Pasqualino Maione, ex Amici 7, la malattia e Sanremo: “Pensavo al mio funerale, ora sogno il Festival”

A 17 anni dalla sua partecipazione ad Amici 7, Pasqualino Maione racconta per la prima volta il periodo più difficile della sua vita: "Nel 2020, dopo i vaccini anti-Covid, ho avuto una meningite che ha colpito cervello e midollo. Sono stato ricoverato per mesi. I medici non sapevano se ce l’avrei fatta". Una lunga convalescenza, due ricoveri, ma anche la musica che ritorna come elemento imprescindibile: "Ascoltavo Michael Jackson in cuffia, mi aiutava a restare lucido". Poi il ricordo di Amici, dalla vittoria di Marco Carta alle preferenze dei professori nei suoi confronti, che però non hanno portato a un premio finale: "Io, però, alla fine sono arrivato terzo. Marco ha vinto un contratto con Sony, Francesco (Mariottini, ndr) il premio della critica e io ero appoggiato da tutti i professori. Pur essendo sul podio, non ho ricevuto niente. Mi aspettavo un riconoscimento, anche solo un contratto discografico". Il ricordo di Maria De Filippi e quel sogno Sanremo che ancora vaga: "Posso dire che è un sogno. Anche se tutti sembrano snobbarlo, è il sogno di qualsiasi cantante italiano. È anche il mio sogno, mai dire mai". Qui l'intervista a Pasqualino Maione.
Come stai?
Sicuramente meglio rispetto a prima. Mi sto riprendendo perché negli ultimi tre anni ho avuto dei gravi problemi di salute. Tutto è iniziato nel 2020, quando ho fatto dei vaccini per il Covid-19, doverosi, e da lì sono iniziate una serie di complicazioni. A volte mi sentivo un po’ stanco, ma non smettevo mai di andare avanti.
Poi?
Poi ho avuto un dimagrimento improvviso e un giorno ho dovuto chiamare il soccorso perché mi sentivo molto male. Sono stato ricoverato per un’infezione che aveva colpito il cervello e, successivamente, anche il midollo spinale. Era la meningite. Inizialmente ero stato indirizzato in un reparto non adatto alle mie esigenze, poi sono stato trasferito al Policlinico di Napoli dove hanno fatto tutte le indagini del caso.
Cosa è successo dopo?
Sono rimasto ricoverato per quattro mesi e la situazione era molto grave. I medici non sapevano se ce l’avrei fatta, ma sono riuscito a superare il momento critico. Dopo, piano piano, ho iniziato a riprendermi, anche se non è stato affatto semplice. Purtroppo, dopo un po’, ho avuto una ricaduta che mi ha costretto a un altro lungo ricovero. Non era ancora tutto risolto e son dovuto restare in ospedale ancora per qualche mese. Ma, con molta determinazione, sono riuscito a riprendermi di nuovo. Adesso sono sotto controllo medico e in terapia, con vari esami come TAC e risonanze magnetiche, e aspetto i risultati sperando vadano bene.
Un'esperienza che diventa ancora più pesante, se parliamo del tuo stile di vita molto sano.
Infatti, ho sempre fatto sport e a un certo punto avvertivo che il mio corpo reagiva diversamente. Ho cercato di mantenere la stessa voglia e passione, ma non è stato facile.
Immagino abbia gravato anche sulla tua salute mentale.
Sì, è stato davvero duro. Venivamo da due anni di lockdown, quindi è stato un blocco psicologico molto forte. Ancora oggi non è semplice superare tutto questo, serve tanto supporto psicologico perché da soli non ce la si fa.
La musica, come elemento, che ruolo ha avuto in quei momenti?
Ascoltavo molta musica, soprattutto nel reparto ospedaliero, dove condividevo la stanza con altre persone e non potevo mettere la musica ad alto volume. Ascoltavo soprattutto Michael Jackson, che è sempre stato il mio idolo. La musica, anche se malinconica o nostalgica, mi aiutava a restare connesso, a sognare e a non pensare troppo a quello che stavo passando.
Hai avuto paura che sarebbe finito tutto lì?
Sì, ci sono stati momenti in cui ho temuto di non farcela, e pensavo al peggio, persino al mio funerale. Ma poi, con l’aiuto dei medici e il loro supporto, sono riuscito a superare quel momento. Anche se ero molto indebolito fisicamente e vocalmente, ho continuato a lottare.
Nel 2023, con un forte senso di distacco della realtà, pubblichi Un giorno normale.
È stato un periodo in cui mi stavo riprendendo. Un giorno normale non parla della malattia, ma è un messaggio di positività. È una canzone scritta con il mio collaboratore musicale e arrangiatore, parla di un artista che chiede all’altra metà di trascorrere insieme una giornata speciale, anche se per lui quel giorno può sembrare normale. È un invito a vivere la positività e a godersi i momenti con qualcuno di speciale.
Hai mai fatto rinunce personali importanti per dedicarti alla carriera musicale?
In realtà è successo il contrario. In certi momenti ho trascurato il lavoro per dedicarmi a persone care o ad affetti, e con il tempo ho capito che alcune occasioni perse erano dovute proprio a questo. Sono sfaccettature della vita, ma il lavoro musicale è sempre stato importante.
