono forti, fanno delle cose della Madonna e in alcuni casi abbiamo scritto insieme. E poi, parliamoci chiaro, se non arrivano da lì, dai giovani, delle novità, da dove devono arrivare? Quindi io sono sempre molto dentro questa cosa, così come quando ero molto giovane mi piaceva tantissimo collaborare coi grandi maestri: ho fatto tante cose con Lucio Dalla, con Franco Califano e tanti altri.

Due nomi non casuali e molto importanti per te e per la musica italiana.

Molto importanti, però non so se oggi sarebbe la stessa cosa. L'introduzione nel linguaggio comune di termini come boomer etc porta al fatto che all'epoca collaboraci con un grande maestro, oggi lo definiresti boomer. Eppure la musica è un'arte che non ha età.

Ti sei chiesto come sei riuscito a ottenere tutte le soddisfazioni che hai avuto?

Io sono un grande lavoratore, mi sveglio la mattina e lavoro tutto il giorno: suono, studio stili, guardo film etc, non ho mai amato la celebrità, non sono mai stato troppo appresso a quell'aspetto, mi sono concentrato più sul successo delle idee.

Eppure tu sei un nome noto, la tua ex moglie pure, insomma, con quel mondo, volente o nolente, hai dovuto confrontarti, no?

Sì, però è una cosa di cui non mi frega niente. Cioè a me non interessa tanto di me, mi interessa che la cosa che ho fatto piaccia. Mi considero un content creator, di me che vogliamo dire? Che ce ne frega? Sono una persona qualsiasi, come tante altre. La soddisfazione arriva quando vedi che la gente apprezza quello che fai.

Hai un sogno cinematografico? Tipo portare qualche attore a fare uno dei tuoi horror?

Tony Servillo: mi piacerebbe metterlo in un horror, lui ha quel peso, quel viso dark… secondo me Servillo in un horror sarebbe una bomba.

Quest'estate sarai live, giusto?

Sì, faremo concerti tutta l'estate, io ho una formazione con tutta la band, un'altra in trio.

Quella live resta sempre la tua dimensione ideale, giusto?

Sì, purché non diventi anche quella una roba muscolare come si sta trasformando in questi anni.

Una dimensione per cui se non fai i palazzetti quasi è un fallimento.

Però poi fai il palazzetto con 9000 biglietti regalati, che devi andare a scontarti negli anni successivi per rientrare. È diventata, a volte, una specie di gara basata sugli spazi, come se un artista fosse definito dagli spazi. Io penso di aver suonato un po' ovunque nel corso della mia carriera, ho fatto qualsiasi tipo di spazio, sono arrivato a un punto in cui non c'è una differenza vera e propria. C'era il periodo dei palazzetti, ma avevi i problemi dei palazzetti, ovvero che rimbombava tutto e per il tipo di musica che facevo, invece di essere contento, ero tristissimo, non si sentivano le parole e mi veniva da piangere. Altre volte vai in un teatro più piccolo, e si crea un'atmosfera meravigliosa, che poi non trovi nella mega arena dove ci sono 15.000 persone e a volte diventa meno interessante.

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