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“Cenere” di Mario Natangelo affronta il momento terribile della perdita

Racconto illustrato dell’autore napoletano, vignettista politico per il “Fatto quotidiano”. Stavolta la satira lascia il campo ad una storia dolorosa, personale ma ben nota a tutti: il dolore per la perdita di una persona cara.
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La copertina del libro "Cenere" di Mario Natangelo / Rizzoli
La copertina del libro "Cenere" di Mario Natangelo / Rizzoli

Qualche notte fa, in via Tribunali, una zona di Napoli che tutti conoscono, qualcuno ha dato fuoco ad un telefono pubblico, uno dei pochi rimasti in centro. Le fiamme hanno bruciato la cornetta del telefono e annerito la cofana di metallo dell’apparecchio. Al momento una delle opere d’arte più imponenti esposte nel centro storico è la “Venere degli stracci” di Michelangelo Pistoletto, statua che si “appoggia” su un cumulo gigante di pezze colorate. Strana, bella, enorme, discutibile. Perché l’arte è tale se offre sensazioni, emozioni, domande.

A questo punto per me pure il telefono bruciato è un’opera d’arte. Lascerei la cabina non funzionante lì, così com’è, la chiamerei «telefono della rabbia»: farebbe il paio col «telefono del vento» di Ōtsuki, di cui scrive Mario Natangelo nella pagina che anticipa l’ultimo capitolo del suo libro, “Cenere” (Rizzoli). Mentre in Giappone i visitatori al telefono intrattengono ideali conversazioni con i propri cari defunti, a Napoli potrebbero invece sfogare la loro rabbia che è poi la seconda fase del dolore per la perdita di una persona cara, dopo quella del rifiuto.

Mario Natangelo, classe 1985, napoletano di Scampia e da anni disegnatore per “Il Fatto quotidiano”, ha scritto questo racconto illustrato dopo la morte della madre Rita Prisco; ci sono vari livelli che rendono il lavoro interessante. Il primo è legato al mestiere di Natangelo, ovvero trattare un tema – anche il più drammatico – su più piani, facendo emergere il lato ironico e paradossale. L’alternare di dolore per il senso di smarrimento e vuoto, di ironia sul mondo che – nonostante ciò – va avanti con le sue miserie e una dose di sarcasmo per cercare di relativizzare (o almeno di resistere) a tutto ciò che accade prima, durante e dopo la scomparsa di un genitore.

Il racconto disegnato di “Cenere” ne fa un libro triste ma che non lascia tristezza. L’autore fornisce un piccolo elenco di testi in cui si è immerso per lenire la sofferenza o almeno cercare di dare un senso. C’è Takashi Murakami con “Il cane che guarda le stelle”; Elena Loewenthal con ”Lo specchio coperto”, Erri De Luca (che firma anche la prefazione del libro) con “In nome della madre”; Ferdinando Camon con “Un altare per la madre” poi il libro probabilmente più significativo sull’argomento, “Dove lei non è” di Roland Barthes. Al termine della lettura ci si rende conto che anche “Cenere” sarà a pieno titolo nello scaffale come uno di quei libri capaci di accompagnare «l’acuta presenza».

Una pagina del libro "Cenere" di Natangelo / Rizzoli
Una pagina del libro "Cenere" di Natangelo / Rizzoli

Natangelo fornisce elementi su cui riflettere e che riguardano la gestione del lutto oggi, negli anni in cui la memoria digitale è la scatola nera delle nostre esistenze: le chat di Whatsapp con gli audio della mamma, le foto scattate in ogni momento, dai compleanni all’ospedale, le conversazioni più svagate e quelle drammatiche – c’è un conto alla rovescia che rende perfettamente il senso dell’angoscia nel ricordare – il terribile inventario del giorno dopo, con gli oggetti appartenuti a chi non c’è più e che mantengono un’aura di umano che sfuma minuto dopo minuto.

Il tutto è calato non solo nel piano privato ma anche in quello lavorativo, nel mondo che non si ferma. Ci sono alcune belle pagine che raccontano la bufera politica subita dal disegnatore napoletano dopo una vignetta su Arianna Meloni, sorella della presidente del Consiglio, dirigente di Fratelli d’Italia e moglie del ministro Francesco Lollobrigida, vicenda avvenuta nei giorni immediatamente successivi al lutto.

C’è anche molta Napoli, intesa come affetto privato e custode di memoria; la sensazione che lascia “Cenere” è quella di aver letto un Natangelo vicino nel tipo di racconto del quotidiano all’iberico Paco Roca, denso nel disegno come il francese Mathieu Sapin.

E, ovviamente, con in tasca la bussola della satira sempre e comunque, quella che si può sintetizzare in una frase di Charb, il direttore di “Charlie Hebdo” ammazzato nella strage del 2015: «Rire, bordel de Dieu», «ridete, per Dio!».

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