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Le modifiche ai romanzi di Roald Dahl: cosa sta succedendo e perché stanno facendo polemica

Alcune modifiche ai libri di Roald Dahl hanno scatenato una polemica su come si può o meno agire a posteriori sui testi già editi per adeguarsi a nuove sensibilità.
A cura di Francesco Raiola
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Il dibattito sulle modiche ai libri di Roald Dahl, uno dei più importanti scrittori al mondo per l'infanzia, si sta sempre più allargando, usato sempre più per tirare la giacchetta a quello sul politicamente corretto (sic) e sulla cancel culture. Puffin, l'editore inglese dello scrittore, in accordo con la sua famiglia ha scelto di ripubblicare i suoi libri – da La fabbrica di cioccolato a Matilda, passando per Le streghe – modificandone il testo, cercando di ripulirlo da tutte quelle espressioni che possono essere viste come razziste e violente nei confronti di alcune minoranze, ma non solo. Le correzioni si sono estese e hanno portato alla censura vera e propria di alcune parti. Insomma, nelle nuove versioni dei libri di Dahl alcune parti non si potranno leggere più mentre altre saranno edulcolorate. Niente più "fat", quindi, ma neanche "black" o "weird African language" cercando di venire incontro a sensibilità contemporanee.

Non è raro che testi scritti molti anni fa siano rivisti, sia nell'originale che nelle traduzioni: non si scandalizza nessuno se, per esempio, la parola "ne*gro" non si usi più e non venga usata così nelle nuove versioni di alcuni classici. Le traduzioni si rinnovano perché è il linguaggio a rinnovarsi, mentre alcuni termini si modificano perché il loro uso non è più consentito e la società odierna è diversa da quella di quando un testo è stato scritto. C'è, ovviamente, sempre una lunga discussione attorno a questi cambiamenti che tendenzialmente non sono sostanziali. Non lo sono neanche quelli che il Telegraph ha trovato nelle nuove traduzioni dei libri di Dahl, ma nonostante ciò sono numerosi e talmente evidenti che è giusto che scatenino un dibattito attorno alla materia (dibattito che più che scatenarsi si riaccende). Dahl i cui libri, è bene ricordarlo, nel tempo avevano già subito delle modifica, come è evidente, per esempio, nelle trasposizioni cinematografiche, come quella in cui gli Umpa Lumpa, inizialmente schiavi provenienti dall'Africa, erano stati tramutati in personaggi immaginari dalla pelle arancione e i capelli verdi.

E anche in questo caso le trasposizioni cinematografiche hanno il proprio peso, perché pare che gli "aggiusti" siano stati fatti anche per venire incontro alle esigenze di Netflix che ha acquistato i diritti nel 2021 per circa 650 milioni di euro, conquistando il controllo sulla pubblicazione dei libri e sugli adattamenti per vari progetti futuri. "Le parole contano – si legge nell'avviso che si trova in fondo alla pagina del copyright delle ultime edizioni di Puffin dei libri di Roald Dahl -. Le meravigliose parole di Roald Dahl possono trasportarti in mondi diversi e farti conoscere i personaggi più meravigliosi. Questo libro è stato scritto molti anni fa, quindi rivediamo regolarmente il linguaggio per assicurarci che possa continuare a essere apprezzato da tutti oggi".

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Insomma, senza che nessuno lo chiedesse, ma dopo la valutazione di una commissione apposita, alcune parti del libro che avevano a che fare con peso, salute mentale, genere e razza sono state cancellate o riadattate, come scrive sempre il quotidiano inglese, al punto che in Matilda, per esempio, è stato cancellato un riferimento a Rudyard Kipling, sostituito da uno a Jane Austen. Questa cosa ha scatenato una polemica che, anche dopo giorni, non vede la fine. Coloro che da anni urlano contro la cancel culture (quella da sinistra, mai per quella di destra), quindi, si crogiolano in quello che definiscono l'esempio massimo di wokeism (come amano definirlo anche in Italia, mutuandone il termine dagli Stati Uniti), ovvero "un modo di riferirsi agli atti e alle opinioni di persone particolarmente consapevoli di problemi sociali come il razzismo e la disuguaglianza, utilizzato da persone che non approvano questi atti e opinioni". Sebbene sia evidente che le derive possano esserci da ogni parte e che possano essere compiute scelte sbagliate a causa di persone che sono più realiste del re, è troppo facile fare di tutt'erba un fascio.

I libri di Dahl, insomma, non sono le statue degli schiavisti buttate giù, ma in generale la questione di Dahl è più complessa anche se analizzata nel campo letterario e culturale. Gli adattamenti teatrali, ma anche quelli televisivi e cinematografici, che spesso hanno una portata anche maggiore del libro in sé possono essere tranquillamente infedeli all'originale, mentre il culto letterario è difficile da toccare, soprattutto in un mondo attuale in cui le sfumature tra le posizioni più progressiste e quelle più conservatrici si sono acuite e in cui spesso la polemica viene utilizzata in maniera strumentale, senza aver mai fatto un serio ragionamento sulla questione (questo avviene perlopiù con i politici più che con gli intellettuali). Già oggi, per dire, alcune opere di Dahl non sono più come erano state scritte in origine – talvolta per volere dello stesso scrittore che si era reso conto che i tempi erano cambiati – senza che questi cambiamenti abbiano mutato, nella sostanza, le opere.

Opere che, lo ribadiamo, sono state importanti per tantissime generazioni di bambini che sono cresciuti con il GGG, Matilda e che si riconoscevano in Charlie, il bambino povero che erediterà la Fabbrica di cioccolato. Opere che hanno nei bambini delle persone pensanti, che lottano per i propri diritti "in quanto soggetti politici titolari di bisogni, esigenze, diritti e doveri", come sottolineava Jennifer Guerra su The Vision in un articolo in cui già si discuteva della fruibilità dello scrittore già qualche anno fa. La questione interessante si pone, semmai, nella discussione sul bisogno di protezione versi bambini/e e i ragazzi/e. È meglio cancellare il termine "fat" oppure spiegare perché quel termine è sbagliato e perché anni fa si poteva utilizzare senza problemi. O perché, in generale, non accettiamo più l'uso del termine ne*gro, considerato normalissimo fino a qualche decennio fa. Era certamente possibile intervenire in maniera meno problematica, ma alla fine la discussione è diventata più strumento per gettarla in caciare che per fare un serio ragionamento sulla questione. Ed è un peccato.

Un'ulteriore questione che deriva da questa storia è quella capitalista, ovvero l'idea che questi cambiamenti non siano stati fatti per una questione prettamente di sensibilizzazione, ma perché questa sensibilizzazione permette di venderne meglio i diritti. Insomma, in una società di mercato si può veramente credere alla buona fede di chi attua questi cambiamenti? È vero, spesso qualcuno è più realista del re, ma a questi specularmente si oppongono quelli che usano qualunque polemica per portare acqua al mulino del conservatorismo, per cui faccio mia l'osservazione di Francesco Maria Terzago su Rivista Studio: "Trovo singolare che chi oggi si indigna per il processo editoriale che ha riguardato Dahl appartiene, spesso, alla categoria di persone che vorrebbe che certi temi non fossero affrontati a scuola, e che gradirebbe che le nostre storie condivise continuassero a riflettere l’ingiustizia sistemica in cui si specchia il loro privilegio". Con buona pace di Salvini.

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