Ernia: “A 30 anni pensavo di lasciare la musica, oggi posso comprare casa senza compromessi artistici e sono felice”

A 3 anni da Io non ho paura, che si abbandonava nelle note finali all'outro L'impostore, arriva il nuovo disco di Ernia dal titolo Per Soldi e Per Amore. Il disco, che vede le collaborazioni di Marracash, Madame, i Club Dogo e Kid Yugi, racconta una nuova fase della vita del cantante, nel frattempo diventato padre. La costruzione del disco, che raccoglie cronologicamente traumi, insoddisfazioni e rapporti familiari del cantante, ribalta la sindrome dell'impostore precedente. Anzi, questo disco è un messaggio di gratitudine, sviluppato nella titletrack e nell'outro Grato che restituisce una dimensione rinnovata del cantante, che nel frattempo, lo scorso anno, aveva deciso di cancellare un disco già pronto per dar vita a Per Soldi e Per Amore. Qui l'intervista a Ernia.
È, come sempre, un album di cambiamento, maturità…
Esatto, quello "dopo" è sempre così, questo descrive la mia maturità ora, ma chissà come si svilupperà dopo.
Ci chiedevamo che fine avrebbero fatto i rapper a 50 anni, tu dove pensavi di essere a 30?
Io pensavo che sarebbe finito tutto a una certa. Quando pensavo ai miei 30-35 (anni), pensavo che avrei mollato, che non ci sarebbe stato più niente da dire.
E invece?
Invece loro sono la dimostrazione che si può continuare a fare con successo e con continuità questo lavoro. Quindi, sotto questo punto di vista, stanno aprendo anche quella strada.
C'è qualche analogia tra il racconto collettivo, sociale e anche personale di Per soldi e per amore, rispetto agli ultimi lavori di Marracash?
Ho sempre avuto questo accostamento a Marra, a cui mi sono ispirato per anni, fin da piccolo insomma. C'è qualcosa che ci differenzia.
Cosa?
Io forse racconto ancora il personale, lui è uno che guarda molto all'esterno. Forse non ho ancora raggiunto la maturità per riuscire a guardare e descrivere l'umanità, ciò che è al di fuori. C'è una cosa che ci dicevamo con il mio manager (Ciro Buccolieri) che secondo me i grandi autori sono quelli che scrivono di altri. Io per adesso non riesco a farlo (ride, ndr). So raccontare me stesso, mi manca ancora qualche passaggio.
L'artista non è quello che, raccontando di sé, universalizza il messaggio?
Infatti, è una cosa che ho sempre pensato. Io vengo da una famiglia normale, ho avuto una vita piuttosto ordinaria, ho fatto poche cose sconvolgenti. Penso che esistano là fuori tantissime donne e uomini che ascoltano le mie canzoni e si riconoscono in ciò che dico. All'inizio me ne sono un po' fregato dei vari macrotemi del rap, come l'egotrip e questa cosa mi ha premiato.
Non è materiale che ti interessa?
Non mi rivedo molto nel racconto della collana, non lo condanno, ma non è qualcosa che seguo con interesse. Io ho fatto un racconto assolutamente mio, questa cosa mi ha premiato.
Tra i brani del disco, proprio legandomi a questo tema, quello con i Dogo sembra essere quasi esterno al concept del progetto.
È stato fatto volutamente in quel senso. Per il modo in cui abbiamo concepito il disco, in uno sviluppo cronologico, Figlio di arriva proprio dopo Mi ricordo. Noi ascoltavamo i Dogo, era il nostro punto di riferimento.
Che periodo è stata l'adolescenza per te?
Un po' turbolento, come tanti adolescenti. Qualche cazzata l'ho fatta, ma credo di aver condotto una vita normale. Appena prima della fama sono stati anni bui, non sapevo cosa fare della mia vita. Ho fatto altri lavori, l'università, ero anche bravo…
Però?
Non riuscivo come volevo perché non era una cosa legata a qualche progetto mio, la facevo perché dovevo farla.
Quando hai deciso di investire tutto nella musica?
Durante il primo tour, mi son detto di salire su quel treno perché forse non sarebbe passato più.
Quali erano le difficoltà?
Nel primo periodo, tra i pagamenti per tutte le date si rasentava uno stipendio dignitoso, ma neanche troppo. Mi rendeva felice perché mi faceva pensare che stessimo costruendo qualcosa di cui andare orgoglioso. Poi del primo tour ho un ricordo bellissimo.
