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L'amica geniale 3

I maschi fragili e violenti dell’Amica geniale di Elena Ferrante: aspettando il “ricchione” Carracci

La violenza degli uomini sulle donne e degli uomini sugli uomini più fragili è il filo rosso che lega la tetralogia de “L’amica geniale” di Elena Ferrante alla serie televisiva trasmessa da Rai Uno. Un legame che diventerà ancora più profondo quando il figlio di Don Achille, Alfonso Carracci, sarà disprezzato in quanto omosessuale.
A cura di Redazione Cultura
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Esiste un filo sottile che lega la tetralogia romanzata de "L'amica geniale" di Elena Ferrante alla serie televisiva trasmessa da Rai Uno con grande successo di pubblico ieri sera: quel filo è la sottile linea della violenza, degli uomini sulle donne, degli uomini sugli altri uomini. La messa in evidenza di un destino comune che lega a una sorte già scritta quel mondo femminile sottomesso, picchiato, stremato, e quanti tra gli uomini si sentono più fragili, non adatti a sopravvivere nella giungla coi mezzi che il proprio ambiente e la propria cultura gli hanno messo a disposizione.

Nei romanzi della saga de "L'amica geniale" trasportati sul piccolo schermo con la serie tv questo filo rosso sarà sempre più evidente, col trascorrere degli anni che spingerà in avanti le storie di Lila e di Elena, dove diventerà sempre più importante e centrale la figura di Alfonso Carracci, uno dei figli di Don Achille, l'usuraio di cui tutto il Rione ha paura, il mostro violento, il fantasma delle "saittelle" (le feritoie dei tombini delle fogne, in napoletano) che ruba le bambole alle bambine.

Don Achille (magistralmente interpretato dal compianto Antonio Pennarella) è il simbolo della mascolinità, di quella sopraffazione di cui tutte le donne, comprese le piccole protagoniste, sono vittima. È una sorta di camorrista senza tentennamenti nella virilità. Al contrario del piccolo Alfonso, che vediamo in lacrime durante lo scontro maschi-femmine a scuola, e che da adolescente e poi adulto stabilirà un legame sempre più intenso con l'amica geniale, mostrando tutta la fragilità e la difficoltà di essere uomini veri in un contesto dove tutti si mostrano veri uomini, duri e bulli pronti a stabilire con la violenza la misura della propria frustrazione di poveri e malandati, di popolino represso e ingabbiato, annichilito, sporco di fuliggine. Fino al giorno in cui Alfonso Carracci, figlio del maschio dei maschi, dell'usuraio, finirà appellato con l'aggettivo definitivo, con l'insulto degli insulti. E diventerà per tutti "ricchione", la parola meridionale che ferisce e disprezza.

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