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Bossetti: “Yara fu uccisa per vendetta contro il padre”

Nell’interrogatorio davanti al gip l’uomo accusato di aver ucciso Yara Gambirasio rivela che nel cantiere si parlava di una presunta vendetta nei confronti del padre della ragazzina.
A cura di Antonio Palma
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"Non sono stato io ad uccidere Yara Gambirasio, in cantiere dicevano tutti che Yara era stata uccisa per una vendetta contro il padre Fulvio Gambirasio", così si sarebbe giustificato davanti agli inquirenti Massimo Giuseppe Bossetti, l'uomo in carcere con l'accusa di essere l'assassino della 15enne di Brembate di Sopra. La circostanza sarebbe stata riferita dal 43enne carpentiere di Mapello al gip di Bergamo durante l'interrogatorio avvenuto lo scorso 19 giugno per convalidare il fermo dell'uomo in carcere. A raccontare il contenuto dell'interrogatorio, riportato in un verbale di una sessantina di pagine, sono oggi i quotidiani La Repubblica e L'Eco di Bergamo. Alla domanda del giudice per le indagini preliminari Ezia Maccora, che chiedeva se nei cantieri dove Bossetti lavorava si discuteva dell'omicidio di Yara, il muratore avrebbe risposto che l'argomento "era all'ordine del giorno" e che si parlava di una vendetta legata "a presunti rapporti tra la ditta Lopav e il signor Gambirasio che fa il geometra nell' edilizia". La questione della presunta vendetta dietro l'omicidio di Yara Gambirasio era già circolata sui media in passato ma gli ambienti investigativi non l'avevano mai ritenuta plausibile perché completamente priva di riscontri oggettivi.

La ricostruzione di quei giorni

Da quanto emerge dal verbale dell'interrogatorio, Massimo Giuseppe Bossetti avrebbe ribadito più volte e con insistenza la sua innocenza ed estraneità ai fatti. "Giuro sui miei tre figli che Yara non l'ho mai conosciuta, né vista, né incontrata. E che non sono io l'assassino" avrebbe riferito  l'uomo ricostruendo in maniera dettagliata la giornata dell'omicidio di Yara, il 26 novembre 2010. "Sono tornato a casa dopo il lavoro, ho fatto la doccia, ho cenato con moglie e figli, ho guardato un po' i quaderni dei miei bambini, giocato con loro che vanno sempre a letto alle 21. Poi sono stato sul divano a guardare la televisione" avrebbe spiegato  Bossetti, che davanti all'obiezione del giudice su un ricordo così preciso avrebbe risposto: "Sono un uomo metodico, un abitudinario. Faccio sempre le stesse cose, lavoro, doccia, cena, divano". "In quei giorni lavoravo  nel cantiere  di mio cognato Osvaldo Mazzoleni in via Prato Marone a Palazzago. Per tornare a casa percorrevo il tragitto abituale e passavo anche davanti al centro sportivo di Brembate, ma non ci ho mai messo  piede" avrebbe riferito sempre Bossetti.

Bosetti si proclama innocente

"Io mi proclamo ancora innocente. Non ho mai fatto male a nessuno. Ho 43 anni, ho la testa sulle spalle, un bel lavoro, una bella moglie e tre figli che mi aspettano a casa tutti i giorni. Mai avrei potuto fare una cosa così. Glielo posso giurare sui miei figli: non ho fatto niente" avrebbe insistito Bossetti che anche di fronte alla prova regina del suo dna sugli indumenti di Yara non avrebbe mollato: "È impossibile che sia stato trovato. Ma se venisse dimostrato senza nessun dubbio che il Dna è mio, bisognerà  capire perché è stato trovato lì. Io non lo so". Infine la sua spiegazione sul perché il sangue sia finito lì

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