Io sono Rosa Ricci, Raiz: “Mostro il peggio di Don Salvatore e canto con Silvia Uras, migliore amica di Maria Esposito”

Raiz ha raccontato a Fanpage come nasce la canzone Vàttelo! – cantata assieme a Silvia Uras – che fa da colonna sonora al film Io sono Rosa Ricci, spin off di Mare Fuor che esce al cinema il 30 ottobre, nel quale torna nei panni di Don Salvatore al fianco di Maria Esposito.
A cura di Francesco Raiola
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Raiz torna a vestire i panni di Don Salvatore in Io sono Rosa Ricci, film diretto da Lyda Patitucci e nato da una costola di Mare Fuori – nelle sale dal 30 ottobre -, anzi da un rapporto padre figlia che i fan della serie di Rai1 hanno amato particolarmente. Un amore che portò prima gli sceneggiatori a prolungare la vita del personaggio interpretato dal frontman degli Almamegretta e poi a creare addirittura uno spin off che ha il personaggio interpretato da Maria Esposito come protagonista.

Grazie a questo personaggio, Raiz – al secolo Gennaro Della Volpe – da anni uno dei protagonisti della scena musicale italiana ha ottenuto una popolarità inaspettata che gli ha regalato una seconda vita artistica e parallela a quella di cantante. Un vestito, però, che non lo abbandona mai e così dopo aver scritto la maggior parte delle canzoni di mare Fuori è anche protagonista, assieme a Silvia Uras, di Vàttelo!, la canzone – uscita il 14 ottobre – colonna sonora del film e il cui video Fanpage può mostrarvi in anteprima.

La canzone su cui scorreranno i titoli di Io sono Rosa Ricci è Vàttelo!, un brano cantato da te ma nei panni di Don Salvatore: cosa rappresenta all'interno del film?

Tutto nasce dal fatto che Paolo Baldini, autore della colonna sonora, nonché ultimo produttore e bassista degli Almamegretta, è stato arruolato nella truppa. Io non c'entro nulla, ma quando ci siamo ritrovati, la regista Lyda Patitucci ci ha chiesto di fare un pezzo assieme e abbiamo acconsentito. Però volevo qualcosa in cui fossi attore fino alla fine, così è nata una canzone – anche provocatoria – che scrive e canta Salvatore Ricci, che fa le sue battute e a un certo punto – anche fuori dal politically correct – canta questa canzone.

In che senso provocatoria?

Nel senso che il testo non rispecchia il mio modo di vedere le cose, ma è il modo in cui la deterrenza è esercitata in certe realtà. E se ci pensi è quello che accade nel mondo reale in maniera terrificante: noi lottiamo per l'esatto contrario, però il mondo si muove esattamente su questi parametri qui.

Il brano non lo canti da solo…

Lo canto con Silvia Uras, giovane cantante napoletana e migliore amica di Maria Esposito che avrebbe dovuto cantare la parte femminile. Invece l'ha cantata Silvia, una bravissima cantante, ma credo che l'abbiano scritta insieme perché sento che è anche di Maria quel modo di rapportarsi al personaggio.

Raiz e Silvia Uras
Raiz e Silvia Uras

Mi ricorda un pezzo degli Almamegretta, con cui avete reso iconico quel mescolare reggae, dub, trip hop e napoletano.

Abbiamo cominciato a farlo all'inizio degli anni 90 e in effetti assomiglia molto a un pezzo vecchio stile degli Alma: ha un andamento abbastanza reggaeton e anche i testi e il modo di cantare.

Il film nasce come spin off di Mare Fuori, ma si muove con altre regole, no?

È un prequel del personaggio di Rosa, si pone tra la prima e la seconda stagione, quando l'altro mio figlio, Ciro, sta in carcere. Comincia con me e Rosa che abbiamo fatto una visita in carcere, poi succede una cosa che non posso spoilerare, però è una storia molto diversa da quelle che siamo abituati a vedere in Mare Fuori. La serie ha un intento educativo, vuole raccontare qualcosa: la vita del carcere minorile, la possibilità della redenzione che deve essere assicurata a tutti. Nel film no, è un gangster movie all'italiana, un action movie, succedono tante cose. Salvatore finalmente ha la sua giustizia: chi ha seguito Mari Fuori sa che il mio personaggio è molto temuto, ma alla fine non ha mai fatto niente, c'è giusto una scena in cui spara uno, ma poca roba, invece qua…

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Finalmente fa vedere chi è?

