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Indiana Jones a Segesta: “Ora siamo famosi nel mondo, ma non valorizza la vera archeologia”

Per girare “Indiana Jones e il quadrante del destino” è stato scelto il sito archeologico di Segesta. Un grande ritorno di immagine, con la consapevolezza che fare l’archeologo è un’altra cosa.
A cura di Claudia Procentese
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Una scena del film con il sito archeologico di Segesta sullo sfondo
Una scena del film con il sito archeologico di Segesta sullo sfondo

Il tramonto sul monte Barbaro sembra un piano sequenza, il tempio visto dall’alto una spettacolare scena al rallentatore, lo scorcio delle trentasei possenti colonne un’inquadratura a campo lungo che squarcia lo spazio. L’antica città di Segesta è un lungometraggio a vocazione naturale. Inevitabile che il sito archeologico trapanese fosse scelto come set cinematografico per alcune scene del quinto capitolo della saga di Indiana Jones, con l’ormai ottantenne Harrison Ford protagonista. “Indiana Jones e il quadrante del destino” è dal 28 giugno scorso nelle sale, ma le riprese in terra siciliana sono iniziate nell’ottobre del 2021.

L’imponente produzione hollywoodiana

"Meravigliata? No, quando mi hanno comunicato che avrebbero girato anche tra le rovine di Segesta, mi sono più che altro preoccupata perché avremmo avuto tanta attenzione in più, ma l’efficiente macchina del cinema americano ha lavorato in maniera impeccabile" ricorda Rossella Giglio, oggi in pensione e all’epoca direttrice del Parco segestano. "Insieme all’allora assessore regionale ai Beni culturali e all’Identità siciliana Alberto Samonà visitammo il set accolti dai responsabili della Lucasfilm – continua l’archeologa Giglio -. Un’esperienza unica. Rimasi colpita da questa cittadella hollywoodiana e i suoi container popolati da sarti, truccatori, parrucchieri, meccanici e con una cucina da campo dove si mangiava ventiquattro ore su ventiquattro cibo soprattutto siciliano. E poi un complessa apparecchiatura digitale tramite la quale i volti degli attori venivano mappati al computer in ogni loro singolo movimento, forse anche per il ringiovanimento di Harrison Ford in certe sequenze, chissà. Stupefacente!". Una troupe di circa 600 persone, 30 camion lunghi fino a 18 metri più altri 20 trasportanti materiale tecnico, 25 furgoni di 7 metri, 120 tra auto e van, decine di tensostrutture tra cui anche quella per i tamponi rapidi poiché si era ancora in piena pandemia aspettando la terza dose di vaccino. Non solo Segesta, ma anche il castello Maniace a Ortigia, il parco archeologico della Neapolis con il famoso Orecchio di Dionisio (la grotta artificiale che amplifica il suono fino a sedici volte e dove il tiranno udiva in segreto i suoi prigionieri), Cefalù, Castellammare del Golfo, San Vito Lo Capo, Marsala sono state le location siciliane dell’attesa pellicola diretta da James Mangold, che ha raccolto il testimone di Steven Spielberg, per una produzione dal budget di quasi trecento milioni di dollari.

