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Vittorio Occorsio, il magistrato che si batteva contro l’eversione neofascista

Rai Storia ha mandato in onda lo scorso 6 giugno un documentario sull’omicidio del magistrato ucciso il 10 luglio 1976 dall’ordinovista Luigi Concutelli. Il filmato ha tutte le caratteristiche tipiche dell’opera di public history che ricostruisce le vicende dell’uomo e del suo contesto nell’ambito della più vasta storia nazionale.
A cura di Marcello Ravveduto
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Archivio Cioni Spinelli /LaPresseRoma Luglio , 1976Funerale del Giudice Vittorio OccorsioNella foto : Marco Pannella con fratello del giudice Occorsio.
Archivio Cioni Spinelli /LaPresseRoma Luglio , 1976Funerale del Giudice Vittorio OccorsioNella foto : Marco Pannella con fratello del giudice Occorsio.

Dieci anni fa, Luigi Concutelli, terrorista nero condannato all’ergastolo per l’omicidio del giudice Vittorio Occorsio, fu intervistato per la prima volta davanti ad una telecamera, in occasione dello speciale “Perché Occorsio? Un magistrato nel mirino” all’interno del ciclo “La storia siamo noi”.

A dieci anni di distanza Rai Storia è tornata sull’omicidio del magistrato, ucciso il 10 luglio 1976, con il documentario “Vittorio Occorsio. Il coraggio di andare avanti” (di Massimo Favia) nell’ambito della serie “Diario Civile”. Si tratta di una rilettura che nasce con il preciso obiettivo di realizzare un’opera audivisiva di public history. Dopo quarant’anni viene messa da parte la testimonianza dell’assassino per dare spazio alla ricostruzione della vicenda storica, cercando di guidare i telespettatori nei meandri delle trame occulte che hanno segnato il primo trentennio repubblicano: partendo dal Piano Solo, si passa alle stragi neofasciste e all’eversione nera di Ordine Nuovo, per approdare ai sequestri di persona e ai collegamenti tra massoneria (P2) e strategia golpista.

Ho chiesto ad Alessandro Chiappetta, autore di Rai Storia e curatore del ciclo “Diario Civile”, di spiegarmi le motivazioni profonde che hanno spinto la Tv di Stato a produrre un documentario realizzato per un pubblico composto, in gran parte, da “non addetti ai lavori” (un modo eufemistico per indicare la vasta area di cittadini a digiuno di conoscenza storica):

«Le immagini del delitto, in quel bianco e nero in pellicola, nitidissima testimonianza della vecchia televisione, raccontano un luogo del delitto affollato di gente, di politici e funzionari di polizia, di un uomo riverso su sé stesso, che ha provato a fuggire, ma si è dovuto arrendere ai proiettili sparati da Pierluigi Concutelli, un militante di Ordine Nero, il braccio armato di Ordine Nuovo, un’organizzazione eversiva di estrema destra, sciolta l’anno prima, ma con cani sciolti ancora in giro, pronti a tutto. Quell’uomo riverso, in camicia, era Vittorio Occorsio, accusato nelle deliranti rivendicazioni dei terroristi di essere un servo della “dittatura democratica”.  "La giustizia borghese si ferma all'ergastolo. La giustizia rivoluzionaria va oltre”, si leggeva nel volantino. E in quel 1976, in cui il terrorismo di destra e di sinistra, dimostra la disposizione all’omicidio politico (le Br avevano ucciso l’8 giugno il magistrato genovese Francesco Coco), si consumava la frattura vera e propria, il salto di qualità delle organizzazioni terroristiche, il balzo in quelli che saranno chiamati gli anni di piombo. Sullo sfondo, l’avanzata delle sinistre, con il PCI di Berlinguer al suo massimo risultato elettorale, e un paese cambiato dalle battaglie civili. Ma in quell’anno, si palesavano, affacciandosi sullo scenario criminale italiano, anche le prime pericolose commistioni. E’ qui che la storia di Vittorio Occorsio si differenzia dalle altre, dall’intransigenza di Coco, o dal rigore di Sossi».

In che modo Occorsio è diverso dagli “altri”, qual è la sua unicità dal punto di vista storico che rende avvincente la narrazione televisiva?

«Occorsio aveva capito altre cose, tra le pieghe delle sue inchieste, che partendo dal Piano Solo lo avevano portato alle indagini su Piazza Fontana e a conoscere la galassia eversiva di destra meglio di chiunque altro. Aveva annusato per primo l’odore della P2, indagando sui sequestri di persona del clan dei Marsigliesi, rapimenti che avevano fruttato un fiume di denaro che non aveva soltanto riempito le tasche della “banda delle tre B”, ma anche foraggiato un livello superiore, facente capo a uomini legati al mondo della massoneria. “Non un organo d’accusa, ma di giustizia, quindi di verità”, dice oggi il suo collega e amico Ferdinando Imposimato, a sottolineare passione e impegno civile del giudice Occorsio».

Se dovessi presentarlo ad un pubblico di giovani che ignorano la sua vicenda, quale aspetto metteresti in evidenza?

«Un uomo semplice, di origini napoletane, con una famiglia normale, che nel documentario di Rai Storia “Vittorio Occorsio, il coraggio di andare avanti”, per il ciclo Diario Civile, appare nei filmini amatoriali felice e spensierata, in vacanza in montagna o in Scozia, a Napoli e a Roma, restituendo la normalità di tante famiglie di quel periodo. Ma una famiglia spezzata da un dolore enorme, da una mancanza profonda, dall’impronta di un padre “eroe”, di cui oggi anche i figli Eugenio e Susanna parlano col sorriso, con la tenerezza di per quarant’anni ha sentito un vuoto ma non si è fatto scalfire dal terrore, dalla morte e dall’ingiustizia. Ingiustizia che ancora oggi permane sulla storia di Vittorio Occorsio, su quel delitto al sole, al caldo di luglio che non ha mandante, ma soltanto un esecutore, Pierluigi Concutelli, e complice, Gianfranco Ferro. Un delitto che resta nella memoria di chi Occorsio l’ha conosciuto, e nella storia di una città, di un Tribunale, di un’aula, sotto la cui stele si celebra il processo ai disonori di oggi».

Pensando al presente cosa ti fa venire in mente la figura di questo magistrato?

«Oggi al Tribunale di Roma c’è un aula intitolata a Vittorio Occorsio. E lì che lo scorso 5 novembre ha preso il via il processo agli imputati di “mafia capitale”. Chissà se a pubblici ministeri e giudici di oggi capita di pensare a lui mentre va in scena il dibattimento più discusso ed epocale della storia recente della città. Chissà se pensano a lui quelli che passano per via Mogadiscio, una piccola stradina del quartiere africano, nascosta tra le case della Roma borghese, là dove Occorsio fu ucciso, la mattina del 10 luglio 1976».

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