Esatto, spieghiamo perché tutti hanno tanta paura di questo Salvatore.

Quali sono state le parti più divertenti che hai girato?

Quelle di azione: chi abbia almeno fatto a botte una sola volta nella vita sa che 2-3 minuti di lotta vera sono faticosissimi, ma anche mezz'ora, tre quarti d'ora di lotta finta ti distruggono.

Come è evoluto il rapporto tra te e Maria Esposito?

Rosa è stata riportata al suo status di adolescenza. Maria è capace di ringiovanire, ha la sua adolescenza chiusa nel cassetto, mentre io sono sempre lo stesso. L'ho vista crescere, l'ho conosciuta quando aveva 16 anni e oggi è una giovane donna ambiziosa, brava, che sta costruendo la sua carriera e ha molta voglia di lavorare. Fin dal primo giorno ho percepito questa scintilla del voler fare. Ti racconto un episodio capitato il primo giorno che abbiamo girato insieme.

Prego.

Io ero un po' deconcentrato per questioni personali, quando sono arrivato sul set ero un po' frastornato, non ero sicurissimo delle battute. Maria le conosceva a memoria, era la prima volta che la vedevo e lei mi dava le battute. Poi quando sono rientrato in me ho ripreso in mano la situazione, però è stato fantastico, mi è piaciuta molto fin dal primo giorno, poi è maturata tantissimo e in questo film si vede.

Pensavi che che questi due personaggi potessero vivere una vita oltre la serie Mare Fuori?

Sì, grazie a questo importante rapporto padre figlia, che è anche quello che ha convinto la produzione a tenere in vita il personaggio di Salvatore Ricci che doveva morire alla fine della seconda stagione perché bisognava lasciare campo e spazio ai più giovani. Quando avevo solo figli maschi la morte del mio personaggio era normale, ma quando è entrata Maria la sinergia che si è creata tra noi ha sedotto la produzione e hanno lasciato il personaggio in vita. E a quel punto – anche su spinta mia – Don Salvatore è diventato anche più denso, gli abbiamo voluto dare un taglio umano.

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Nonostante il suo ruolo?

Io sono convinto che dipingere i criminali in maniera soltanto dark, deresponsabilizza un po' la società. Invece se guardi l'umanità che ci circonda pensi che messo in altre condizioni, in un altro mondo, in un'altra vita, ce l'avrebbe potuta fare. Questo non toglie le responsabilità di un personaggio come Salvatore Ricci, che non merita redenzione, è un assassino, uno che ha educato i figli al crimine, di tutto di più, però dentro ha una scintilla di luce e questa cosa è bello vederla.

Ci spieghi come funziona quando ti dicono che il personaggio che dovrebbe morire non morirà?

Che continui a lavorare in una serie di successo (ride, ndr), una serie che abbiamo contribuito un po' tutti a far crescere. A parte Don Salvatore, per esempio, io ho scritto tantissime canzoni, tutte le voci, le parti vocali ed è divertente l'idea che nella fiction tutto può interrompersi poi cambia tutto e ti devi inventare qualche altra cosa.

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Cosa ha rappresentato questo ruolo per te, per la tua carriera?

È stato fondamentale perché mi ha dato tantissima popolarità e ha permesso a tante persone di andare a riscoprire quello che avevo fatto in precedenza, hanno ascoltato anche le canzoni che ho scritto per Mare Fuori, così anche quelli più giovani mi hanno riscoperto come come musicista. È capitato di incontrare ragazzini che mi dicevano: "Ah, Don Salvatore, ma voi cantate pure", a me che canto da oltre 30 anni.

