Perché le canzoni in classifica fatte con l’AI possono irritarci ma non devono spaventarci

Durante il ciclo di interviste che Rosalía ha concesso per presentare il suo ultimo album LUX, una frase ha colpito la mia attenzione: "Non c’è alcuna intelligenza artificiale qui, tutto è suonato da esseri umani". Perché la più nota artista spagnola degli ultimi anni, una delle poche vere popstar globali rimaste in circolazione, avrebbe dovuto sottolineare un’informazione piuttosto ovvia a chiunque abbia avuto la curiosità di ascoltare l’egregio lavoro strumentale che la London Symphony Orchestra ha compiuto nel suo disco? La risposta sta in una percentuale: 97%, la quota di persone che non saprebbe riconoscere una canzone generata con IA da una reale.
Perché oggi è così difficile distinguere musica IA da musica reale
Questo numero viene da una recente indagine che la piattaforma streaming francese Deezer ha commissionato a Ipsos a proposito dell’impatto dell’IA sulla fruizione musicale. Dei 9mila intervistati provenienti da 8 paesi, solo il 3% è stato in grado di distinguere musica IA-generata da musica reale. Altra cifra che non deve stupire, il 52% delle persone che ha sbagliato identificazione ha dichiarato di essere a disagio per questo errore. Sentirsi presi in giro, del resto, non è una bell’esperienza da fare, specie in un’arte che tocca così a fondo il nostro modo di essere e sentire. Quindi, cosa dovremmo pensare delle notizie recenti che riguardano l’avvento di canzoni IA-generate nelle classifiche? Che, prima di tutto, vanno messe nel loro contesto.
L’ascesa delle canzoni artificiali nelle classifiche e il ruolo dei bot
Partiamo dalla notizia più gravemente sproporzionata: la canzone Walk My Walk attribuita a un progetto chiamato Breaking Rust è da due settimane in cima alla classifica di Billboard Country Digital Song Sales, una chart che misura cioè gli acquisti di copie digitali di canzoni, pratica attualmente piuttosto in disuso. E infatti, come Billboard stessa comunica divulgando i dati della società Luminate, il numero di download di questa traccia e delle altre (che andremo a nominare) arrivate in questa chart è piuttosto ridotto: poco più di duemila download nella scorsa settimana per Walk My Walk, quando – Billboard fa notare – nella stessa settimana The Fate of Ophelia di Taylor Swift ha registrato 29mila download che l’hanno portata al primo posto dell’equivalente ma generalista chart Digital Song Sales. Per il momento non c’è bisogno di preoccuparsi delle classifiche di vendita, anche se torneremo pure su queste.
Walk My Walk, insieme con un’altra dello stesso progetto Breaking Rust intitolata Livin’ On Borrowed Time, ha fatto capolino anche nelle prime cinque posizioni di due classifiche di Spotify: Viral 50 Stati Uniti e Viral 50 Globale. Le classifiche "viral", bisogna sapere, sono assemblate da Spotify in base a tre fattori: se la canzone ha ricevuto nuovi ascolti di recente; quante persone hanno condiviso la canzone fuori dalla piattaforma; quante persone hanno scoperto la canzone di recente (cioè, quanti nuovi ascoltatori vi sono arrivati). Questa particolare combinazione di fattori, per intenderci, premia le novità che incuriosiscono e non necessariamente le canzoni che per qualsivoglia ragione abbiano picchi improvvisi di ascolto: per questo, ad esempio, le canzoni natalizie non fanno grandi risultati in Viral dal momento che sono quasi sempre classici già ascoltati da moltissimi nelle feste precedenti.
Evidentemente, la curiosità c’è: la Viral 50 americana, infatti, vede attualmente al primo posto un’altra canzone fake, Ain’t My Problem firmata da un artista inesistente di nome Cain Walker. Resta da capire se i numeri di riproduzioni di tutte queste canzoni, non insignificanti, siano veri o prodotti da bot. Ma questo dato oggettivo (autentico o meno che sia) si deve confrontare con un altro dato oggettivo, inserito nella ricerca sopra citata di Deezer e pronunciato in via ufficiosa da molti altri DSP: la stragrande maggioranza del pubblico non sta ascoltando questa musica. Deezer dichiara che le canzoni interamente IA-generate producono appena lo 0,5% degli ascolti totali sulla sua piattaforma, e il 70% di questi è fraudolento, cioè prodotto con bot automatizzati per riprodurre i brani.
Tra parentesi, quando a luglio avevamo parlato del caso Velvet Sundown tra le varie frodi creative in atto avevo proprio segnalato il caso dei “progetti” country, che stavano prendendo piede sempre di più, appellandosi a un senso di verità che risulta a dir poco grottesco, quando si conoscono i fatti. Se vuoi vincere una prossima scommessa su questo tema, ti consiglio di puntare sul metalcore emotivo, mentre su YouTube già il city pop giapponese è già caduto in mano alla macchina del content senza senso.
Cosa dicono davvero le ricerche: curiosità, diffidenza e richieste di trasparenza
Mentre questo zero-virgola di ascolti tiene impegnato qualche bot-farm, i veri ascoltatori in carne e ossa cosa dicono? Che forse sarebbero anche curiosi di ascoltare come suona una di queste “creazioni” (66% risponde così), ma a gran voce sostengono anche che queste canzoni andrebbero etichettate come generate da IA (l’80% dice questo). Peraltro, a fine settembre Spotify annunciò che avrebbe lanciato iniziative per etichettare le canzoni IA-generate, come fa appunto Deezer, ma ancora non si vede traccia di ciò. Una delle percentuali più significative della ricerca Deezer/Ipsos è però questa: solo l’11% dei 9mila intervistati ritiene che queste canzoni fasulle meritino di essere contate nelle classifiche. E questo ci riporta a un caso un po’ più eclatante delle canzoni country di cui sopra.