Era quello con Rkomi, vero?
Io aprivo Rkomi, anche perché lui si è inserito in quella generazione trap 2016, pur non essendolo. Era in quel circuito lì, in quella cucciolata con Sfera e Ghali. Io ero un outsider, ma con Mirko mi ero subito trovato. Ho dei ricordi bellissimi di quei primi due tour, mi ha salvato da un momento di down, in cui provavo a fare delle cose ma non riuscivano perfettamente. Provavo anche altri lavori, ma per campare.
Hai avuto qualche difficoltà nel non rimanere incasellato nei vari generi come rap o pop?
Ci sono tanti artisti che non siamo riusciti a incasellare, come MacMiller che veniva definito un rapper, ma non veniva mai accettato dal mondo black.
E in un sistema molto più piccolo come la scena italiana?
Credo solo che in Italia ci piaccia incasellare, se non è pop, è rap. E poi ci sta sulle palle uno dei due. Ci sono tanti artisti a cui voglio bene, ma con cui abbiamo una visione musicale totalmente contrapposta. Non dico di non ammirare ciò che fanno, anzi, ma abbiamo ben poco in comune.
Ne L’impostore, l’outro del tuo penultimo album Io non ho paura, cantavi di aver ingannato tutte le persone accanto a te. Come e quando è avvenuto il cambiamento che è possibile osservare in brani come Per soldi e per Amore e Grato in questo disco?
Ho cercato una risposta proprio al brano L'impostore. In questi 3 anni che dividono i miei progetti ho fatto molto lavoro su me stesso, sono diventato padre recentemente. Mi sono chiesto perché non sarei dovuto essere grato alla vita per tutto ciò che ho: è diventato per me un dovere.
Cioè?
Sono riuscito a fare quello che volevo fare nella mia vita, nessuno mi ha costretto troppo a fare in un certo modo le cose.
E invece la cosa che è cambiata di più rispetto al passato?
Certe cose sono cambiate, come poter acquistare una casa. Se penso che la maggior parte dei miei coetanei deve fare un mutuo, con l'anticipo dei loro genitori, per poter acquistare una casa, mi ritengo fortunato. Poi non ci sono stati cambiamenti radicale, anzi, non ho mai cambiato amicizie. Non me la faccio con gli attori posh (citando Fellini n.d.r).
Perché hai scelto che l'intro del progetto fosse interpretata da James Franco, accusato e condannato per molestie?
Perché era la persona disponibile in quel momento, abbiamo cercato anche altri personaggi. È stato nominato ai premi Oscar, insomma ha dimostrato di essere un grande attore. Poi ha confessato i suoi errori, li ha anche pagati e non mi sento di lanciargli una croce addosso. Anzi, tra tutti gli scandali degli ultimi anni, mi sembra che sia l'unico che ha confessato le sue colpe.
In Mi ricordo canti: "Sognavamo un giorno e adesso il giorno è ora, ma ci vedo tutti tristi, la ricchezza non consola".
Non solo riguarda il nostro ambiente, ma credo siano coinvolti tutti in questa corsa all'apparire. Sembra sia partito un bug dai social, in cui se mostri un giorno di esser andato in barca, poi tutti pensano che quella è la quotidianità. E ognuno si chiede come quell'uomo, che lavora in ufficio ce l'abbia fatta, facendo partire un processo di invidia sociale, in cui tanti soffrono. Soprattutto i più giovani.
In Per i loro occhi racconti il tuo legame con i tuoi genitori, c'è poi stato un confronto con loro?
No, non c'è mai stato.
Neanche quando hai detto loro della canzone che sarebbe stata pubblicata?
Mio padre mi ha scritto: "L'album è bellissimo, come fai a ricordarti tutte le parole". Ha cercato di sviare (ride ndr). Io so che loro sono fieri, si è risolta così.
C'è qualcosa di controverso che pensavi a 20 anni e invece adesso ti sembra una cazzata?
Pensare che la mia generazione avrebbe cambiato il mondo. Immaginavo la mia generazione, con un corno di guerra, che avrebbe cambiato tutto. Ma poi mi sono accorto che è qualcosa che si pensa proprio a quell'età. Ho cambiato anche idee sui 30enni, pensavo fossero tutti quanti degli sfigati, poi ho capito perché si comportano così.
Intervista realizzata in collaborazione con Francesco Raiola.