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Opinioni

Cosa ci insegna il caso Cipro

Il travagliato “salvataggio” di Cipro da parte della Ue in cambio di misure “draconiane” fa riflettere. Forse non c’erano altre soluzioni ma l’assenza di un obiettivo politico sta svuotando di significato l’Eurozona e l’euro.
A cura di Luca Spoldi
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Cipro: proteste contro prelievo forzoso, slitta voto Parlamento

Distratti dall’insostenibile leggerezza della politica italiana, ricca di veti, strilla, urla, giochetti tattici, nomi più o meno “spendibili” e ambizioni personali più o meno legittime, ma poverissima di sostanza e di una visione di medio-lungo termine che porti a elaborare una strategia credibile per far uscire la terza maggiore economia europea dall’angolo in cui una sciagurata politica volta unicamente al (pur necessario) rigore l’ha rilegata in questi’ultimo anno e mezzo dopo che per 15 anni la “non politica” italiana aveva già azzerato ogni possibilità di crescita, gli italiani faticano a rendersi conto, probabilmente, del disagio che la decisione adottata nel fine settimana riguardo il “salvataggio” di Cipro potrebbe provocare a medio termine. Cerco di riassumere i termini della vicenda e di delineare cosa il caso possa insegnarci: Cipro in questi anni è diventato il principale centro finanziario “offshore” europeo (modo elegante per dire che se avete del “nero” non è più in Svizzera o in Lussemburgo che dovete rivolgervi per poterli gestire senza problemi, ma a Cipro). In questo modo gli attivi bancari si sono gonfiati fino ad arrivare a 8 volte il Pil dello stato cipriota (che è pari a circa 17 miliardi di euro, circa l’ammontare degli aiuti che la Ue ha stimato necessari per riportare il debito pubblico e la crisi creditiza del paese sotto controllo).

La crisi greca ha amplificato questo trend ipertrofico perché molti capitali greci sono stati depositati nelle banche di Cipro, salvo poi essere investiti (purtroppo per loro) in titoli di stato di Atene (che attraverso due successivi “haircut” sono stati svalutati di circa il 90%). Dei 17 miliardi di capitali freschi, alla fine, 10 saranno forniti dalla Ue (e di questi, se saranno rispettate le proporzioni seguite finora, quasi 1 miliardo spetterà pro-quota all’Italia), 1 miliardo potrebbe essere fornito dal Fmi, 6 miliardi dovranno essere trovati dallo stesso governo cipriota (che col prelievo forzoso su depositi e conti correnti dovrebbe raccogliere 5,8 miliardi, mentre altri mezzi dovrebbero essere garantiti dall’incremento della tassazione sulle rendite finanziarie dal 10% al 20% o 25% e del reddito societario dal 10% al 12,5%). Altre misure previste parlano di un “bail-in” dei bond bancari junior ciprioti (si noti che le banche cipriote nonostante la massa enorme di patrimoni a disposizione non hanno quasi emesso bond, così da tale misura non si dovrebbe raccogliere più di 1,2 miliardi di euro), di una serie di privatizzazioni, della ristrutturazione del sistema bancario cipriota e di un accordo con la Russia per rinnovare prestiti bilaterali in scadenza nel 2016 per complessivi 2,5 miliardi.

Se qualcuno parla di volontà di non utilizzare i soldi dei contribuenti Ue (e quindi anche di noi italiani) per salvare un sistema bancario gonfiato dal “nero” russo e inglese (e non solo), altri puntano l’indice contro la decisione di tassare pesantemente anche i depositi bancari sotto i 100 mila euro, violando “la santità dell’assicurazione pubblica sui depositi” come hanno scritto alcuni commentatori, domandandosi se non vi sia il rischio che gli investitori percepiscano nuovamente un elevato rischio contagio e pertanto non decidano di uscire nuovamente da asset italiani o spagnoli. C’è poi chi come il Credit Suisse al di là del domandarsi quali saranno le reazioni di breve termine dei mercati e se le singole misure abbiano avuto senso, se non si sia voluto a tutti i costi (da parte degli stessi politici ciprioti) salvaguardare il ruolo di centrale “offshore” continentale anche a danno degli interessi dei propri cittadini, se vi fossero o meno alternative, si chiede se a furia di operare con misure “straordinarie” la Ue non stia rischiando di evolvere in direzione opposta a quella che sarebbe auspicabile, rinunciando del tutto a una qualsivoglia opzione politica “alta” (ossia al varo di politiche tese alla riduzione delle differenze macroeconomiche e culturali tra i singoli stati così da poter dar vita nel tempo a uno stato sovranazionale cui i singoli stati membri dovrebbero e potrebbero a quel punto cedere, democraticamente, parti consistenti della sovranità nazionale in cambio dell’assicurazione di una tutela del bene comune sovranazionale) in cambio del tentativo di mantenere semplicemente l’attuale tenore di vita degli aderenti all’euro.

Ma un’eurozona (e un euro) che non abbia più alcun progetto politico di fondo se non la difesa dello status quo (e questo principalmente per le resistenze in tal senso da parte di Germania, Francia e Gran Bretagna) rischia alla lunga di essere insostenibile e di dare vita a spinte centrifughe crescenti sotto l’urto di movimenti populistici che fanno appello alla “pancia” di un elettorato che, specie nel Sud Europa, vede sempre più scarse prospettive che giustifichino l’accettazione di sacrifici e può essere tentato da una logica del tipo “tanto peggio, tanto meglio”, che inneschi un processo distruttivo (il cui costo non dubitate si riverserebbe sulle classi medie e medio-basse che accendessero la miccia e sui loro figli, non sui “ricchi” né sui “banchieri”, se non altro perché le svalutazioni “competitive” che alcuni vagheggiano insieme all’eventuale uscita dall’euro significherebbero un immediato impoverimento di tutti coloro che non fossero in grado di lavorare con e per i mercati esteri). Così ancora una volta una ricetta sbagliata e continui errori di implementazione della stessa stanno minando un progetto che aveva tutti i requisiti, sulla carta, per imporsi come il più importante a livello mondiale forse dai tempi della nascita degli Stati Uniti.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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