Francesco Fazi: “Da Twilight e 100 colpi di spazzola alla riscoperta letteraria: come siamo cambiati dopo il boom”

Trent'anni di vita per Fazi editore, e venti dall'uscita di Twilight. Una pubblicazione che si può definire epocale, che ha cambiato completamente la vita della casa editrice fondata da Elido Fazi, portando con sé non poche complessità, oltre a un ritorno economico e di visibilità enorme. È strano pensare che insieme a Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire di Melissa P. il libro di Stephenie Meyer – ristampato per l'occasione in un cofanetto speciale – sia stato così importante per un editore che aveva cominciato pubblicando Orazio, Keats e Auden. ma la vita di una società del genere è ampia e talvolta prende strade inaspettate, come ci ha spiegato Francesco Fazi, che oggi svolge la funzione di amministratore delegato di Fazi Editore. Negli ultimi anni la casa editrice romana ha cambiato rotta, puntando molto su alcuni titoli e autori, cercando di conservare l'idea di editore alla ricerca di libri popolari, ma al contempo cercando di unire questa vena pop con un certo grado di letterarietà. "Stoner" è stata un'altra pietra miliare per chi nel proprio catalogo vanta e ha vantato comunque autori come John Fante, Elizabeth Strout, Gore Vidal, Hilary Mantel, Rebecca West, Tove Ditlevsen, tra gli altri. E che è tornata a puntare con decisione sulla saggistica e sul genere, tra noir e thriller. Nonostante ciò, il titolo dell'anno è una raccolta di poesie da Gaza, un libro pensato in Italia e che, come all'epoca fu la raccolta "Burned Children of America" potrebbe diventare un best seller anche all'estero. Abbiamo parlato di questo e tanto altro con Francesco Fazi.
Festeggiate un anniversario importante. Come è cambiata la casa editrice Fazi dall'inizio a oggi, e cosa vuole diventare domani?
La casa editrice è stata fondata nel 1994 da mio padre, Elido Fazi, ma i primi libri sono usciti nel gennaio del 1995. Consideriamo quindi quello il nostro anno zero: nel 2025 festeggeremo i trent’anni di pubblicazioni. Le origini della casa editrice sono radicate nella cultura romana in cui mio padre era immerso: poeti, scrittori, economisti, artisti, pittori. Questo era l'ambiente in cui bazzicava da giovane. I primi tre titoli pubblicati – L’arte poetica di Orazio, La caduta di Iperione di John Keats e Gli irati flutti di Auden – mostrano bene il progetto poetico e letterario da cui siamo partiti.
Anche la narrativa aveva un'attenzione alla qualità letteraria.
All’inizio il progetto era molto specifico, quasi di nicchia, con la collana Le Porte, dedicata ai classici. Keats è sempre stato la nostra stella polare, il poeta più importante per mio padre. Subito dopo, però, la casa editrice si è aperta alla narrativa contemporanea – ricercando una qualità letteraria alta – con la collana Le Strade, nata nel 1997 con A Ovest di Roma di John Fante. Da lì sono arrivati i primi successi: oltre allo stesso Fante penso a Eureka Street di Robert McLiam Wilson, i libri di Gore Vidal, Amy e Isabelle di Elizabeth Strout.
E la saggistica…
Esatto, negli stessi anni abbiamo lavorato anche molto sulla saggistica, in particolare dopo l’11 settembre. Pubblicammo libri su Bin Laden, sull’Afghanistan, sull’Iraq e quelli di Gore Vidal sull’America: fu un periodo di forte impegno civile.
È curioso che a darvi enorme visibilità, però, sia stato 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire di Melissa P.
Nel 2003, Cento colpi di spazzola di Melissa P. fu il primo enorme successo commerciale: oltre un milione di copie vendute, tradotto in tutto il mondo.
Che impatto ebbe quel successo sulla casa editrice?
Stravolse tutto. Io ero piccolo, ma ricordo i racconti di mio padre e di mio fratello Thomas – che fu anche fidanzato di Melissa -, che allora lavorava in casa editrice. Quel libro cambiò le dimensioni dell’azienda, portò grandi guadagni ma anche difficoltà di gestione: non eravamo preparati a una crescita così rapida e a un successo del genere.
Un altro successo travolgente arrivò con Twilight – che avete appena ripubblicato in cofanetto. Anche quello fu un investimento importante, giusto?
