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Damiano David solista in Funny Little Fears: “La fine di una relazione mi ha rotto, ho dovuto ritrovarmi”

Damiano ha incontrato i giornalisti ai Forum Studios di Roma dopo l’ascolto dell’album Funny Little Fears: “Le paure a volte sono state un grosso blocco nella mia vita, qualcosa di cui mi sono vergognato”. Questo album ha fatto parte di un processo di autoanalisi dopo un momento buio: “La rottura è partita dalla fine di una relazione, che non è quella che tutti pensano, e ha rotto un meccanismo. Mi sono sentito perso, questa persona mi ha portato via l’identità”.
A cura di Francesco Raiola
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Funny Little Fears è il primo album solista di Damiano David che ha raggiunto la popolarità internazionale come voce dei Maneskin, band che si è messa in stop per permettere ai singoli componenti – chi più, chi meno – di dedicarsi ai propri progetti solisti, e nello specifico di Damiano, in attesa di capire qual è il side project tra i due. Il cantante sta vivendo la sua seconda – forse terza – fase della sua carriera, è il suo periodo americano, quello in cui da busker si è trasformato in divo mondiale: oggi le sue uscite sono attese dai giornali di tutto il mondo e i late show americani sono le trasmissioni in cui presentare al mondo la sua musica, senza contare la sua relazione con Dove Cameron che regala anche il lato Gossip per i media. Insomma, probabilmente l’accoglienza e il successo di questo progetto ci diranno quale sarà il futuro – che sembra già scritto – del cantante e, di conseguenza, della band.

Funny Little Fears, lanciato dai singoli Silverlines, Born with a Broken Heart, Next Summer e Voices, è un album che di italiano non ha nulla, né i testi, ça va sans dire, né i suoni, che prendono molto più dal mondo del pop internazionale. E questo è già il primo cambiamento: dismessi gli abiti rock, Damiano tenta una strada più prolifica, soprattutto da solista e forse, come ha raccontato in questi mesi di promo, quelli che in questo momento indossa meglio e gli stanno dando anche belle soddisfazioni, con concerti già programmati in tutto il mondo e sold out sparsi (Milano compresa). Quanto sono lontani i tempi in cui la band suonava all’Arena di Verona o, prima ancora, quando erano a Sanremo per sorprendere ma non per vincere. E invece quello è stato lo sliding doors, ciò che ha cancellato dalla storia musicale italiana il vol.2 di Teatro d’ira.

Damiano ha incontrato i giornalisti ai Forum Studios di Roma, quelli di Ennio Morricone, per capirsi, abbiamo ascoltato l’album e poi incontrato il cantante. Funny Little Fears conferma la svolta pop di Damiano e soprattutto è il racconto di come si sia ripreso dopo essersi perso a causa di una relazione che gli aveva fatto perdere se stesso, una relazione segreta, non nota al grande pubblico. Qui di seguito c’è la conversazione che il cantante ha avuto con la stampa.

Quali sono il fun e le fears (il lato divertente e le paure, ndr) di questo album?

Il titolo è arrivato dopo che ho finito di scrivere l'album ed è relativo al mostrarmi in maniera diversa, che prima non mi era stato possibile per paura appunto, del giudizio e di espormi con delle cose che riguardavano di più me perché ho sempre sentito questo forte senso di protezione che la musica mi dava e ho voluto distruggerlo. Sono cresciuto, maturato e più sicuro di me stesso. Le paure a volte sono state un grosso blocco nella mia vita e qualcosa di cui mi sono vergognato, a tal punto da indurmi a chiudermi in me stesso e isolarmi. Questo album ha reso queste paure qualcosa di bello, che mi consentirà di aprirmi al mondo lì fuori e connettermi con gli altri. Ed è per questo che poi diventano funny, un modo per riderci sopra e renderle più leggere.

Quali sono queste paure? Sei emozionato per il tour sold out?