C’è qualche episodio in particolare che ti ha segnato di più?
Sono più piccole cose, legate a dover scegliere tra lavoro e relazioni personali.
Ritornando su isole felici, pensando alla tua esperienza nella 7ª edizione di Amici, qual è la prima immagine che ti viene in mente?
Sicuramente lo studio, sia durante il pomeridiano, sia il serale, le prove con i professori che c’erano allora. Ricordo anche la giuria di gran classe, come Grazia di Michele, Fabrizio Palma e Luca Jurman, e la tensione nel trovare i pezzi giusti per tutti. C’era tanta emozione perché si cantava dal vivo, senza effetti o autotune, solo con la voce e il microfono. Era una sfida importante.
Cosa ne pensi dell'autotune?
Guarda, possiamo considerarlo uno stile, anche all’interno della scuola, come un elemento di riconoscimento musicale. Ma devo essere sincero: per me è importante che un artista sappia cantare davvero, e che sia tecnicamente capace. Quella è la base minima. Se non sai cantare, non sei un cantante: puoi essere autore, musicista, elettricista… senza sminuire nessuno. Sono solo mestieri diversi, ognuno con le sue specificità.
Che ricordi hai del tuo ingresso ad Amici 7?
Molto timido. All’inizio ero davvero chiuso. Durante i provini cercavo comunque di dare il massimo. Mi ero preparato su tutto: canto, recitazione, anche ballo. Musicalmente avevo già lavorato tanto, però mi mancava l’aspetto relazionale, il confronto, parlare, discutere, espormi. Ero competitivo, ma cercavo di tenermi tutto dentro. Poi ho capito che nella trasmissione contava anche il personaggio, non solo l’artista.
Quindi hai dovuto tirare fuori anche un altro lato di te?
Sì. All’inizio mi sentivo intimidito, ma poi ho capito che bisognava anche essere un po’ provocatori, saper far discutere. Io, però, sono rimasto più legato all’aspetto musicale. Dopo un po’ ho iniziato a lasciarmi andare, facendo imitazioni, scherzando con gli altri. Anche imitando i professori e i compagni.
Qualcuno se l’è presa?
Eh sì… qualcuno sì! Marta Rossi, ad esempio, inizialmente non capiva il senso. Poi però ha visto che era una cosa simpatica, fatta con rispetto, e l’ha presa bene. Mi divertivo tanto. Lo facevo anche per rilassarmi. Era un modo per stemperare la tensione e mostrare una parte diversa di me.
La vostra classe di canto era davvero fortissima, quindi il personaggio diventava un modo per distinguersi.
Esatto. Oltre alla voce, serviva far vedere chi eri, umanamente.
A livello personale, qual è un momento che ricordi con più piacere? E uno di difficoltà, che magari il pubblico da casa non ha colto?
Ad esempio, nelle prime tre puntate del Serale non mi sono mai esibito. È stato frustrante, perché se non ti vedono, non ti giudicano, ma nemmeno ti conoscono e lì pesava molto il televoto. Poi, con le imitazioni, è cambiato tutto. Da quel momento ho attirato l’attenzione anche fuori dalla scuola. È stato un punto di svolta.
Che ricordi hai di Maria De Filippi?
Bellissimi, dietro le quinte c’era sempre. Se avevi bisogno, anche solo di parlare, lei c’era. Anche quando non la vedevate in onda, lei era presente. Spegneva le telecamere per darti un momento di privacy. È sempre stata molto affettuosa, anche se non lo faceva vedere troppo.
Visto che Amici è cambiato molto nel tempo, ti chiedo — a posteriori — ti è mancato qualcosa alla fine del programma? Qualcosa che magari avresti potuto ottenere solo qualche anno dopo.
Sai, la nostra edizione ha segnato un passaggio importante: le case discografiche e le radio hanno iniziato a prendere sul serio il programma. Prima eravamo un po’ snobbati. Con Marco Carta, le etichette si sono svegliate. Certo, magari solo per il vincitore, ma è stato un inizio. Io, però, alla fine sono arrivato terzo. Marco ha vinto un contratto con Sony, Francesco il premio della critica e io ero appoggiato da tutti i professori. Pur essendo sul podio, non ho ricevuto niente. Mi aspettavo un riconoscimento, anche solo un contratto discografico.
Magari un’opportunità concreta.
Esatto. Però poi, negli anni, ho continuato a fare cose: una tournée teatrale con altri ex concorrenti, esperienze bellissime. Anche se oggi il sistema è cambiato: con i social hai molte più possibilità. Ai miei tempi c’era appena MySpace! Io su MySpace avevo 50.000 follower. Oggi sembrano pochi, ma nel 2007 era tantissimo! Internet era molto più limitato.
Oggi quei numeri si tradurrebbero in ascoltatori mensili su Spotify.
Ma dovresti aumentarli considerevolmente, visto il minore accesso al web di allora.
Cosa significa per te la parola Sanremo?
Posso dire che è un sogno, è il sogno di qualsiasi cantante italiano ed è anche il mio, mai dire mai.