Quindi nessun fastidio…

Ma no, anche questo è molto divertente. Molti mi chiedono se mi indispettisce non essere riconosciuto come cantante: la risposta è no.

E come vivi questa cosa di essere chiamato Don Salvatore per strada?

C'è moltissima gente che lo fa. Come molti napoletani ho vari nomi e tra questi c'è anche Salvatore, quindi diciamo che ci sta. È divertente l'identificazione con un personaggio che non è positivo, però i napoletani – e io adesso sono tornato a vivere ai Quartieri Spagnoli, dove vivevano i miei genitori, dove sono nato, quindi lo vedo ogni giorno – sanno notare l'umanità: c'è la condanna, ovviamente, perché nessuno vorrebbe essere un criminale, anche quelli che hanno i parenti criminali, c'è grande consapevolezza dell'umanità.

Quindi i ragazzi che ascoltano la tua canzone riescono a capire che è una storia, non la realtà?

Io spero di sì, perché la canzone incita alla deterrenza, dice che se qualcuno ti vuole picchiare lo devi picchiare altrimenti non ti si leverà mai di dosso, che è esattamente il contrario di quello che viene insegnato oggi a scuola. Io però non ho vergogna di dire che pure io sono stato educato così, ho un'educazione molto popolare, insomma mia madre – quartierana doc – era una di quelle che si arrabbiava quando le prendevo a scuola.

Questa è una notizia, Raiz le prendeva a scuola?

È successo, poi a causa di questa educazione anti montessoriana ho finito per non prenderle più.

È questa cosa che ti ha portato a scrivere musica di fratellanza e di pace? 

Sì. Io sono sono un grande fan di Alexander Langer, che diceva di voler trovare persone che sappiano dialogare fra di loro, perché l'unica maniera per uscirne, da questa storia, è trovare le persone che vogliono le stesse cose, la pace, il confronto, e vedono la differenza culturale non come randello per bastonare il prossimo ma come un valore da scambiarsi. Dobbiamo cercare di vivere insieme, di convivere, magari anche mescolarci. Che poi è la storia del mondo e quello che scrivevo in Black Athena in cui cantavo che il mondo è così da sempre, la gente gira e poi diventa una sola cosa oppure si divide. Che è il contrario dell'orrore che vediamo oggi, dove abbiamo visto scontri super nazionalistici, guerre di religione, in tempi in cui non ce le saremmo proprio più aspettate. Però, malgrado tutto, penso che valga la pena sempre lavorare in tal senso, anche laddove le cose sembrano inconciliabili abbiamo il dovere di essere ottimisti, perché l'alternativa invece è la guerra.

In questi giorni c'è stato il cessate il fuoco in Palestina. Qual è il tuo pensiero?

La prima cosa che mi viene in mente, come direbbe qualche mio amico palestinese, è "Inshallah", cioè, "meno male". Che ci sia almeno un cessate il fuoco è bene, perché se finisce lo scorrimento di sangue è sempre una cosa buona. Certo, mia nonna diceva che con questi cavalli non si va a Montevergine, cioè coi governanti che palestinesi e israeliani hanno avuto e hanno chissà… però abbiamo il dovere di coltivare la speranza e di trovare persone che sappiano apprezzare il valore della convivenza e della coesistenza.

In cosa possiamo riporre speranza?

In una nuova epoca e governanti più saggi, che capiscano che l'unica maniera per andare avanti è trovare una soluzione che sia win-win e che dia, per il futuro, giustizia, libertà, sicurezza, salute, cooperazione. Molti mi danno del buonista perché la realtà è difficile: io ho vissuto diversi anni in Israele e ho conosciuto, naturalmente, tantissimi palestinesi che hanno lavorato anche in condizioni terrificanti per la pace, per la coesistenza. E lì c'è questo sentire comune, ovvero il dovere di essere ottimisti, non far spegnere la speranza, perché spegnere la speranza significa il genocidio, da una parte, dall'altra, da tutte e due, è l'orrore totale.

(Questa intervista è stata editata per motivi di lunghezza e chiarezza)

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