Sì, Twilight fu acquistato alla Fiera di Francoforte nel 2004 con un anticipo di circa 20.000 euro. Per i tempi era una cifra alta – anche se era un'economia migliore -, soprattutto per un'esordiente come Stephenie Meyer. Quando il libro uscì in Italia nel 2006 (l'anno prima negli Usa), si capì subito che aveva qualcosa di speciale. Mio padre racconta che la piena consapevolezza arrivò nel 2007, quando Meyer venne in Italia – fu la prima e unica volta – per presentarlo in un teatro a Volterra: ci si aspettava tanta partecipazione, ma non la città invasa da fan, fu un delirio assoluto. Lì capirono di avere tra le mani un fenomeno generazionale.
Rispetto a Cento colpi di spazzola, la gestione del successo fu più semplice?
In parte, nel senso che avevamo già l’esperienza del 2003 e una struttura che si era consolidata, eravamo più pronti. Successi di quella portata, però, sfuggono sempre a ogni previsione. Anche Twilight portò grandi risultati ma anche nuove complessità organizzative. Prima ancora del film, nel 2006, il libro vendeva già 40-50.000 copie dall'estate a fine anno: cifre altissime anche per l'epoca. Poi con l’uscita del film, nel 2008, esplose definitivamente. L'altro evento che mio padre e mio fratello ricordano sempre fu la fila interminabile al firmacopie di Robert Pattinson (protagonista del film, ndr) alla libreria di via Nazionale, in occasione della Festa del Cinema di Roma: un delirio.
Economicamente, come cambiò la vita della casa editrice?
Pensa che a Natale 2008 i primi quattro posti della classifica erano occupati dai quattro volumi di Twilight, con 40.000 copie vendute a settimana ciascuno. Numeri impensabili oggi. È un successo che stravolge completamente la casa editrice. Dopo i primi libri, però, arrivò anche qualche errore di gestione: con La breve seconda vita di Bree Tanner – uno spin-off che non è stato molto apprezzato – stampammo oltre 300.000 copie, anche per le richieste altissime delle librerie, ma ne vendemmo un terzo. Le rese furono pesantissime e per un paio d’anni ci penalizzarono molto. Nel 2009, sull’onda del successo, il gruppo Gems acquistò il 35% della casa editrice. L’esperienza però non fu semplice: gli anni successivi furono difficili, perché era impossibile replicare un fenomeno simile. Nel 2013 mio padre riacquistò le quote e la casa tornò completamente indipendente.
Che peso ha ancora oggi Twilight?
È ancora un long-seller. Ogni anno vendiamo circa 10-15.000 copie del primo volume e, nel complesso, decine di migliaia di copie di tutta la saga. Meyer resta un’autrice importante per il nostro catalogo.
E il cofanetto uscito di recente?
Ha avuto un ottimo riscontro. È un’edizione lussuosa, costa 30 euro, quindi non sapevamo cosa aspettarci, ma abbiamo riscontrato una passione enorme dei lettori. È entrato in classifica nella top 20 di narrativa straniera e abbiamo dovuto ristamparlo: vendiamo circa 500 copie a settimana che speriamo vada avanti fino a Natale. Da poco abbiamo anche dovuto ristamparlo, eravamo indecisi perché la prima tiratura è stata alta, ed è costoso stamparlo, però l'abbiamo fatto adesso perché crediamo che sarà un prodotto che rimarrà nel tempo.
Di sicuro costa molto meno riscoprire un libro come Stoner di John Williams. Come nacque quella scoperta?
Sicuramente un libro come Stoner è più semplice da gestire rispetto a Twilight e dà enorme soddisfazione. Il libro – che ho seguito molto più da vicino – era stato ripubblicato in Francia e ci venne proposto alla Fiera di Francoforte. L’allora editor Cristina Marino lo segnalò, e mio padre ebbe un vero colpo di fulmine: riconobbe subito in quel romanzo temi e sensibilità affini ai suoi. Capimmo che era un libro speciale e facemmo un grande lavoro di promozione con i librai, inviando bozze e lettere personali firmate proprio da mio padre. Il successo, però, fu trainato anche dal passaparola e oggi è il titolo più rappresentativo della nostra storia recente.

Poi però i diritti di Stoner sono passati a Mondadori. È difficile trattenere gli autori in casi del genere?
