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Verona, la mamma che perse la sua bimba per il batterio killer: “Sono ripiombata nell’incubo”

Verona, nuovo allarme per il Citrobacter nel reparto di pediatria all’ospedale Borgo Trento: tre i neonati contagiati. Fra il 2018 e il 2020 furono infatti un centinaio i piccoli colpiti dall’infezione, con 4 morti. Una di loro era la figlioletta di Francesca Frezza: “La verità è che quel maledetto batterio non è mai stato debellato”.
A cura di Biagio Chiariello
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"Quando l’ho saputo, domenica, sono ripiombata nell’incubo che mi ha strappato Nina…" Francesca Frezza è una madre che ha perso una figlia. Era il 2019 quando scoppiò il caso dei neonati contagiati e “uccisi” dal Citrobacter koseri. Uno di loro era la sua bambina. Così quando nei giorni scorsi scorsi un test ha dato un risultato positivo all’ospedale Borgo Trento di Verona è scattato l’allarme.

È triste prendere atto che anni di indagini, neonati morti tra cui la mia piccola Nina, denunce e grida di allarme con ogni mezzo di comunicazione, ci riportano alla situazione emersa all'epoca, evidentemente mai risolta", dice la donna intervista dal Corriere della Sera.

L’Azienda ospedaliera universitaria integrata (Aoui) scaligera intanto ha comunicato che i tre neonati contagiati  “stanno bene” e che “l’allerta era scattata venerdì 3 maggio quando il sistema di sorveglianza attivo con screening h24, per ingressi e degenti in Terapia intensiva neonatale, grazie al test avanzato utilizzato per la ricerca di Citrobacter koseri ha segnalato un risultato anomalo, per la prima volta dopo 4 anni“.

Fra il 2018 e il 2020 furono infatti un centinaio i neonati contagiati all'ospedale veronese, con 4 morti e una decina di piccoli che a causa dell’infezione hanno riportato disabilità. Si era poi scoperto che il batterio killer era annidato nel rubinetto della Terapia intensiva neonatale.

All’epoca nessuno parlò, la presenza del batterio venne tenuta sotto silenzio per mesi e mesi, favorendo la diffusione dell’infezione che colpì decine e decine di bimbi, uccidendone quattro tra cui il mio angelo e provocando lesioni gravissime che impediranno per sempre una vita normale ad altri piccoli. Per questo ho deciso di denunciare subito questo nuovo allarme, perché lo scandalo di allora non dovrà ripetersi mai più. Troppo il dolore che ha causato, troppe le sofferenze.. una pena indicibile" dice ancora la donna.

Ad ogni modo i risultati delle indagini preliminari sui tre neonati “hanno ridimensionato l’allerta”, rassicura l’Aoui. L’azienda precisa che “non è attualmente possibile stabilire se il batterio individuato sia dello stesso ceppo di 4 anni fa, in quanto l’indagine genomica predisposta richiede tempi più lunghi. Inoltre, a completezza di informazione, si sottolinea che l’acqua distribuita nell’ospedale è sicura perché sottoposta a controlli sistematici e tutti i punti acqua a cui sono esposti i pazienti sono dotati di filtri anti-batteri”.

Ma Francesca è convinta che "quel maledetto batterio non è mai stato debellato ma continua a coesistere con la struttura e a minacciare la vita e l’integrità fisica di chi vi si trova suo malgrado ricoverato". E conclude: "La mia amarezza è ancora più acuita dal fatto che oggi, dopo cinque anni, mi trovo ancora a lottare per far emergere la verità dei fatti ed ogni singola responsabilità".

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