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Valentina Salmistraro morta in ospedale a Pordenone: autopsia conferma trombosi cerebrale

Valentina Salmistraro, 46 anni, è morta lo scorso 29 agosto nel reparto di Neurologia dell’ospedale Santa Maria degli Angeli di Pordenone per trombosi cerebrale, complicanza rarissima della puntura lombare eseguita durante il ricovero. L’autopsia esclude il trauma cranico e apre nuovi interrogativi sulla gestione ospedaliera.
A cura di Biagio Chiariello
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È di trombosi cerebrale la causa della morte di Valentina Salmistraro, la 46enne di Azzano Decimo deceduta il 29 agosto scorso nel reparto di Neurologia dell’ospedale Santa Maria degli Angeli di Pordenone. Lo ha stabilito l’autopsia eseguita ieri dal medico legale Antonello Cirnelli su incarico della Procura, nell’ambito dell’inchiesta penale aperta per omicidio colposo. La donna era ricoverata dal 16 agosto per accertamenti dopo avere accusato difficoltà a reggersi sulle gambe e, pochi giorni dopo, le era stata diagnosticata la sclerosi multipla.

L’esame autoptico ha chiarito che la morte non è stata causata dalla caduta nel bagno del reparto, come inizialmente ipotizzato. La trombosi dei seni durali, una condizione grave e rarissima, sarebbe insorta in seguito alla rachicentesi – la puntura lombare eseguita per prelevare liquido cerebrospinale e valutare i sintomi della paziente. La donna, infatti, era stata sottoposta a questa procedura per indagare il sospetto disturbo del cammino che l’aveva portata in ospedale.

All’autopsia erano presenti anche il neurologo Antonio Baldi, il consulente della famiglia, il dottor Marchesin, e due medici osservatori dell’Asfo: Valentina Zamai e il primario di Anatomia Patologica dell’ospedale di Pordenone. Il dottor Cirnelli avrà 60 giorni per depositare la consulenza tecnica completa, mentre molti dettagli del ricovero restano ancora oscuri. Tra questi, l’ossigenoterapia prescritta la sera prima del decesso: dalle cartelle cliniche non risultano informazioni precise sul medico che l’aveva disposta né sui sintomi lamentati dalla paziente, un vero rebus per gli investigatori.

Il fascicolo aperto dalla Procura, coordinato dal sostituto procuratore Federica Urban, vede al momento cinque indagati, tra medici e operatori sanitari. Si tratta degli infermieri e OSS Giuseppe Binetti, Elena Comuzzi e Monica Vatamanu, e dei neurologi Andrea Gelli e Marta Claudia Brunelli. L’ipotesi di reato contestata è omicidio colposo nell’esercizio della professione sanitaria.

Tutto era iniziato con la denuncia del marito, Ghani Mohamed. L’uomo aveva raccontato ai carabinieri che la moglie lo aveva chiamato la mattina del 29 agosto, contenta di tornare a casa: "Mi disse ‘vado in bagno e poi ti richiamo’ – aveva spiegato Mohamed –. Non l’ho più sentita. Alle 9 mi hanno contattato dall’ospedale, dicendo che c’era stato un incidente e che dovevo andare subito in reparto". Il corpo di Valentina era stato ritrovato già privo di vita dal personale delle pulizie intorno alle 8.15. Secondo quanto accertato dall’autopsia, la morte era avvenuta almeno due ore prima del rinvenimento.

L’esito dell’autopsia ha confermato i timori del marito: Valentina non è morta per un trauma cranico, ma a causa di una complicanza rarissima della puntura lombare. Rimangono ora da chiarire le condizioni dell’ultima notte di vita della donna, in particolare le modalità di somministrazione dell’ossigenoterapia e la gestione complessiva del ricovero. La famiglia, assistita dal consulente legale, attende il deposito della relazione completa per valutare se siano state rispettate tutte le procedure e se siano state adottate tutte le precauzioni necessarie per la sicurezza della paziente.

Parallelamente all’indagine penale, l’Azienda sanitaria del Friuli Occidentale ha avviato una verifica interna per valutare eventuali responsabilità organizzative o individuali nella gestione del ricovero e della morte di Valentina. La vicenda ha suscitato grande scalpore nella comunità locale, dove la donna era conosciuta e stimata.

In attesa dei risultati definitivi, l’inchiesta mira a ricostruire con precisione la sequenza degli eventi e a comprendere se, nelle ultime ore di vita della paziente, vi siano stati errori o omissioni nel percorso assistenziale. Il caso evidenzia anche la delicatezza di procedure diagnostiche come la rachicentesi, che pur essendo generalmente sicure, possono comportare rischi rarissimi ma gravi, sottolineando l’importanza della vigilanza costante e della comunicazione tra medici, personale infermieristico e familiari.

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