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Opinioni

Il danzatore dell’acqua di Ta-Nehisi Coates: se la schiavitù è una casa in fiamme

Uno dei libri più attesi della stagione, ‘Il danzatore dell’acqua’ di Ta-Nehisi Coates, è da poco tradotto in Italia per Einaudi. La storia dello schiavo Hiram, dalla piantagione di Lockless, in Virginia, fino alla scoperta del potere della “Conduzione”, disegna un romanzo di formazione e avventuroso dall’alto valore politico.
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Arriva da noi l'atteso romanzo d'esordio di Ta-Nehisi Coates, "Il danzatore dell'acqua" (Einaudi). Prima di questo libro l'autore aveva già raggiunto la fama negli USA, sconfinando in Europa, grazie al memoir del "Tra me e il mondo" (Codice Edizioni) imponendosi nel dibattito sul Black Lives Matter. Da ultimo ha suscitato interesse a livello mediatico la sua presenza, in qualità di guest editor di Vanity Fair Usa a settembre (Ta-Nehisi Coates è anche un giornalista) in un numero speciale che esplora l’arte, l’attivismo e il potere negli Stati Uniti del ventunesimo secolo.

Tutto questo per dire che le acute e perspicaci analisi della politica razziale e culturale americana, per cui Coates è stato descritto da molti come il successore di James Baldwin, hanno molto a che fare con il nocciolo di questo libro ma anche per sostenere l'esatto contrario. E cioè: "Il danzatore dell'acqua" è un romanzo che, liberato dal peso del contingente, resta una storia scritta magistralmente, affabulatoria e coinvolgente, con personaggi di complessità rara, nella rappresentazione di un'umanità (quella degli schiavi) e di un'epoca soventemente raccontata dalla prospettiva bianca del realismo e della crudezza.

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Vicolo che in teoria sarebbe cieco, ma che lo scrittore originario del Maryland aggira abilmente con un stratagemma narrativo offerto ai lettori, pescando a piene mani in un'altra delle dimensioni del suo lavoro, quello di autore di fumetti. Nel 2016, infatti, Coates ha iniziato a scrivere fumetti Marvel in qualità di autore per Black Panther e Captain America. E in effetti, senza ridurne la complessità, "Il danzatore dell'acqua" è la storia di un supereroe, il suo nome è Hiram (detto "Hi"), che scopre di avere poteri straordinari: prima una formidabile memoria che lo aiuta ad emergere dal pantano dell'abbrutimento a cui sono relegati gli altri schiavi, poi quello ancor più fenomenale della "Conduzione", fenomeno che trasporta il livello narrativo in un'altra dimensione del patto scrittore-lettore.

Il danzatore dell'acqua di Ta-Nehisi Coates: dalla schiavitù alla ferrovia sotterranea

Lo scrittore Ta-Nehisi Coates
Lo scrittore Ta-Nehisi Coates

La Conduzione, scopriremo leggendo, è la capacità di trasportare magicamente se stessi, e gli altri se necessario, da un luogo all'altro. Ad Hiram, dopo l'epifania in cui scoprirà quel superpotere, durante l'incidente in cui il fratellastro Maynard perderà la vita (con lui condivide il padre, proprietario della piantagione di Lockless, che aveva messo incinta sua madre scomparsa) ci vorrà del tempo per riuscire a controllarlo, ma grazie ad esso sarà reclutato dalla cellula della Ferrovia Sotterranea in Virginia, diventando il perno centrale del modo in cui la Servitù riuscirà a liberarsi dalla sottomissione alla Qualità.

La Ferrovia Sotterranea si riferisce a una sistema di case e percorsi sicuri che consentivano agli schiavi del Sud di spostarsi nel Nord libero e sfuggire alla schiavitù. Nel 2016, il due volte premio Pulitzer Colson Whitehead nel suo "La ferrovia sotterranea" aveva spinto la metafora della ferrovia nella sfera letterale facendo in modo che gli schiavi in ​​fuga prendessero veri treni in vere stazioni sotterranee mentre si dirigevano a Nord.

