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Perché solo due papi sono entrati finora negli scavi di Pompei? “Ci auguriamo la terza visita di Leone XIV”

Gli unici pontefici a varcare l’ingresso dell’antica città vesuviana sono stati Pio IX nel 1849 e Giovanni Paolo II. A raccontare le loro visite è l’ex direttore dell’ufficio scavi di Pompei, Antonio Varone, che nel 2003 accolse papa Wojtyla nella palestra grande.
A cura di Claudia Procentese
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La casa di Marco Lucrezio e papa Leone XIV
La casa di Marco Lucrezio e papa Leone XIV

Alcuni li chiamano segni, altri le definiscono coincidenze. Certo è che il nuovo papa Leone XIV, eletto l’8 maggio scorso, giorno della supplica alla Madonna di Pompei, l’ha nominata dalla loggia delle benedizioni, mostrando il desiderio di essere guidato da lei nella sua missione pastorale. Una supplica profetica che suggella una serie di “casi”. È stato il predecessore papa Leone XIII che dichiarò pontificio il santuario di Pompei; la supplica, che si recita ancora oggi e composta da Bartolo Longo, fu di risposta ad un’enciclica sul Rosario di Leone XIII; toccherà a Leone XIV canonizzare Bartolo Longo.

I papi, si sa, sono di casa a Pompei. Ovviamente per la presenza del santuario mariano. Ma il popoloso Comune della città metropolitana di Napoli è conosciuto in tutto il mondo anche per gli scavi archeologici. La curiosità, sottaciuta ma spontanea, c’è: quanti papi hanno visitato l’antico sito distrutto dall’eruzione del 79 d.C.? Papa Prevost farà uno strappo alla regola pastorale per sostare dentro qualche “domus” in uno dei suoi prossimi viaggi?

A rispondere è l’archeologo ed epigrafista Antonio Varone, già direttore dell’ufficio scavi di Pompei, profondo conoscitore del sito e delle sue iscrizioni parietali. Lo studioso angrese conosce di Pompei le storie antiche per averle studiate e quelle più recenti per esserne stato testimone. Il grosso lavoro di schedatura, intrapreso da Varone (con la redazione dei volumi del “Corpus Inscriptionum Latinarum” per conto dell’Accademia delle Scienze di Berlino-Brandeburgo), dell’intero patrimonio epigrafico, di cui è rimasta traccia sui muri vesuviani, si è unito alla direzione dello scavo pompeiano nell’Insula dei Casti amanti, alla scrittura di saggi, ai progetti scientifici di didattica, restauro e documentazione, alla docenza per due anni all’università La Sapienza di Roma, all’incarico presso la Direzione generale archeologia, fino all’attuale presidenza dell’associazione “Amici di Pompei”, fondata da Amedeo Maiuri nel 1955.

Professor Varone, qual è stato finora il rapporto dei papi con Pompei scavi?

Partiamo da una considerazione. Quello di Pompei è uno dei santuari mariani più frequentati, meta di pellegrini da tutto il mondo. Costruito, pietra su pietra, grazie anche alle rimesse degli immigrati che dall’America mandavano i soldi a Bartolo Longo affinché edificasse questa magnifica costruzione. Ma Pompei è anche la città degli scavi, del mondo romano antico che qui si esprime nella sua più concreta iconicità. È chiaro che i papi si sono recati soprattutto alla basilica. Soltanto in due casi hanno visitato il sito archeologico.

Quali?

Il primo papa a compiere un vero e proprio tour negli scavi è stato Pio IX, al secolo Giovanni Mastai Ferretti, il 22 ottobre 1849. Una visita da inserire, è bene ricordarlo, in un preciso contesto storico che l’ha determinata.

Quello dei moti rivoluzionari che nel 1848 investirono tutta Europa?

Sì, un frangente delicato per la Chiesa di Roma. È un momento di entusiasmi patriottici e di turbolenza politica, con l’assassinio del ministro pontificio Pellegrino Rossi, la proclamazione della Repubblica romana e il triumvirato di Armellini, Saffi e Mazzini. Nel novembre del 1848 Pio IX fugge a Gaeta e, durante il soggiorno napoletano di sette mesi nella reggia di Portici, ospite di Federico II, inizia un giro nel regno borbonico. Fa tappa in vari monumenti ecclesiastici e siti culturali, tra cui Pompei, dove vive una giornata particolare.

Ce la racconta?

Dopo il viaggio in treno sulla nuova linea ferroviaria, Pio IX con il cocchio papale viene fatto entrare a Pompei da Porta Ercolano, per intraprendere poi la via di Mercurio e arrivare alla Casa del fauno. La visita all’interno è a piedi e, uscito da qui, si avvia in carrozza verso la Porta di Nola. Accompagnato da due cardinali e dal ministro dei Lavori pubblici Troja, è invitato a fermarsi nella Casa di Marco Lucrezio, detta delle suonatrici, da poco dissotterrata.

Perché proprio questa domus?