Il tour sold out è bellissimo, è pazzesco pensare che già al primo progetto da solista possa fare un tour mondiale. Io ho bisogno di vedere le reazioni delle persone rispetto ai risultati digitali, che sono più freddi e asettici. Le paure? Avevo un senso di sconforto e di tristezza generale che non capivo da dove venissero, perché se analizzavo la mia vita negli ultimi cinque anni davvero non vedevo niente di così negativo, anzi. Mi sentivo un po' perso. Questo album è stato un modo per capire queste paure che mi ero auto-messo nel cervello e ho avuto l'opportunità di affrontare.

Hai vissuto questo disco come un'autonalisi? 

Sì, per me la decisione di fare questo tipo di album è derivata dalla necessità di decodificarmi. Buttare dei pensieri sul foglio senza avere una reale coscienza finché non sono arrivato a rileggermi, come fossi proprio una terza persona.

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Disco più rock rispetto a ciò che hai fatto con i Maneskin?

Il suono della band appartiene alla band, è maturato e cambiato grazie alle esperienze individuali, che è anche uno dei due motivi del perché questo album suona diverso: uno perché deriva solo da me e dalle mie influenze musicali, e poi, insomma, perché non rubo a casa mia (ride, ndr).

Qual è stato il momento più difficile?

Il momento più difficile è stato quando avevo 7/8 canzoni, il processo era iniziato e c’è stata una parte di me che si chiedeva se fossi capace senza band, struttura e fiducia e sostegno di queste persone di fare tutto. C’è stato momento di forte paura di non essere in grado di fare questa cosa, poi ho capito che le due cose vivono separate, non sono cose che metto a confronto, sono parti reali, in questo momento forse è la parte più vera ma ho 27 anni, sono cambiato in questi anni e cambierò. Il nostro essere in quattro ci ha dato molta forza e questo processo mi ha aiutato a trovare il mio potenziale e quando si ritornerà alla band il mio potenziale sarà più grande.

Hai scritto 70 pezzi per l’album, ma alcune canzoni non portano la tua firma, nonostante l’album sia molto personale, come mai?

Tutta la produzione nasce da collaborazioni, ci sono momenti in cui le canzoni svengono mandate, fa parte dell’arte riconoscere quando un pezzo ti parla ed è come se qualcuno stesse raccontando la tua storia, per me la musica è gioco e collaborare rende tutto più divertente e meno ego riferito.

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Quando hai detto alla band che andavi solista, hai pensato che quella scelta, così urgente, potesse rompere un equilibrio difficile? E soprattutto che la tua carriera solista potrebbe rendere quell’altra esperienza qualcosa di più secondario?

Sarò presuntuoso ma non penso che quello che abbiamo fatto con la band possa essere oscurato né da me né da altri, sia in cuor mio e nostro, che a livello di dati, è stato unico e raro, un allineamento di pianeti stupendi. E anche se coi Maneskin non pubblicheremo più canzoni di successo ci sarà per sempre quello che abbiamo creato e il rapporto che c’è tra noi. Non mi pongo il problema perché ho tantissima fiducia per quello che abbiamo fatto con la band e per quello che sto facendo io.

Quanto le tue paure sono state alleviate dal tuo sentimento d’amore?

Le relazioni sono il 90% felicità. La rottura è partita dalla fine di una relazione che non è quella che tutti pensano e ha rotto un meccanismo, ha rotto la fiducia in me stesso, mi sono sentito perso, depotenziato, questa persona mi ha portato via l’identità. Mi sono sentito solo pur non essendolo davvero. L’arrivo di una nuova relazione mi ha aiutato a superare queste paure.

Pensi che questo progetto più pop possa spiazzare il tuo pubblico? È questo il vero Damiano e quello dei Maneskin un ripiego?

No, non credo di essere spiazzante, non me lo pongo come problema, vedo sia il pop che il rock come reali, sono entrambi parte di me, non credo che una cancelli l’altra. Quello che abbiamo fatto con la band era frutto del momento e vivendolo ero influenzato anche da loro ma non un ripiego. Creare qualcosa, proteggerlo e rispettarlo erano i miei obiettivi, mentre questo è un prodotto mio, che tratto in modo diverso.

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