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Capuzzelle e “anime pezzentelle”: il culto dei morti a Napoli è molto più antico di Halloween

La redenzione per una vita “pezzente” può arrivare anche dopo la morte: è questo il profondo significato che Napoli ha dato, nei secoli, al culto dei defunti. Un legame antico e affascinante lega questa città all’aldilà e in particolare al Purgatorio, inteso come occasione di riscatto e non di dannazione. E se gli americani per Halloween hanno le zucche, Napoli ha le sue “Capuzzelle”.
A cura di Federica D'Alfonso
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Una delle Capuzzelle del Cimitero delle Fontanelle, a Napoli.
Una delle Capuzzelle del Cimitero delle Fontanelle, a Napoli.

Napoli ha sempre avuto un rapporto molto particolare con la morte. Dall'importanza reverenziale riservata allo schiattamuorto alla venerazione delle anime pezzentelle, la vita del popolo partenopeo si è sempre in qualche modo dovuta confrontare con la morte: ed è in particolare con le anime dannate, dimenticate perché “pezzenti”, che Napoli si è identificata di più, quasi a condividere la stessa sorte di miseria e speranza. Sono queste le ragioni che hanno fatto nascere e crescere proprio il culto delle capuzzelle che, in questa giornata, non possono non affascinare per il loro legame con la ben più nota e forse meno sentita festa di Halloween.

Se infatti gli inglesi vantano una lunga tradizione fatta di zucche intagliate e leggende macabre, Napoli non è da meno: anzi, la storia del culto riservato ai morti è ben più antica e affascinante, legata com'è alle origini pagane della città e allo stesso tempo ad una spiritualità forte e viscerale. Esistono luoghi simbolo delle pratiche devozionali riservate ai morti che non sono, per inciso, morti qualunque: è alle anime dimenticate, quelle che per molti motivi sono rimaste imprigionate in Purgatorio e non hanno avuto l’occasione di riscattarsi in vita, che per esempio la chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco è dedicata.

Uno dei teschi che adornano la facciata della Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco, a Napoli.
Uno dei teschi che adornano la facciata della Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco, a Napoli.

E ci sono altri luoghi, meno “sacri” almeno apparentemente, che per secoli hanno celato nelle viscere della città le preghiere sussurrate ai teschi dei morti senza famiglia né identità: come il Cimitero delle Fontanelle, che ancora oggi nasconde gelosamente molti dei suoi segreti. Qui riposano “Pascale”, il teschio capace di far vincere al lotto, o “donna Concetta, a’ capa che suda”: si ipotizza che sotto gli strati portati alla luce dagli studiosi ci siano ancora quattro o cinque metri di teschi minuziosamente impilati dal Tempo, protagonisti dell’affascinante “culto delle capuzzelle”.

Il culto dei morti a Napoli, una religiosità profana

Il Cimitero delle Fontanelle, a Napoli.
Il Cimitero delle Fontanelle, a Napoli.

Questa particolare forma di devozione per i morti ha origini antichissime e, nel tempo, si è confusa ed intrecciata con le miserie e le catastrofi che hanno scritto la storia di questa città: da un lato sopravvive, celata nei meandri di un’affascinante sacralità profana, l’antica religiosità greco-romana legata al culto dei Lares familiares, vere e proprie divinità protettrici della famiglia. È profondamente pagana, infatti, l’usanza di rendere omaggio a piccole statuette o immagini dei defunti che avevano la funzione di “vegliare” e “proteggere” i vivi. Non è un caso che a Napoli i luoghi più celebri legati al culto dei morti, come il Cimitero delle Fontanelle o la chiesa del Purgatorio ad Arco nascano, geograficamente, in luoghi che anche in epoca greco-romana erano riservati a funzioni sacre e misteriche.

Dall'altro lato, la venerazione delle anime dei defunti è diventata, in un certo periodo della storia partenopea, l’unico rifugio per i vivi di fronte all'incombenza della morte e della disperazione: fu soprattutto a partire dal Seicento, quando una terribile epidemia di peste si portò via quasi trecentomila persone, che il rapporto con la morte divenne fonte di vita e speranza per coloro che sopravvivevano. Ragione di espiazione e pentimento, per lo più: si ritenne infatti che la terribile pestilenza si fosse abbattuta sulla città a causa dei peccati della popolazione. I vivi decisero che era giunto il momento di venerare la morte.

Le anime “pezzentelle”: un legame fra vita e morte

Teschio conservato presso il Cimitero delle Fontanelle, a Napoli.
Teschio conservato presso il Cimitero delle Fontanelle, a Napoli.

Alle capuzzelle era infatti attribuito il potere di esaudire le preghiere di chi le aveva prese a cuore: speranze grandi o piccole che fossero, come anche vincere qualche numero al lotto, adornano ancora gli altarini messi su da secoli di devozione e speranza. Nell'antico Cimitero delle Fontanelle, il luogo forse più emblematico e suggestivo di tutta Napoli, si conservano ancora i segni del passaggio di centinaia di persone devote alla propria capuzzella. In alcuni dei teschi conservati nelle catacombe sono stati rinvenuti messaggi e richieste, come quella della famiglia Lista: il loro figlio Ciro, partito come soldato durante la Seconda Guerra Mondiale, a seguito dell’Armistizio non aveva fatto ritorno. Il messaggio è datato 3 aprile 1944:

La famiglia dell'Aviere Lista Ciro trovandosi senza notizie di suo figlio da pochi giorni dopo l'Armistizio e quindi sono otto mesi ed essendo devota di voi aspetta con tanta fede da voi la bella grazia.

È in questo modo che nasce il culto delle anime “pezzentelle”: nel caos generato dalla pestilenza e dai successivi provvedimenti che vietavano l’inumazione nelle chiese per ragioni di igiene e, secoli dopo, nello sgomento provocato dalla guerra, tantissimi furono i morti che non ebbero degna sepoltura. Per lo più, coloro che in vita non erano stati abbastanza ricchi o importanti da guadagnarsi un posto di rilievo anche dopo la morte: anime “pezzenti”, abbandonate, dimenticate.

Nella religiosità impregnata di superstizione che consolava i vivi, tale pezzenterìa creò una forte empatia fra quei morti alla soglia della dannazione e i vivi, altrettanto dannati: nasce così la credenza che pregando per loro, per i defunti senza identità, un giorno chi se n’era preso cura avrebbe ricevuto il perdono, o la grazia, o a sua volta il regalo di un ricordo affettuoso dopo la morte. Adottare una “capuzzella” diviene un rituale centrale nella vita del popolo napoletano: adornarle con merletti e fiori, portare saltuariamente piccoli doni e preghiere a questi volti senza identità, e praticare una pietà che molto probabilmente questi morti in vita non avevano avuto è un modo per riscattarle dall'oblio e per sperare di ottenere, chissà, qualcosa in cambio.

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