Nei giorni precedenti la venuta del papa erano stati aperti due saggi di scavo proprio lì vicino, in alcune “tabernae” poste accanto alla Casa delle suonatrici e all’angolo tra via della Fortuna e via di Stabia. Il pontefice assiste al momento in cui vengono tirati fuori diversi oggetti. Il cardinale Antonelli, affiancato dall’altro porporato Angelo Mai, offre illustrazioni estemporanee su questi reperti che alla fine vengono donati al papa.

Di che tipo di reperti si tratta?

Per lo più di uso quotidiano. Vasi di terracotta e di vetro, monete, cardini di porta, coltelli. Spicca tra tutti una lastra marmorea riproducente un cavaliere al galoppo, che il soprintendente Avellino identificò con Alessandro a cavallo di Bucefalo, anzi di Bucefala, come si affrettò a dimostrare al corteo papale. Ci sono molti dubbi su questo riconoscimento, del resto non è nemmeno chiaro se effettivamente il bassorilievo sia stato trovato in quella occasione o, come qualcuno sospetta, considerando le usanze borboniche, altrove (in Sicilia o in Grecia) e messo lì appositamente per poterlo offrire in omaggio a Sua Santità.

La casa di Marco Lucrezio, detta delle suonatrici, a Pompei - ph Claudia Procentese
La casa di Marco Lucrezio, detta delle suonatrici, a Pompei – ph Claudia Procentese

Cosa si intende per usanza borbonica?

Secondo una consolidata tradizione, in presenza di un ospite illustre, si organizzava uno scavo di fortuna per lui e lo si faceva assistere ad un rinvenimento per così dire pilotato. Lo scavo era una privativa reale e quindi il sovrano se ne serviva per vantarsi agli occhi dei suoi contemporanei. Era l’usanza dell’epoca, seppur del tutto impropria.

Una cortesia verso l’ospite, insomma. Ma che fine hanno fatto questi reperti-souvenir regalati?

Nulla è andato perduto. I cinquantacinque pezzi costituiscono una piccola collezione di antichità pompeiane, ora conservata presso il museo profano della Biblioteca Apostolica Vaticana. Sono molti di più di quelli che, secondo le cronache del tempo, furono rinvenuti alla presenza di Pio IX. Ai reperti del 22 ottobre se ne sono aggiunti altri, ad esempio i frammenti di legno carbonizzato molto probabilmente di provenienza ercolanese, visto che il papa visitò Ercolano pochi giorni dopo, il 25 ottobre. Tutti questi pezzi sono diventati i protagonisti di una interessante mostra a Pompei nel 1987.

È vero che vennero divelte alcune pietre del millenario selciato per far passare la carrozza di Pio IX?

È molto probabile, ma non è documentato, che per far passare la carrozza sia stato rimosso provvisoriamente qualcuno dei passaggi pedonali che servivano ai Pompeiani per attraversare la strada.

Una leggenda metropolitana, dunque.

No, per logica: noi sappiamo che Pio IX ha usato la carrozza e se non togli qualche pietra, la carrozza non può passare.

Come si conclude la visita pompeiana di Pio IX?

Dopo il foro e il tempio di Iside, il papa prosegue in direzione anfiteatro, dove un bagno di folla festante lo acclama. Impartisce la benedizione a chi è corso a vederlo, riempiendo l’intera arena, oltre alla cavea. Successivamente parte per Sorrento, sostando a Castellammare di Stabia, Vico Equense e Piano. Si ferma nelle chiese, incontra i prelati e i cittadini. Alle dieci di sera ci sono ancora le luminarie che si accendono al suo passaggio. Pio IX ritorna nella sua dimora un’ora e un quarto prima della mezzanotte, dopo aver trascorso una giornata piena di appuntamenti e davvero intensa di emozioni.

Visitare Pompei gli ricordò un po’ Roma da cui era esiliato?

Impossibile rispondere a questa domanda, possiamo solo immaginarlo. In questo periodo Pio IX va anche a visitare la tomba di Sant’Alfonso Maria de’ Liquori a Pagani, così come il duomo di Napoli dove assiste al miracolo di San Gennaro, cioè posti nel regno borbonico connessi con la cristianità. E non può evitare gli scavi di Pompei e di Ercolano, perché sono luoghi tra i più suggestivi, unici al mondo. Che, forse, gli ricordano la romanità da cui si è allontanato momentaneamente.

Un luogo unico al mondo e allora perché solo due papi hanno visitato Pompei?

Consideriamo che l’agenda di un pontefice è piena di cose da fare e in cima alle priorità c’è la scelta di recarsi nei luoghi dove occorre maggiormente la sua presenza per fare apostolato.

Dopo Pio IX chi è l’altro papa “turista” pompeiano?

Giovanni Paolo II, che è venuto a Pompei in due occasioni. Tuttavia, la prima volta, nel 1979, si recò solo al santuario mariano, mentre la seconda, nel 2003, venne fatto atterrare con un elicottero nella palestra grande degli scavi. Era già molto malato e stanco. Il passaggio negli scavi fu molto rapido: giusto il tempo di poter accedere su una sorta di trabiccolo per portarlo fuori dal sito archeologico attraverso Porta Anfiteatro e poi dritto, senza distrazioni, fino alla basilica. Papa Wojtyla ricevette il benvenuto dall’allora soprintendente di Pompei, Pier Giovanni Guzzo. Successivamente venimmo ammessi alla presenza del pontefice anche io e il mio collega Antonio d’Ambrosio.

