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Opinioni

I Coma_Cose si sono lasciati, addio al duo che ha portato l’amore indie a Sanremo senza cedere al cinismo

I Coma_Cose si sono lasciati, sia come coppia (a un anno dal matrimonio) che come band, ma resta il merito di averci fatto credere che la verità potesse ancora essere un progetto artistico, sia nel mondo indie che al Festival di Sanremo, tra Anima Lattina e Cuoricini.
A cura di Hamilton Santià
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Coma Cose a Sanremo 2023 – ph Matteo Rasero
Coma Cose a Sanremo 2023 – ph Matteo Rasero

È notizia di ieri la fine — sia sentimentale che artistica — dei Coma_Cose e, con loro, si chiude un’esperienza significativa e forse unica, capace di segnare volenti e nolenti gli ultimi anni di musica italiana. Non solo una coppia che ha trasformato la propria relazione in canzoni, ma un’idea di sincerità che per qualche anno è sembrata ancora possibile dentro il pop. Dopo la notizia della separazione, arrivata a nemmeno un anno da Cuoricini, il loro più grande successo, è facile fermarsi al gossip o alla cronaca sentimentale. Ma dietro la conclusione del percorso di Fausto Zanardelli (in arte Fausto Lama) e Francesca Mesiano (in arte California) si chiude anche un’estetica per cui una musica che viene dall’indie (o comunque da un mondo non mainstream) non ha paura di confrontarsi con la Champions League restando fedele ai proprio punti di partenza, cercando la verità dentro un linguaggio ormai pienamente pop, nella tensione continua tra intimità e spettacolo che è stata il cuore del loro progetto.

Prima di arrivare ai vestiti coordinati di Sanremo e alle interviste di coppia, c’erano Post Concerto (“Volevi fulmini e tempesta? / Allora me la cavo / Se la pioggia fosse transitiva / Io ti temporalo”) e Anima Lattina. C’era una Milano grigia e malinconica, raccontata con la dolcezza storta di chi lavora di giorno e scrive canzoni di notte. Insieme hanno inventato un tono al tempo stesso troppo pop per essere indie e troppo indie per essere pop, riproponendo ormai quella contraddizione storica della musica italiana tra "fedeltà alla causa" e "voglia di emergere".

Quello che li ha resi importanti non è stata la ricerca di un suono preciso, che infatti si è evoluto col tempo incontrando sempre più successo e accessibilità, ma la costruzione di un linguaggio affettivo riconoscibile, un modo personale ma capace di essere condiviso per parlare di amore e precarietà con ironia e malinconia urbana. Quando nel 2018 uscivano Inverno ticinese e Post Concerto, i Coma_Cose raccontavano la città, la routine, la fatica e la bellezza di restare insieme come nessun altro. Erano, letteralmente, un punto di passaggio tra l’innovazione che arrivava da SoundCloud e la new wave arty sanremese, tra il romanticismo quotidiano e la voglia di essere parte di qualcosa di più grande.

Coma Cose a Sanremo 2025 – ph Marco Alpozzi:LaPresse
Coma Cose a Sanremo 2025 – ph Marco Alpozzi:LaPresse

Con Hype Aura portano quel linguaggio dentro un immaginario più ampio, un po’ Battisti e un po’ Calcutta, con lo sguardo ironico di chi sa già che l’amore non salverà nessuno ma vale comunque la pena raccontarlo. "Che schifo avere vent’anni / Però quant'è bello avere paura / La strada è solo una riga di matita / Che trucca gli occhi alla pianura / Percorrerla tutta per andare lontano" (Mancarsi) è già un manifesto. Quotidiana senza essere banale, con una grazia che la trasforma in qualcosa di universale. È in quella scrittura sospesa tra poesia e gioco di parole che i Coma_Cose hanno trovato la loro voce. I testi sembrano adatti sia per Instagram che per le insegne dei nuovi wine bar dei quartieri milanesi: dietro la levità linguistica un retrogusto amaro, la consapevolezza di vivere in un'epoca fragile. L’intimità era la loro forza, ma anche la loro firma stilistica.

