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16 maggio 1903: nasce Ugo La Malfa

Esponente della sinistra laica, fondatore del Partito d’Azione, segretario del Partito repubblicano, economista di livello internazionale, fautore del centro-sinistra, più volte ministro della Repubblica.
A cura di Marcello Ravveduto
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Durante un’intervista a “Ring” su Rai 2 (1976) il giornalista gli chiede se in quell’Italia, che non condivide il suo impianto riformatore, non si senta un estraneo.

Con il suo sguardo da talpa gli risponde seccamente: «Amo troppo il mio paese per sentirmi estraneo». Poi quando gli viene chiesto un parere sul Pci dice: «Da molti anni riconosco che il Partito comunista ha un processo di revisione in corso, del resto il mio confronto con il Partito comunista risale al ’65, ebbi dei dibattiti con Ingrao e con Amendola».

Ugo La Malfa è nato il 16 maggio del 1903 a Palermo. Esponente della sinistra laica, fondatore del Partito d’Azione, segretario del Partito repubblicano, economista di livello internazionale, fautore del centro-sinistra, più volte ministro della Repubblica. A lui si deve, nel 1951, l’apertura delle frontiere in qualità di responsabile del commercio estero, con l’abbassamento dei dazi doganali del 10% e la fine della politica autarchico-protezionista ereditata dal regime fascista.

Il fitto dialogo che imbastisce con il Partito comunista nasce dalla volontà di porre un contrappeso al potere della Democrazia Cristiana, col convincimento che la sinistra laica e quella comunista possano, rispetto ai cattolici, lavorare alla creazione di uno Stato forte ed imparziale.

Del resto il PSI, una volta insediatosi al governo (1963), è venuto meno alla sua missione riformista partecipando al processo di degrado dello Stato, al depauperamento della finanza pubblica e alla politicizzazione delle imprese a partecipazione statale.

A quel punto è naturale che si apra un canale di comunicazione preferenziale tra repubblicani e comunisti il cui presupposto è instillare nell’agone politico un senso di superiorità morale dello Stato. Il ponte di collegamento tra le due parti si edifica sulla possibilità di realizzare, al di là delle ideologie, una società più austera, più giusta, meno diseguale, «realmente più libera». Una democrazia dal volto umano.

Il Partito Comunista rappresenta per La Malfa l’argine istituzionale capace di difendere la società civile dalle ingerenze della partitocrazia: una prospettiva opposta all’egemonia gramsciana che presuppone un accrescimento del ruolo del partito nella società civile.

Eppure nel Pci, il segretario dei repubblicani ritrova, o crede di scorgere, una cultura politica in grado di tenere distinta l’identità dello Stato da quella della società civile, qualità ignota ai democristiani che, una volta al comando, non hanno mantenuto questa distinzione. La Malfa, invece, è convinto che molti dirigenti del Pci agiscano nel solco di un’austerità economica, morale ed estetica senza la quale non è possibile riformare l’azione di governo del Paese.

La Malfa schiude, perciò, la porta al dialogo con Giorgio Amendola (1965) confortandosi in una serie di dibattiti pubblici che avranno una vasta eco. Il tono della discussione, inusuale per il periodo, trascende gli aspetti più strettamente ideologici trasformandosi in una profonda riflessione sullo Stato, la classe dirigente e la politica economica.

Amendola, a sua volta, accetta senza pregiudizi il confronto (il giovane La Malfa era stato un allievo del padre) arrivando a considerare plausibile la teoria del segretario repubblicano: ovvero che gli accordi di crescita salariale, stretti col sindacato nel settore pubblico e in quello privato, avrebbero compresso la capacità dello Stato di investire a beneficio dell’intera comunità.

Il risultato del dialogo è che Amendola comincia a pensare ad “un’opposizione differente”, fondata su ampie consultazioni fra i partiti all’interno di un percorso di deideologizzazione dello Stato. Il dirigente comunista, d’altro canto, è il propugnatore di una revisione politica e dottrinaria che provoca da un lato l’indebolimento dei legami con il Partito comunista sovietico, dall’altro la consapevolezza di agire in una nazione capitalista, aderente al Patto Atlantico.

La revisione ha anche l’effetto di sgretolare la struttura rigidamente gerarchica del Pci. Per la prima volta emergono le crepe della dirigenza comunista: Ingrao e Cossutta, da un lato, Amendola, Berlinguer, Lama e Napolitano, dall’altro, lanciano una vera e propria sfida al muro di censura del centralismo democratico.

Un ulteriore avvicinamento tra le posizioni repubblicane e quelle comuniste avviene alla metà degli anni settanta, quando il sistema politico, posto sotto la minaccia del terrorismo, deve dare una risposta al peso dell’inflazione, al rincaro dei prezzi delle merci, alla disoccupazione e alla lenta crescita dell’economia.

La Malfa considera Amendola l’unico in grado di condizionare il dibattito interno al Pci e di sconfiggere ogni resistenza alla politica di austerità economica e di difesa della democrazia. Il segretario del Pri teme, infatti, che il compromesso storico possa degenerare in un vuoto esercizio di trasformismo.

Al Congresso del 1975 Berlinguer, con il sostegno di Amendola, risponde alle aspettative di La Malfa: riafferma la logica della presenza italiana nel blocco occidentale, lamenta gli eccessi di corporativismo del sindacato italiano, richiede misure antinflazionistiche di rigore fiscale, dichiara il fallimento dell’intervento pubblico per il Mezzogiorno.

È talmente evidente il contributo di Amendola nella scrittura della relazione congressuale che la sinistra del Pci non ha remore ad accusare il segretario di lamalfismo. In realtà Amendola, Berlinguer e La Malfa si trovano d’accordo sulla necessità di avviare un rafforzamento dello Stato italiano, liberandolo dai lacci dell’ideologia attraverso un processo di autonomia dai partiti.

La Malfa pensa sicuramente ad Amendola, e al suo entourage, quando nel 1976 scrive che la qualità di un partito si fonda sulla sua «coerenza e sul rigore del suo programma, sulla qualità politica e morale degli uomini chiamati a interpellare e realizzare tale programma, sulla elaborazione culturale cui esso fa riferimento e che deve sorreggerlo nella sua azione… il Partito Comunista ha fatto un grande sforzo per essere caratterizzato da questi tre elementi attraverso un processo di revisione critica e di adeguamento continui, mentre altre forze, rispetto ad esso, non hanno fatto nessun sforzo in tal senso».

Il problema (replicatosi a sinistra, con protagonisti di minore spessore, in altri periodi storici) è che Amendola non parla a nome del partito e che il Pci sceglie di mantenere una posizione ambigua rispetto ai temi economici e sociali sollevati pubblicamente dal dirigente comunista dialogante con La Malfa.

Ben presto gravi problemi nazionali, economici e politici, con l’impossibilità di formare una stabile maggioranza parlamentare, spingeranno Dc e Pci l’uno nella braccia dell’altro. Ma questa è un’altra storia.

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