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“Paragone”: dal diaspro nero dei mercanti nasce la nostra parola

La “pietra di paragone” è una varietà di diaspro nero usata fin dall’antichità per saggiare l’oro. Scopriamo come è che il “paragone” diventa la “comparazione”, e vediamo di preciso come si fa il saggio dell’oro con la pietra di paragone: una tecnica da mercante per determinare la purezza dell’oro.
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A cura di Giorgio Moretti
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La lingua ci tocca

I paragoni sono atti che affollano le nostre giornate. Sul blog di cinema leggiamo un paragone fra due film, per deciderci sull'acquisto da fare cerchiamo un paragone analitico di tre auto che abbiamo adocchiato, e nel silenzio dopo la festa di compleanno paragoniamo la nostra vita di oggi con quella di anni fa, e sorridiamo. Ed è naturale: solo facendo un paragone si possono capire le differenze, e nel paragone le virtù e i difetti brillano. Sono diversi i sinonimi del paragonare: pensiamo al confrontare, al comparare, verbi comuni che ci parlano direttamente di un avvicinare mettendo di fronte, a pari in una stessa situazione. Il paragone invece ha una storia radicalmente diversa e molto più concreta.

Il problema del saggio dell'oro è un problema antico come il commercio e la prima metallurgia: come si fa a sapere se questo pezzo di metallo giallo che ho in mano è oro puro, se è una lega con una parte di oro e una di rame o di altro metallo meno nobile, o se è pura mondiglia di colore giallo? Riuscire a scoprirlo con una prova sicura fa la differenza fra il riuscire a fare buoni affari o farsi fregare sistematicamente.

Ci sono molti modi per scoprirlo, ma molti di questi sono complessi e richiedono la distruzione del manufatto (pensiamo alla coppellazione, nata ai tempi in cui la chimica era alchimia, con cui nel crogiolo si fondono e separano metalli nobili da metalli vili). Serve un metodo non solo sicuro, ma anche rapido e che preservi l'integrità dell'oggetto. Per questo per lunghissimi secoli i mercanti hanno spazzato il Mediterraneo portandosi dietro dei sassi dal profondo colore nero.

Certe varietà di diaspro nero si presentano di colore perfettamente omogeneo, uno dei neri più cupi che si trovi in natura, simile a quello dell'onice. Ridotto in piccole lastre, ecco la pietra di paragone (paragonare viene dal greco parakonáo "aguzzare, sfregare contro", composto di pará "presso" e akonáo "affilare"). Il mercante prende il proprio campione d'oro di purezza nota e lo sfrega sulla pietra di paragone: questo lascia una striscia di un certo tono dorato. Poi prende il pezzo d'oro da saggiare e sfregandolo fa una striscia accanto alla prima. Stesso colore, stessa purezza. Si tratta di un modo grezzo di paragonare, ma evidentemente efficace. Oggi il paragone su pietra esiste ancora, ma è raffinato dall'uso di acidi (in particolare di acido nitrico) in diverse diluizioni: l'oro non reagisce con l'acido, quindi la striscia lasciata dal campione puro resterà inalterata, mentre quella dell'oro via via meno puro sarà via via più corrosa.

Tanto comune era la presenza di questa pietra di paragone che l'oggetto si è fatto concetto con vita propria. Già perché il paragone non si è limitato a vivere come una comparazione (ti paragono due vini), ma ha preso anche i significati più sottili di similitudine (per farti intendere l'assurdità della situazione ti faccio un paragone, per farmi capire un passaggio della spiegazione mi fai un paragone), e di somiglianza (buona questa Sacher, ma con quella che mangiammo a Vienna non c'è paragone). Parola non nata astratta, ma di mercato e di vita quotidiana che poi si è astratta, fascinosa e comune come le storie di falsari e mercanti.

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Nato nel 1989, fiorentino. Giurista e scrittore gioviale. Co-fondatore del sito “Una parola al giorno”, dal 2010 faccio divulgazione linguistica online. Con Edoardo Lombardi Vallauri ho pubblicato il libro “Parole di giornata” (Il Mulino, 2015).
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