La trama non rispetta la geografia reale dei luoghi

"Abbiamo concesso l’area, secondo il tariffario della legge Ronchey, e chiuso il Parco ai turisti per tre giorni – racconta l’ex direttrice -, mentre l’accesso al tempio è stato interdetto per una decina di giorni tra montaggio e smontaggio delle attrezzature". Un Parco autonomo nella terra degli Elimi, istituito nel 2018 di circa 200 ettari che, oltre al famoso tempio dorico siceliota, ubicato in una suggestiva posizione extraurbana, raggruppa altri siti limitrofi (Grotte di Scurati a Custonaci, Mokarta e San Miceli a Salemi, Monte Castellazzo di Poggioreale, Rocca di Entella a Contessa Entellina) dentro uno spazio temporale che va dalla preistoria alle testimonianze arabe e medioevali. "Qualora mi domandi se ho visto Harrison Ford, le rispondo che girava, era lì, ma il set era blindato e io per il mio ruolo istituzionale non potevo certo invadere spazi, chiedere autografi o scattarmi selfie, non coltivo queste idolatrie" anticipa con una risata trascinante l’ex direttrice che pochi giorni fa ha visto il film al cinema. "Quando compare sullo schermo il tempio di Segesta, subito dopo ci si ritrova nell’oscuro anfratto dell’orecchio di Dionisio a Siracusa – commenta -, insomma la trama ha sconvolto la realtà. I personaggi, provenienti dal Marocco, fanno intendere di sbarcare a Siracusa per cercare la tomba di Archimede sulle tracce della terza parte del quadrante del destino, cioè il meccanismo di Antikytera, sofisticato calcolatore astronomico degli antichi Greci, che nella trasposizione cinematografica sarebbe in grado di localizzare fessure temporali. Anche le auto d’epoca sono targate SR, Siracusa, ma siamo a Segesta. Stessa cosa succede quando arrivano al porto del Pireo, le cui scene sono invece girate a Marsala che ho subito riconosciuto perché è la città dove abito". Quarantadue anni dopo “I predatori dell’arca perduta”, il superman dell’archeologia, ormai anziano professore in pensione, durante i giorni emozionanti dell’allunaggio del 1969, rispolvera il fedora e il giubbotto di pelle per un’ultima avventura che ha però un prologo nel 1944 alla fine della seconda guerra mondiale.

Visibilità non vuol dire valorizzazione

In Indiana Jones 5, Segesta, presa in prestito come varco al sepolcro del matematico siracusano, diventa aggancio tra passato e presente per cambiare le sorti del futuro, visto che the dial of destiny potrebbe addirittura fermare l’ascesa di Hitler. Un crogiolo di storie con il tempio dorico siceliota a fare da sfondo, lui che già di suo regala ai visitatori la magia di un balzo indietro nel tempo di fronte ad un raro monumento incompiuto (e le colonne non scanalate lo rivelano), rimasto così come è stato interrotto quasi 2500 anni fa. "In termini di visibilità – sottolinea Giglio – il film è sicuramente un’opportunità perché lo spettatore è motivato a chiedersi dove si trovi quel tempio, è una promozione mondiale per il sito archeologico. Ed è stato positivo anche sotto l’aspetto dell’economia del territorio, visto che l’indotto ha fatto registrare il tutto esaurito in ristoranti, bar, alberghi, autonoleggi. La storia poi è avvincente, tuttavia contiene fatti inverosimili, si capisce che è una novella. Non è questa l’archeologia. Che voglio dire? Non mischiamo tutto, lasciamo divisi i due livelli di comunicazione, quella scientifica e quella dei fumetti". L’allusione è all’utilizzo oggi troppo sdoganato della scoperta clamorosa per accendere i riflettori sull’archeologia, proprio come se fosse un film, confondendo i piani di esposizione, ma l’ex direttrice non vuole aprire polemiche. "Mettere tutto insieme sarebbe un delirio, separiamo i racconti – suggerisce con convinzione -, altrimenti è una rovina che già sta provocando seri danni alla disciplina e alla corretta informazione. Non dimentichiamoci dei ‘veri’ archeologi".

Tanti turisti, ma la conoscenza di un luogo si basa sull’avvicinarli alla sua storia

Ben venga, perciò, la settima arte che smuove passioni, ma il metodo storico è altra cosa e va rispettato. Del resto lo stesso Harrison Ford al Taormina Film Fest, dove si è svolta la prèmiere italiana, ha detto di aver interpretato “un eroe, non un archeologo”. Ha aggiunto, lodando il clima, gli abitanti e il cibo isolani, che la Sicilia è il luogo natale della scienza e di Archimede, uno dei personaggi principali del film: “Siamo quindi laddove è realmente accaduta la storia”. "Sì certo, siamo tutti d’accordo con Ford, ma il mio dubbio su tali mega produzioni è che inseriscono luoghi, tipo la Sicilia, ma poi si capisce che è la Sicilia? – si chiede critico Luigi Biondo, attuale direttore del Parco di Segesta -. Non ho ancora visto il film, ma per lavoro ho seguito vari set a Palermo, Agrigento, Trapani. Ad esempio, in questi giorni si sta girando la terza serie di Màkari, nel Comune di San Vito Lo Capo, dove l’investigatore apre una porta, entra a Trapani ed esce a Palermo. Secondo me, la bravura di un regista, di uno sceneggiatore o di un location manager dovrebbe essere quella di saper ambientare in un posto la storia e renderlo il più credibile possibile, anche per rendere giustizia a quel posto e a chi lo abita. Quanto arrecano di buono film e sceneggiati alle comunità locali? Se il commissario Montalbano ha fatto la fortuna di Ragusa, non mi pare che la provincia di Trapani abbia registrato uguali slanci di popolarità, a prescindere dalle presenze turistiche che quest’anno hanno superato i dati del 2017, annata d’oro per noi. Il fine ultimo dovrebbe essere la conoscenza che, a parte le trasmissioni di Alberto Angela o Licia Colò, non c’è negli spot sul cibo o nelle inquadrature asservite alla trama". Cioè non va dimenticato che il tempio di Segesta, sfondo del sequel fantarcheologico, è autentico, non un effetto speciale da manipolare.