Cosa ricorda di quegli attimi?

Ho visto l’elicottero atterrare, siamo stati trattenuti fuori prima che lo facessero scendere. Siamo andati poi a dargli omaggio. Scorsi la sofferenza sul suo volto coperto da uno strato di cerone, verosimilmente per dargli quel colorito che non gli era più naturale. E non ho potuto fare altro che pensare quanto sia difficile fare il papa. Fare da pastore al tuo gregge, pur non più nel pieno delle proprie forze.

Come archeologo pompeiano ha pensato che stava vivendo un momento storico?

Tutto quello che fa un papa è storico. Nel caso specifico, scegliere di venire negli scavi, e non atterrare nel vicino e più comodo campo sportivo, di passarci anche se fugacemente a causa delle condizioni di salute precarie, significa un’apertura verso il mondo pagano, che aveva visto la nascita e la morte di Gesù Cristo e che lentamente, ma inesorabilmente, stava crescendo nella fede.

Quindi nessun pregiudizio, nessuna contrapposizione tra uno dei massimi santuari della cristianità dedicato alla Madonna e, a pochi metri di distanza, uno dei più significativi siti archeologici dell’antichità classica distrutto dal Vesuvio?

Il Professore Antonio Varone
Il Professore Antonio Varone

È la civiltà romana ad aver reso possibile il trionfo del cristianesimo.

Lei, in uno studio pubblicato anni fa, è andato alla ricerca di possibili tracce cristiane a Pompei, cosa ha trovato?

Nessuna prova certa, ma gli indizi ci sono.

Ovvero?

Ad esempio l’iscrizione a carbone, rinvenuta a Pompei nel 1862 e della quale ci restano riproduzioni a disegno perché ormai cancellata dal tempo, in cui sembra di poter leggere la parola “christianos”, da riferire ai seguaci di Cristo. La famosa epigrafista Margherita Guarducci ne ha fornito una lettura valida, interpretandola come una denuncia: “Bovios audit christianos saevos osores”, cioè “Bovio ascolta i cristiani crudeli odiatori”. Appellativo, quest’ultimo, dato ai cristiani e che ricorre negli Annales di Tacito. È il passo in cui lo storico romano racconta che, poiché si stavano facendo insistenti le voci che indicavano Nerone come mandante dell’incendio di Roma, i cristiani furono dichiarati colpevoli per “odio humani generis”: appunto, per odio nei confronti del genere umano.

Quest’iscrizione, però, non ci dà la piena certezza della presenza di cristiani a Pompei.

No, servono ritrovamenti più risolutivi. Non bastano nemmeno gli anellini pompeiani su cui è incisa la colomba con il ramo di palma sul becco che potrebbe essere il simbolo di un criptocristianesimo primitivo. Ma c’è un altro ragionamento da fare.

Sempre epigrafico?

Più storico. Non dimentichiamo che nel giro di poco tempo la religione cristiana da invisa al potere e perseguitata diventa addirittura culto ufficiale dello Stato romano. La diffusione del cristianesimo è veloce. Sappiamo che san Paolo durante il suo viaggio verso Roma, nel 61 d.C., approdato a Pozzuoli vi fu trattenuto dagli “adelphoí”, dai “fratelli” di fede. Se perciò già diciotto anni prima dell’eruzione esisteva a Pozzuoli una comunità cristiana, è plausibile che il messaggio cristiano sia arrivato anche a Pompei, che da Pozzuoli dista una quarantina di chilometri.

Professore, quindi i papi non hanno snobbato finora gli scavi di Pompei?

Guardi, se teniamo conto che la comunità ecclesiastica ha come suoi confini l’Australia, la Nuova Zelanda, l’Asia, l’Oceania, ci rendiamo conto che Pompei non la possiamo considerare il centro del mondo. Però le voglio confessare una cosa.

Mi dica.

Mi ha fatto enormemente piacere, oltre ad emozionarmi, che il neo-papa Leone XIV, eletto l’8 maggio, giorno della supplica alla Madonna di Pompei, l’abbia citata nel suo primo discorso ai fedeli affacciato al balcone di San Pietro.

“Nostra Madre Maria vuole sempre camminare con noi” è la citazione.

Foriera del fatto che Pompei potrebbe essere meta di uno dei prossimi viaggi pastorali di Leone XIV. Avere avuto due papi negli scavi di Pompei è già un traguardo che credo possano vantare ben pochi altri siti archeologici. Noi adesso attendiamo una terza visita, quella di papa Prevost, e ce l’auguriamo di tutto cuore. Non solo al santuario. Perché il messaggio della resurrezione si è fatto strada, piano piano, proprio nel mondo pagano. E forse a Pompei antica era già accesa la fiammella della nuova fede cristiana.

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