È morto William Langewiesche, fu l’unico giornalista che potè entrare tra le macerie delle Torri gemelle

È morto a 70 anni William Langewiesche, probabilmente uno dei giornalisti d'inchiesta più importanti che abbiamo avuto in questi anni. Lo ha scritto il New York Times, citando Cullen Murphy, suo storico redattore presso The Atlantic e Vanity Fair, che ha confermato che la morte del giornalista è avvenuta a causa di un cancro alla prostata. Leggere uno dei suoi reportage era come immergersi in una realtà spesso sconosciuta, è stato l'unico cronista ammesso tra le macerie di Ground Zero, da cui ha tratto un libro – American Ground – pubblicato da Adelphi (e tradotto da Matteo Codignola). Un saggio che ha fatto scuola, assieme ai suoi libri e reportage sul volo.
Il volo come ispirazione per reportage e libri
Langewiesche – di origini tedesche -, infatti, prima di darsi al giornalismo stava seguendo le orme del padre, e aveva preso il brevetto ed era un pilota ufficiale, mestiere che gli permise, economicamente, di poter scrivere. Quell'esperienza è stata fondamentale per alcuni suoi libri e indagini, come quello dell'aereo 447 dell'Air France, il volo di linea intercontinentale che partì da Rio de Janeiro, e non arrivò mai all'aeroporto Charles de Gaulle di Parigi, uccidendo 228 persone o quello sul volo Malaysia Airlines 370 che causò 239 morti. Ma quell'esperienza gli servì anche per scrivere un libro tanto piccolo quanto affascinate, ovvero La virata, pubblicato sempre da Adelphi, che racconta cosa succede quando si è seduti in aereo.
La carriera di Langewiesche
Ma Langewiesche ha vissuto parte della propria carriera come inviato di guerra, è stato corrispondente internazionale per Vanity Fair, scrittore a contratto per il New York Times Magazine e corrispondente nazionale per The Atlantic. Come ricorda il New York Times: "Per 10 anni consecutivi, dal 1999 al 2008, i suoi articoli sono stati finalisti del National Magazine Award, che ha vinto due volte: nel 2007 per "Rules of Engagement", sull'uccisione di 24 civili disarmati da parte dei Marines statunitensi nel 2005 ad Haditha, in Iraq; e nel 2002 per "The Crash of EgyptAir 990″, su un volo precipitato nell'Oceano Atlantico nel 1999 con la perdita di tutte le 217 persone a bordo".
I reportage del giornalista
È vero che i reportage di Langewiesche erano sempre precisi (non solo grazie al lavoro a cui i giornali per cui lavorava sottoponevano ogni particolare, come ci raccontò in una cena a Napoli), ed erano sempre pieni di dettagli, domande, risposte, spiegazioni, racconto del lato umano ma grande attenzione anche ai dettagli tecnici. Tra un reportage e un altro potevano passare tantissimi mesi, perché la priorità era non farsi prendere dalla fretta e perché Langewiesche non era di quelli che raccontano la guerra dagli alberghi. Aveva in sé l'enorme meticolosità del giornalista d'inchiesta ma anche un'altra dote enorme, ovvero la grande qualità del narratore, la capacità di tenere – come si suol dire – il lettore attaccato alla pagina, che parlasse di aerei o di militari, che raccontasse di surf o di Scampia.

A Napoli per raccontare Scampia
Fu proprio a Napoli che ebbi la fortuna di incontrare quello che per me era un vero e proprio mito, il giornalista di cui non ci perdevamo un articolo, un libro, nulla. Per una serie di contatti e coincidenze, infatti, Langewiesche arrivò a Napoli per raccontare Scampia e ne potetti osservare da vicino la curiosità di chi doveva per forza capire tutto, dai meccanismi che si celavano dietro alla più grande piazza di spaccio in Europa all'umanità che dietro quelle piazze si nascondevano. Sono giorni difficili da dimenticare, non capita spesso di poter vedere da vicino come lavora uno di coloro che sarà ricordato come uno dei saggisti contemporanei più importanti. Oggi per fortuna ci restano i suoi libri, che sono lì a ricordarci come il lavoro di giornalista sia fondamentale per la società contemporanea, nonostante il buio di questi giorni.