Ne "Il danzatore dell'acqua" Coates usa un espediente narrativo simile: prende il desiderio intimo di ogni persona schiava – la capacità di sfuggire magicamente alla schiavitù tramite teletrasporto – e lo rende realtà. A sua volta, mettendo le mani in quella mitologia diffusa nella tradizione afroamericana, composta da schiavi che scappano dalle piantagioni, nuotando o volando in Africa, presente in molte canzoni e racconti popolari. E che vede in Toni Morrison il principale solco su cui quella tradizione, perlopiù orale, si era già andata a incardinare nella letteratura americana riconosciuta anche dal mainstream.

Ta-Nehisi Coates: schiavitù e critica al capitalismo

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Ad alimentare il rapporto di questo romanzo con il sostrato del racconto popolare della schiavitù è l'utilizzo dello schema di una storia di formazione, in quell'ascesa non solo sincronica che va dall'infanzia alla condizione adulta, ma dalla condizione di servitù a quella di libertà. In una sorta di percorso di emancipazione che trova nella riflessione attorno alla memoria, individuale e collettiva, che passa attraverso la danza e il canto e guarda al futuro di riscatto da un lato, senza dimenticare il collegamento con il passato che torna indietro fino all'Africa prima delle deportazioni di massa. Con il risultato di rendere questo libro un romanzo sulla memoria, sul suo potere intimo, rivoluzionario e liberatorio, in grado di sfuggire all'oblio della schiavitù.

A ogni gradino, sentivo che la terribile logica del Servizio, del mio Servizio, si chiariva dentro di me. Non era solo che non avrei mai ereditato neanche un briciolo di Lockless. E non era solo che sapevo che non avrei mai goduto dei frutti del mio lavoro. Era che le mie naturali esigenze avrebbero dovuto restare per sempre soffocate, che avrei dovuto vivere nella paura di quelle esigenze, così che, più ancora che vivere nella paura della Qualità, avrei dovuto vivere nella paura di me stesso.

Resta centrale, infine, nella parabola di Hiram e del suo percorso di presa di coscienza di classe, un altro aspetto emerso con forza in "Tra me e il mondo", cioè la critica di Coates al capitalismo, assoggettando la questione razziale a posizioni marxiste in tema di questione femminile (nel caso della Prima Internazionale si ribadì il fatto che la questione della donna non fosse solo una questione della donna, ma dell'intera classe operaia), qui per dire che la schiavitù riguarda anche il presente e ovunque permangano disuguaglianze troppo estese (basterebbe pensare che negli Stati Uniti la pandemia colpisce statisticamente molto più gli afroamericani dei bianchi). Per arrivare, in fondo alla storia, a sancire la necessità di un ribaltamento che riecheggia la concezione hegeliana della dialettica servo-padrone, prendendo nelle proprie mani il destino, cambiando lo status quo con un'azione politica netta e, perché no, rivoluzionaria. Perché alle volte la fuga (e la libertà), come dice Hiram in un passaggio del libro, è una necessità:

è così che spesso ha inizio la fuga, che prendi la decisione nel momento in cui capisci quanto è profondo il pericolo in cui ti trovi. Perché non sei alla mercé soltanto della schiavitù, ma di una sorta di impostura che ritrae i boia come guardiani che tengono a bada la barbarie africana, mentre sono loro a essere barbari, a essere Mordred, a essere l'Inferno travestito da Camelot. E in quel momento di rivelazione, di consapevolezza, scappare non è un pensiero, non è neanche un sogno, ma una necessità, come uscire da una casa in fiamme.

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Scrittore, sceneggiatore, giornalista. Nato a Napoli nel 1979. Il suo ultimo romanzo è "Le creature" (Rizzoli). Collabora con diverse riviste e quotidiani, è redattore della trasmissione Zazà su Rai Radio 3.
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