I Coma_Cose hanno fatto della coppia un racconto continuo, una lente attraverso cui osservare un’intera generazione. La loro era una vulnerabilità sì estetizzata ma sempre sincera. Al tempo stesso curata nei suoni e nelle immagini, pur restando fedele all’autenticità nella rappresentazione. La Milano che raccontavano era una città di affitti instabili e nostalgia, di romanticismo quasi cinematografico, sempre un po’ vintage, sempre un po’ stanco. Non a caso in Anima Lattina cantavano "Parlare e bere birra fino alla mattina / Abbiamo un'anima lattina / Sempre che abbiamo un'anima", tre righe che riassume perfettamente lo spirito di quegli anni.

Nel 2021 arriva l’Ariston con Fiamme negli occhi, alieni tra gli alieni, contribuendo a far attraversare lo specchio all’indie. Gli outsider, diventano pop a tutti gli effetti. La loro storia, però, continuava a reggere perché se l’intimità era diventata spettacolo, l’amore restava un lavoro quotidiano. È lì che i Coma_Cose hanno trovato la loro dimensione, anche se quella stessa esposizione totale ha reso forse più fragile la loro idea di autenticità. Perché quando la sincerità diventa linguaggio, rischia di smettere di essere vera. La coppia, il look, i testi pieni di doppi sensi e riferimenti incrociati: tutto ormai era riconoscibile, un segno di stile e, quindi, replicabile o peggio “memificabile”.

Coma Cose a Sanremo 2023 – ph Matteo Rasero
Coma Cose a Sanremo 2023 – ph Matteo Rasero

Con il tormentone Cuoricini, uscito nel 2024, il cerchio si è chiuso. Il disco Vita_Fusa suona come una sintesi di tutto quello che sono stati tra giochi di parole e arrangiamenti levigati, melodie delicate e un tono che è diventato familiare, forse anche troppo. "Ma fortunatamente un sabato qualunque / Mi hai portato via da tutta quanta la modernità" cantavano sintetizzando dolcezza e la consapevolezza e la fine. Ascoltandolo a ritroso, sembra già un segnale di resa: fine di un percorso ma voglia anche di, come dire, "chiuderla bene". La rivoluzione è finita, la nostra storia — musicale e personale — è arrivata dove doveva arrivare ("Stramaledetti cuoricini, cuoricini che mi tolgono il gusto di sbagliare tutto"). I Coma_Cose hanno normalizzato l’autenticità, rendendola parte del linguaggio mainstream. Non più un atto di rottura, ma un codice condiviso, un modo per dire “siamo veri” dentro un mondo in cui tutto è già messo in scena.

Eppure qualcosa resta. Il pop può (anzi, deve) parlare di sentimenti reali senza cedere al cinismo, superando a sinistra la retorica media dei millennials. Che l’amore, anche quello imperfetto e quotidiano, potesse essere un discorso collettivo e non solo privato. Che due persone potessero raccontarsi davanti a tutti senza diventare caricatura. In un’Italia musicale sempre più divisa tra trap e nostalgia, i Coma_Cose hanno costruito un terzo spazio per un pop sentimentale consapevole, fatto di ironia, malinconia e piccoli dettagli.

Al di là delle critiche — dall’abuso di giochi di parole all’aver spiattellato il privato in pubblico — i Coma_Cose hanno rappresentato un’idea coerente di sincerità. Hanno reso poetico ciò che di solito si consuma in silenzio, hanno raccontato la fragilità con un’estetica pop precisa e riconoscibile, e per qualche anno sono riusciti a farci credere che la verità potesse ancora essere un progetto artistico. Forse la loro fine segna la chiusura di un’estetica, ma anche il ricordo di una stagione in cui l’indie, in fondo, voleva solo essere amato.

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