Il caso Xania Monet e il business degli “artisti” generati dall’IA
Un paio di mesi fa ha fatto notizia Xania Monet, la prima “artista” fake a essere messa sotto contratto in America con una cifra considerevole (almeno 3 milioni di dollari, secondo alcune fonti). Si tratta della creazione della sedicente poetessa Telisha Jones, che infila i suoi testi e prompt sul programma Suno, da cui escono le più generiche canzoni R&B che ti capiterà mai di ascoltare. Molte case discografiche esitano a collaborare con “artisti” che usano Suno perché l’azienda è in causa con le tre major per possibile violazione di copyright, e una causa con una multinazionale non fa piacere a nessuno. La scommessa di Hallwood Media, la label che attualmente pubblica le canzoni di Xania Monet, è che il fenomeno di questa entità diventi sufficientemente popolare in un tempo sufficientemente breve e che nel frattempo le major arrivino a un accordo con Suno. Del resto, Universal ha già stretto un accordo con Udio, altro servizio paragonabile, che ha promesso però di ristrutturarsi in modo radicale per venire incontro al rispetto del diritto d’autore e dei diritti fonografici. E anche Spotify, la piattaforma più importante, ha i suoi piani per integrare l’IA generativa nell’esperienza di ascolto (e a questo punto anche produzione) di musica.
Dopo aver pubblicato l’equivalente di tre album in meno di tre mesi, il nome Xania Monet si è affermato in modo anche più rilevante dei progetti country di cui sopra (forse c’è del sessismo anche quando si parla di persone inesistenti?). Per esempio, a settembre la canzone How Was I Supposed to Know ha raggiunto il numero 1 della R&B Digital Song Sales, il numero 3 della R&B/Hip-Hop Digital Song Sales e il numero 22 della generalista Digital Song Sales, ma nel frattempo la cosiddetta artista era comparsa anche in classifiche generali, che contano anche streaming e passaggi radiofonici: al numero 20 della Hot R&B Songs con la canzone di cui sopra, e al numero 3 della Hot Gospel Songs con Let Go, Let God.
L’impatto culturale dell’ondata IA: sovraccarico di contenuti e perdita di fiducia nella musica
Questo non deve farci pensare, però, che il pubblico stia cominciando a desiderare effettivamente questa musica per il suo consumo giornaliero. Musica disdicevole ha sempre fatto capolino nelle classifiche, per effetto della curiosità o per qualche altra morbosa e nefasta ragione, come quella che ha portato in cima alla Viral 50 olandese canzoni politiche d’intolleranza e odio che evidentemente la stessa azienda che permette pubblicità dell’agenzia ICE ritiene che non violino i suoi stessi termini di servizio sull’hate speech. Xania Monet non è altro che una mossa pubblicitaria, una scommessa di comunicazione arrivata in un momento in cui qualsiasi titolo contenga le iniziali “AI” circola facilmente.
Questo ci dimostra, semmai, che per chiunque voglia trovare i quindici proverbiali minuti di successo (e qualche contratto sostanzioso) senza avere nulla da dire e nessun talento musicale, si è aperto uno spiraglio di possibilità: con il giusto numero di ascolti fake pompati e un discreto battage, si può entrare nei radar del pubblico, e sperare di grattare qualcosa dai profitti delle mega piattaforme per il solo effetto della curiosità. Certo, i Velvet Sundown sono scesi di molto dal milione di ascoltatori mensili del loro picco, ma rimanendo sulle playlist che in modo ingannevole li accostano ad artisti degli anni della Guerra in Vietnam – come segnalammo a luglio – restano aggrappati a un numero sufficiente di orecchie (221mila ascoltatori al mese) che incrociando e non facendo caso alle loro “canzoni” portano qualcosa in tasche indebite.
Il vaso di Pandora è stato aperto, ma a uscire non è qualcosa di estremamente potente e fatale, come vorrebbero molti tecno-ottimisti. Semmai dal vaso esce una cascata torbida di content che non vuole fermarsi e che sta dando noia per mera quantità. Ogni giorno, ha dichiarato Deezer, vengono caricate 50mila canzoni interamente generate con intelligenza artificiale: si tratta del 34% degli upload quotidiani sulla piattaforma. Non c’è nulla di straordinario se non il cinismo di chi è disposto a usare qualsiasi mezzo per i quindici proverbiali minuti di fama, e la possibilità di rosicchiare qualcosa dai soldi che dovrebbero andare nelle tasche di artisti veri. Gli stessi artisti veri che, fino a prova contraria, i servizi di generazione musicale derubano del loro lavoro.
La presenza nelle classifiche di canzoni IA-generate è ancora principalmente una nota di colore, una curiosità che dice molto del nostro interesse (e sospetto) per queste tecnologie e poco del nostro piacere nell’ascolto. Concluso il clamore, infatti, molti di questi “progetti” tornano nell’ombra, senza alcuna pretesa di “carriera”, solo l’ennesimo rumore di fondo dell’universo dentro piattaforme strapiene di cose che funzionano solo se si mimetizzano nell’ambiente. Ma nel frattempo, una notizia di colore dopo l’altra, le canzoni fake avranno continuato a erodere il nostro senso della realtà e la nostra fiducia nella musica, convincendo forse qualcuno che il tempo della musica umana sia arrivato al termine. Ma senza musica umana, cosa imiterebbero le intelligenze artificiali?