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Concordia, l’incubo dei naufraghi “Tutti in cabina: era una trappola”

Parlano per la prima volta in aula i passeggeri scampati alla tragedia del Giglio. “Ci dissero di tornare in cabina, comunicarono che era solo un guasto tecnico”. Tanti quelli che a distanza di oltre due anni sono ancora in cura per stati di choc e ansia.
A cura di Biagio Chiariello
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"Stavamo mangiando quando abbiamo sentito un botto e si è spenta la luce, poi siamo saliti al nono piano, e lì scene di isteria: un uomo prendeva a pugni i mobili, si spaccava la mano e diceva: ‘Ditemi come devo fare a salvare mia moglie e i miei figli'". Parola dei naufraghi della Costa Concordia, oggi a Grosseto dove continua il processo per il naufragio del 13 gennaio scorso all’isola del Giglio. "Ci dicevano di tornare in cabina, ma era una trappola e corremmo verso l'esterno per scappare", hanno raccontato altri in aula. "Nessuno ci diceva cosa fare, c'erano solo camerieri in divisa", dicono ancora sopravvissuti, molti dei quali patiscono ancora attacchi di panico e stati di ansia.

"Dopo l'impatto con lo scoglio – spiega Claudia Poliani, prima teste sentita nel procedimento contro Francesco Schettino – cambiò tutto, dall'allegria e dalla meraviglia di essere in crociera, noi passeggeri entrammo di colpo nel panico, cademmo, era buio, nessuno ci assisteva. Non abbiamo visto ufficiali, c'erano solo camerieri in divisa: prendemmo i giubbotti salvagente da soli e provammo ad indossarli". La donna afferma che dopo quell'evento "non è più in grado di guidare tranquillamente la macchina perciò, siccome vivevo fuori Roma, ho dovuto cambiare casa e avvicinarmi alla città", dichiara la teste.

"Il personale ci diceva di tornare in cabina ma capimmo che era una trappola e scappammo verso i ponti all'esterno. Eravamo come in autogestione". racconta invece Ivana Codoni ai giudici. Come altri passeggeri, anche lei afferma di non essere mai riuscita a superare lo shock: "Soffro di attacchi di panico. Non mi era mai successo prima del naufragio. Sono sempre sotto controllo medico". Lo stesso vale per Liliana Dobrian, romena che vive a Grosseto: "Dopo il naufragio non dormivamo più, io e mio marito avevamo dolore alla testa, ci ha visitato uno psichiatra. Da allora abbiamo paura e ansia".

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