Ucciso dal padre a Lamezia: era stato condannato per estorsione ai genitori e li minacciava da anni

Era già stato condannato per estorsione nei confronti dei suoi stessi genitori, Bruno Di Cello, il trentenne ucciso dal padre nella mattinata di venerdì a Lamezia Terme. Un passato segnato da gravi tensioni familiari, violenze psicologiche e continue richieste di denaro che, secondo quanto emerso dalle indagini, avevano trasformato la convivenza in casa in un inferno quotidiano.
L’epilogo drammatico è arrivato in via Trani, nella zona della Marinella, dove Francesco Di Cello, guardia giurata in pensione, ha sparato un colpo di pistola in pieno volto al figlio, uccidendolo all’istante. Poi si è costituito, presentandosi spontaneamente al commissariato. È ora detenuto nel carcere di Catanzaro con le accuse di omicidio, detenzione e porto abusivo di arma clandestina e ricettazione.
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, coordinati dal sostituto procuratore Gualberto Buccarelli della Procura di Lamezia Terme, la tensione in casa Di Cello durava da anni. Non era un conflitto familiare comune, ma una dinamica logorante e dolorosa, alimentata dal comportamento del figlio che, nonostante la giovane età, aveva già sulle spalle una condanna definitiva per aver estorto denaro ai propri genitori. La madre, titolare di una piccola azienda agricola, e il padre, ex vigilante, avevano già subito minacce e pressioni, documentate in passato dalle forze dell’ordine. In questo contesto teso e degradato, ogni giorno sembrava un equilibrio precario sul filo della rabbia e della disperazione.
Bruno, secondo alcune testimonianze, coltivava il sogno di diventare un modello, ma nella realtà quotidiana era disoccupato e dipendente economicamente dalla famiglia. Le richieste di soldi si facevano insistenti, i toni sempre più accesi, fino a scatenare violenti alterchi domestici. Il padre aveva più volte confidato ad amici e conoscenti di sentirsi esasperato, di non sapere più come gestire la situazione. Una situazione che, venerdì mattina, è esplosa in modo tragico.
Dopo l’omicidio, Francesco Di Cello è stato interrogato a lungo dagli investigatori del commissariato di Lamezia, guidati da Antonio Turi. Ha ammesso ogni responsabilità, raccontando al pubblico ministero le fasi della lite culminata nel colpo mortale. Secondo quanto riferito, sarebbe stata una giornata carica di tensioni, l’ennesima discussione in un clima familiare ormai irrecuperabile. Al termine dell’interrogatorio, il sessantaquattrenne è stato trasferito in carcere in attesa dell’udienza di convalida.

Intanto la comunità di Lamezia Terme si interroga, scossa da una vicenda che non è solo cronaca nera, ma la fotografia di un dolore domestico troppo spesso silenzioso. La vittima lascia un fratello e una sorella minore, anch’essi testimoni, con ogni probabilità, di anni di contrasti e conflitti che non hanno trovato ascolto né soluzione. L’omicidio di Bruno Di Cello, maturato in un ambiente familiare già compromesso da violenze e condanne, resta oggi uno spartiacque doloroso tra ciò che poteva essere fatto e ciò che invece è accaduto.