“Siamo noi ad essere valore aggiunto per film e fiction, non viceversa”

"Domenica scorsa – spiega Biondo – ho aperto il teatro ad una compagnia di Calatafimi Segesta, tutto il paese era qui, a ridere con lo Pseudolus di Plauto, il mio scopo era far venire la gente, erede di quei greci che millenni fa assistevano allo spettacolo, ma la gente viene dopo aver visto Indiana Jones? Secondo me il ritorno in termini di immagini e presenze è veramente basso, anzi siamo noi il valore aggiunto a questi film o programmi televisivi e non viceversa. Si figuri che di recente una televisione del gruppo Mediaset si è rifiutata di pagare un canone di 500 euro, quello minimo previsto per legge che le tv commerciali devono versare, perché i responsabili sostenevano che erano loro a farci pubblicità". Intanto giovedì scorso, dopo più di vent’anni, è tornato di nuovo accessibile l’interno del tempio dorico in un percorso moderno con installazioni vegetali e scultore sonore di una mostra che ha come trait d’union il grano, simbolo legato agli antichi culti del luogo. Senza dimenticare le numerose campagne di scavo di università italiane e straniere che negli ultimi tre anni hanno portato nuova linfa alla ricerca portando alla luce l’ingresso all’agorà, la strada lastricata e, in questi giorni, l’altare ellenistico nella Casa del Navarca. "Voglio ricucire innanzitutto il rapporto con un territorio in cui – sottolinea il direttore – non c’è grande offerta culturale, l’idea è che il Parco faccia da hub, da concentratore, per tutte queste realtà, scuole, associazioni, piccole fondazioni, compagnie teatrali. Riaprire l’interno del tempio, con una rampa disabili che verrà montata in settimana, è uno dei passi simbolici mossi in questa direzione".

L’austerità senza tempo del tempio dorico che ha affascinato il cinema

Sembra quasi che pur esistendo lo screen-tourism, il “turismo da schermo”, che insegue le località immortalate da film e serie tv (in Sicilia a partire da Padrino e Gattopardo), tuttavia Segesta resti scenario per l’anima. Che il tempio non si pieghi alla seduzione del performante ‘ciak si gira’ perché il monumento sacro vive da sempre del proprio fascino austero di solitudine pietrosa. E, si sa, o si è fotogenici oppure no, luoghi o persone che siano. Una dote naturale, privilegio di nascita. "Perché hanno scelto il tempio Segesta e non quelli vicini di Agrigento o Selinunte? Bella domanda – riflette Biondo -. Presumo che in questo caso fosse molto più semplice allestire un set a Segesta poiché non è attraversata dal flusso massiccio di visitatori come Agrigento, poi è più facile da raggiungere, dista 80 chilometri da Palermo e 40 da Trapani, ma soprattutto ricordiamoci che ad Agrigento è complicato estrapolare una scena dove non si vedano le case moderne. Segesta, invece, continua ad affascinare per la forza evocativa dell’incompiutezza e per il paesaggio incontaminato". Un tempio che basta a se stesso, in simbiosi “con la natura circostante come se fosse stato costruito per starsene così solo e vuoto e non per riti solenni di un popolo vivente” come ebbe a dire Alberto Moravia nel suo soggiorno siciliano.

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