Molto. A volte contano solo le offerte economiche, non la storia condivisa. Nel caso di Stoner l'agente ci informò semplicemente che avevano venduto i diritti a Mondadori. Con Elizabeth Strout, invece, la cosa fu gestita con più correttezza: quando arrivò un’offerta altissima da Einaudi, l’agente ci diede la possibilità di pareggiarla. Non potevamo farlo, ma almeno mantenemmo i titoli già pubblicati.
Negli ultimi anni avete puntato molto anche sulle saghe familiari.
Sì, il filone si è aperto con la saga dei Cazalet di Elizabeth Jane Howard, che per noi è stata importantissima e ha ispirato anche altre case editrici. Poi sono arrivate la trilogia di Carmen Korn e quella di Rebecca West, entrambe di grande successo. Per un periodo siamo stati considerati la casa editrice "delle saghe familiari", anche se non siamo mai riusciti a trovarne una italiana di pari forza. Benché negli ultimi anni ne siano uscite alcune che hanno spopolato sul mercato.
Vi piace anche lavorare su romanzi con continuità narrativa.
Assolutamente, penso alla trilogia di Tove Ditlevsen – "Infanzia", "Giovinezza", "Dipendenza" – o ai romanzi di Vigdis Hjorth: storie autobiografiche, fortemente legate tra loro. Ci piace seguire gli autori lungo un percorso, e la serialità, il legame affettivo dei lettori con personaggi e ambienti, è qualcosa che sentiamo molto nostro.
Quante uscite avete all'anno?
Nel complesso pubblichiamo circa 60 libri all’anno, una cifra che manteniamo stabile da quando sono in casa editrice: circa cinque uscite al mese, più o meno la nostra "formula magica".
Negli ultimi anni Fazi è percepita come una casa più letteraria. È una scelta consapevole?
Sì, decisamente. Dopo i grandi successi commerciali di Twilight e Melissa P., la casa editrice aveva una produzione molto eterogenea, troppo confusionaria, soprattutto nell'epoca di Gems. Negli ultimi dieci anni, invece, abbiamo lavorato per riorganizzare tutto e comunicare meglio chi siamo. Abbiamo ridotto la produzione più commerciale, puntando maggiormente sulla narrativa letteraria e sulla coerenza editoriale. Oggi l’immagine della casa editrice è più chiara e riconoscibile. Naturalmente abbiamo sempre avuto libri letterari importanti — non abbiamo citato Hilary Mantel, per esempio — ma in passato la parte più commerciale tendeva a prevalere. Ora c’è più equilibrio e consapevolezza.
Quali sono le tue più grandi soddisfazioni recenti?
Negli ultimi anni "Le sette lune di Maali Almeida" di Shehan Karunatilaka. Lo abbiamo acquistato alla Fiera di Francoforte pochi giorni prima che vincesse il Booker Prize: una grande soddisfazione professionale e personale, perché è un romanzo straordinario e un colpo d’anticipo di cui andiamo fieri. Quest’anno, senza dubbio, le "Poesie da Gaza", un progetto nato da tre ragazzi universitari romani – Antonio Bocchinfuso, Mario Soldaini, Leonardo Tosti -, che hanno raccolto e tradotto poesie scritte da autori palestinesi. Non ci aspettavamo un successo simile: ha venduto quasi 40.000 copie, probabilmente il libro di poesia più venduto in Italia negli ultimi decenni. Tutto il ricavato va a Emergency, che ha sposato pienamente il progetto.
Lo state vendendo anche all'estero, come fece minimumfax con "Burned Children of America"?
Lo abbiamo presentato a Francoforte e c’è molto interesse anche all’estero, lo abbiamo appena venduto in Slovenia, ma c'è un interesse importante anche da parte di Paesi come Francia, Spagna, Inghilterra e Germania.
Che effetti ha avuto sulla casa editrice?
È un libro che ci rappresenta, ci rispecchia, e ha avuto un impatto significativo anche sul resto della casa editrice. Ha generato un grande apprezzamento da parte del pubblico e, soprattutto, dei librai: è un titolo che i librai hanno letteralmente adottato e che stanno sostenendo moltissimo. Ha avuto ricadute positive anche sulla saggistica. Per esempio, i libri di Ilan Pappé — che in questo periodo stanno vendendo moltissimo — sono stati scoperti da molti lettori proprio grazie al libro di poesie, in cui è presente una sua introduzione. È un libro che sta facendo molto bene alla casa editrice, sia in termini di immagine sia di riconoscimento complessivo.